I leaders del centrosinistra? Somigliano ai proprietari assenteisti premoderni

24 Marzo 2009
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Andrea Pubusa

Ricordate i proprietari assenteisti premoderni? Non avevano legami con le località produttrici del surplus di cui si appropriavano. Mantenevano il loro status di privilegiati in città, traendo risorse dai loro possedimenti lontani. Erano fisicamente assenti e socialmente e culturalmmente estranei ai luoghi e alla vita delle persone che col lavoro consentivano loro di far la bella vita in città, di avere posizioni di rilievo nelle istituzioni e nella politica. Si occupavano delle loro terre per preservarne la capacità produttiva, per non rischiare che la fonte della loro ricchezza e del loro potere s’inaridisse. A questo fine il loro sfruttamento era accompagnato dalla manifestazione anche di una qualche forma di solidarietà con la condizione degli sfruttati. Ma il legame diveniva sempre più blando col passar del tempo e lo stare lontani e così l’estraneità divenne incomunicabilità, talché nelle persone dei territori venne pian piano, crescendo un misto di rabbia, odio, e dalla fedeltà si passò impercettibilmente a forme sempre più ampie ed estese di ribellione. Divennne così sempre più tenue la capacità delle élites proprietarie di controllare, amministrare, formare, disciplinare, prevalendo invece quelle di evitare, sopprimere, fuggire. Anche le classi colte del tempo, le classi che possedevano il sapere vivevano asserragliate nella fortezza impenetrabile del latino, che li isolava dalla gente semplice da cui così si estraniavano.
Bene. Non vi pare che gli attuali dirigenti del centrosinistra e della sinistra somiglino molto agli antichi proprietari assenteisti? Si occupano del loro elettorato solo quanto basta per l’elezione, rimanendone distanti per il resto. Non condividono alcunché con la loro condizione. Vivono in un mondo smaterializzato e irreale, se valutato in base al significato che la realtà riveste per coloro che non sono membri delle élites politiche, amministrative ed economiche. Al latino medievale l’intellettualità del centrosinistra e della sinistra ha sostituito il mondo del world wide web. Il cyberspazio li isola dalla gente cui dicono di riferirsi e delle cui sorti affermano di preoccuparsi. Vivono in un mondo virtuale, seguono percorsi indipendenti dalle strade lungo le quali procedono le persone comuni con le loro sofferenze e i loro porblemi quotidiani. Perdono così qualunque impegno reale verso la società cui dicono di appartenere e la loro volontà di cambiarla è solo un esercizio verbale, sempre più legato a slogan e parole propagandistici e sempre meno a progetti e a battaglie reali. La politica è sempre più Ballarò, Porta a Porta, uso dei media e sempre meno progetto e impegno di organizzazione fra e della la gente. Perdono, anzi combattono in radice ogni ideologia, che, in fondo, è niente più che un progetto di trasformazione, un dispositivo di idee per la creazione di un futuro diverso dal presente. Viene meno un’assunzione di responsabilità nei confronti della società, si attenua l’atteggiamento critico, polemico verso la realtà attuale e l’impulso a migliorarla. Scompare il gusto dell’eresia come lama tagliente premuta contro la realtà così com’è, per correggere e cambiare lo stato di cose presente. Si confida nella capacità della realtà di autoemendarsi. Si abbandona e s’irride ogni progetto di trasformazione. Viene bocciata l’undicesima tesi di Marx su Feuerbach: “I filosofi finora hanno diversamente interpretato il mondo, ma ora si tratta di trasformarlo”. Si rinuncia così ad interrogarsi sulla società e sulla trasformazione, si abbandona la politica come movimento, si la scia in campo solo l’idea di trasformazione della destra. L’annuncio solenne della fine dell’ideologia, anzi delle ideologie è la confessione di questa abdicazione. La dichiarazione di accettazione del capitalismo come il migliore dei mondi, il più alto e definitivo modo d’essere della società. Muore l’intellettuale organico di Gramsci, non più l’antico uomo o donna di sapere, ma uomini e donne di cultura che si fanno partecipi del tentativo collettivo di trasformare la società secondo valori di eguaglianza e giustizia sociale, democrazia reale.
Questo abbandono è il venir meno di una sinistra del progetto, il lasciar fuori dal proprio orizzonte il mondo della vita, la volontà di organizzare le classi sfurttate, i ceti subalterni. Un tempo i partiti comunisti e socialisti organizzavano gli immigrati, i ceti più umili, oggi al più sono compassionevoli con essi. Talora, neppure questo, come nel caso di Firenze o Bologna dove sindaci e assessori fanno gli sceriffi nei confronti dei lavavetri o dei rom. Una mutazione genetica. Perchè S. Elia avrebbe dovuto preferire Soru? Perchè ostentamente andava a passeggiarci, come un tempo faceva il signorotto, quando veniva dalla città e si mischiava ai suoi servi nella festa patronale? E questo non è il contrario della condivisione? Non conta di più l’incomprensione per un betile, che per loro è solo il segnale di una futura deportazione dal luogo? Perché allora le classi popolari dovrebbero preferire questo ceto politico? In nome di che cosa avrebbero dovuto dire sì a Soru piuttosto che a Cappellacci? E al contadino cosa importa del muretto a secco che tanto affascina i radical-chic di città? Ne ha fatti e ne vede tanti. Non è forse interessato di più alla più prosaica casetta per ricoverare gli attrezzi da fare nella sua campagna? Quella innocente casetta fuori dal mondo, anni luce dal mare e che, ciononostante, Soru gli ha vietato? E all’artigiano interessa più l’ingessamento della realtà in un mondo ricco d’identità fuori dal tempo o la possibilità di produrre per una mondo reale che cambia secondo regole che assicurino razionalità e ragionevolezza? Se prevale l’immagine, il messaggio, allora ha ragione Gavino Sanna, meglio un uomo che sorride e si circonda di persone, rispetto ad un uomo truce e solo. Meglio chi è disponibile a lasciar fare piuttosto che uno che sa solo proibire e si traveste per nascondere la sua vera identità.  Insomma, se si rimane nel mondo virtuale e dell’immagine perché “Meglio Soru”?
Morale della favole: se la sinistra vuole tornare a vincere dovrebbe tornare ad avere una ideologia, pardon! un progetto di trasformazione della società, e impegnarsi a realizzarlo organizzando i soggetti sociali interessati. L’esatto opposto del partito liquido.

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