Red
Non si dirà che la battaglia per la dismissione dei beni militari in favore della Regione sia stata inutile e tantomeno priva di ricadute positive per i sardi. Uno dei più importanti beni comuni passati alla Regione grazie alla battaglia condotta con fermezza dall’ex Presidente Soru, l’Arsenale, sarà un Centro-vacanze per i lavoratori e i loro figli. In questo modo un importante bene comune, tenuto per decenni dall’esercito per finalità belliche o militari torna al più mite e condivisibile uso civile da parte dei cittadini sardi.
Così noi abbiamo pensato e pensiamo la dismissione dei beni militari. Principalmente per usi culturali e di svago dei sardi. Ad esempio, a Cagliari è necessaria una “Casa della Cultura” che consenta ad associazioni e gruppi culturali di avere sale per riunioni ed incontri a prezzo molto limitato, a costi d’esercizio o poco più. Questa è democrazia sostanziale; la libertà d’associazione non è solo facoltà d’associarsi, ma anche diritto d’essere dotati di mezzi per svolgere l’attività associativa.
Certo, non siamo così chiusi e ottusi da escludere che alcuni beni possano essere utilizzati anche per far cassa onde ricavare risorse per soddisfare finalità pubbliche. Ma ciò dovrebbe avvenire in un quadro programmato e trasparente di uso equilibrato del patrimonio pubblico. Le notizie che filtrano sono invece tutte nella direzione di destinare questi beni al solazzo e al profitto dei miliardari, senza alcun’altra alternativa. Del resto lo stesso Soru insieme all’annuncio della storica dismissione dei beni in favore della Regione, comunicò che i bandi internazionali (questo suo chiodo fisso!) erano già pronti. E questo - a costo di apparire retrò - non ci piace e non ci sembra giusto. Pensiamo anzi sia necessario fin da subito mettere in campo una forte iniziativa sul recupero e la destinazione di questi beni. Purtroppo è reale il pericolo ch’essi dall’esclusiva militare passino ad un’esclusiva non meno odiosa dei miliardari. E dobbiamo scongiurarlo. Sarebbe una vera beffa!
Ecco ora, in luogo di quella che avremmo voluto dare, la notizia vera
La gestione dell’ex arsenale della Maddalena, trasformato in hotel a 5 stelle per il G8, andrà a una società di cui è presidente Emma Marcegaglia, numero uno di Confindustria. La srl si chiama Mita resort, gestisce già il Forte Village ed è l’unica che si è presentata alla gara fatta dalla protezione civile per conto della Regione, proprietaria dell’area dopo la smilitarizzazione.
La gara non è ancora chiusa: ma l’unica offerta arrivata sul tavolo della struttura di missione (sic! proprio missione! ndr), braccio operativo del commissario del G8 Guido Bertolaso, è quella della società della Marcegaglia. La conferma arriva da fonti aziendali. La partita sarà chiusa nel giro di qualche settimana. E così, a tempo di record, entro maggio Bertolaso consegnerà l’ex Arsenale - dove sono stati costruiti un albergo, un centro congressi e un porto turistico - ai nuovi proprietari per preparare le strutture in vista del G8 di luglio. Finito il vertice, i beni saranno gestiti dal gruppo Marcegaglia per 30 anni. La Regione, proprietaria delle aree e finanziatrice delle opere di riconversione, incasserà dal gestore un canone annuo.
Mita resort srl è già attiva in Sardegna. Ha infatti la gestione del Forte Village di Santa Margherita di Pula, miglior resort del mondo di proprietà di Fimit sgr, una società di cui, dopo un breve periodo di controllo da parte di Capitalia, sono soci Lehman Brothers real estate (la banca americana fallita) e gli istituti previdenziali italiani (tra cui l’Inpdap). Ma Mita resort non è solo della famiglia Marcegaglia. Emma, leader di Confidustria, è il presidente, ma l’altro socio forte è Andrea Dalle Rose, che controlla il marchio Marzotto.
«Se avremo la gestione della struttura turistica nata al posto dell’arsenale - spiega una fonte aziendale del gruppo Marcegaglia - il nostro gruppo sarà il primo in Sardegna per numero di occupati sardi. Ne abbiamo mille al Forte Village, è un grande segnale di attenzione verso la Sardegna». Insomma, i sardi a fare da camerieri e lavapiatti, guarda caso proprio quello che Soru diceva di non volere. Ma ci sarà anche qualche portiere e non mancheranno i direttori di sala e qualche impiegato importante.
Cade anche l’illusione che i beni regionali potessero andare a imprese sarde. Ma che fosse così era nelle intenzioni bipartisan di tutto il mondo imprenditoriale che conta e Soru lo aveva detto fin da subito, annunciando i bandi internazionale. Roba che gli imprenditori sardi possono guardare, ma non toccare.
1 commento
1 Sergio Ravaioli
23 Marzo 2009 - 19:03
Il coinvolgimento delle imprese Sarde nell’appalto dei grandi lavori è problema estremamente serio che dovrebbe essere affrontato anche dalla politica, o per meglio dire dalla buona politica, con il dovuto impegno e senza ideologismi o complessi di inferiorità.
Basti citare un comma del codice degli appalti (preso pari pari da una direttiva europea) mai utilizzato dalla politica e dalla burocrazia regionale, che vale la pena di riportare per intero. Si tratta del 2° comma dell’art. 2 del D.Lgs 163/2006:
“Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a ESIGENZE SOCIALI, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello SVILUPPO SOSTENIBILE”
E neppure viene usata la norma che consente alle Amministrazioni di pagare direttamente la ditta che svolge lavori in subappalto, lasciando che vengano presi per il collo dalle grandi imprese appaltatrici.
Se lasceremo la gestione dei bandi di gara e dei capitolati d’appalto alle mezze maniche della politica e della burocrazia regionale, la Sardegna verrà desertificata anche rispetto al sistema delle imprese. E il danno sarà gravissimo perché le imprese non si inventano dall’oggi al domani.
Diventeremo una regione di lavapiatti e di manovali. Sopravvivranno i padroncini con il loro camion per fare i movimenti di terra che le imprese italiane (e quelle francesi) avranno la bontà di lasciargli fare (a prezzi prendere o lasciare), e che saranno pagati quando verrà comodo.
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