Appunti sulla rivolta dei gilets jaunes. La Francia parla all’Italia?

9 Dicembre 2018
2 Commenti


Tonino Dessì

TOPSHOT - People block Caen's circular road on November 18, 2018 in Caen, Normandy, on a second day of action, a day after a nationwide popular initiated day of protest called

La rivolta di piazza francese viene a mio avviso tirata da giorni per la giacchetta, pardon, per il gilet, da troppe parti.
Oggi Trump ne sponsorizza i tratti “sovranisti” in chiave antieuropea e persino a sostegno del negazionismo climatico e antiambientalista cui si ispira la sua amministrazione.
Francamente non sono in grado di capire quanto una lontana interferenza di tale provenienza possa influire sull’evoluzione del movimento, se non incoraggiando l’estrema destra francese a tentare di cavalcarla e di infiltrarla.
Per converso si osservano anche convergenze con i gilets jaunes di movimenti studenteschi e di ambienti sindacali vicini alla CGT e al sindacalismo di base.
Non vedo, nonostante tutto, spazi per un’evoluzione neofascista della scossa sociale francese, rispetto alla quale il lepenismo stesso sembra ai margini.
Semmai mi pare assai difficile considerare ispirata a un approccio politico democratico e soprattutto efficacemente dialogante la reazione del Presidente Macron e del suo Governo.
La rivolta ha avuto la sua scintilla nell’aumento delle accise sui carburanti per autotrazione, inopinatamente presentato come misura di politica ecologica.
Ma politiche “ecologiche” basate su balzelli aggiuntivi peggiorativi della situazione economica di ceti sociali che si sentono già pesantemente gravati da politiche fiscali e salariali generalmente restrittive, in una condizione di ampliamento delle diseguaglianze che per un lungo periodo ha favorito i più ricchi, possono provocare reazioni oppositive anche durissime.
La scintilla ha così finito per scatenare un incendio di vaste proporzioni, che va coinvolgendo ampi settori della società francese e che investe non solo la politica economica della Presidenza in carica, ma anche le compatibilità generali cui si sono attenute precedentemente le forze politiche tradizionalmente dominanti alternatesi al governo del Paese.
A fronte di questa ampiezza e radicalità del movimento, la presidenza Macron, che al di là dell’iniziale cosmesi mediatica, è una presidenza “centrista”, si sta rivelando debole e credo ormai destinata a un insuccesso ineluttabile.
Tornando alla rivolta, alcuni tratti evidenti dovrebbero far riflettere anche chi cerca di tirarla politicamente verso destra in Italia.
Questa rivolta, per quanto al momento indubbiamente “bianca” dal punto di vista “etnico”, non si rivolge infatti verso “il basso”, nemmeno verso concittadini figli dell’immigrazione, neppure ha come bersaglio gli immigrati.
Si scontra invece direttamente col potere politico, visto come interprete e difensore degli interessi dei poteri economici e finanziari.
Se proprio dovessi speculare sulla situazione italiana guardando a quella francese, forse mi azzarderei a dire che la nostra specifica dinamica politica ha prodotto una situazione nella quale la formazione di una coalizione fra Lega e M5S è capitata proprio “opportunamente” per evitare uno scontro simile a quello francese.
Questa nostra coalizione infatti, più o meno consapevolmente, sta indirizzando lo scontro sociale non sul bersaglio grosso (certo, meno facile da individuare nell’intreccio camaleontico dei poteri “forti” italiani, di quanto non sia nella più netta divisione in classi francese), bensì verso il basso (profughi, migranti, immigrati, rom, emarginati, homeless, accattoni) e orizzontalmente, introducendo cunei e divisioni nell’ambito dei ceti di condizione economica bassa, medio-bassa, media, sia su questioni afferenti allo stato sociale, sia su questioni afferenti ai diritti civili.
C’è anche, nell’impostazione della politica economica e finanziaria del Governo italiano, una abbastanza rozza convinzione di poter attenuare le tensioni con misure che non ridistribuiscono la ricchezza “prodotta”, bensì distribuiscono risorse finanziarie virtuali derivanti dall’aumento del rapporto fra deficit e PIL.
In realtà un centrismo piuttosto neodemocristiano, benché spostato a destra anche con qualche tratto feroce (ma non del tutto inedito), sembra il connotato del populismo all’italiana.
È uno scenario senz’altro mistificatorio, assai lontano dalla capacità e direi anche dalla volontà di affrontare le questioni sociali strutturali italiane.
Ma se può contare, come del resto accade in Francia, sull’inesistenza di una credibile opposizione partitica progressista e di sinistra, non sarei così sicuro che non finisca per impattare prima o poi su reazioni sociali oppositive, anche radicali, aventi radici, motivazioni e obiettivi analoghi a quelli francesi.
Un caldo suggerimento agli analisti, infine.
La Francia è l’ultimo Paese europeo a poter accusare la UE delle proprie condizioni attuali. Ha goduto di franchigie politiche, finanziarie, economiche, ben superiori a quelle mai concesse all’Italia quale che ne fosse il Governo pro tempore.
Affidando perciò alla geopolitica internazionale o anche solo europea la spiegazione di quanto accade nei singoli Paesi, si rischia di cadere in illusioni ottiche ideologiche e poco realistiche.
Meglio stare ai fatti nella loro concretezza.

2 commenti

  • 1 admin
    9 Dicembre 2018 - 05:34

    Andrea Pubusa

    Caro Tonino,
    non da oggi sono convinto che la situazione europea sia giunta ad un punto di rottura a causa delle feroci politiche liberiste basate sull’austerità. L’esplosione della protesta in Francia conferma e rafforza questa mia convinzione. C’è nel Vecchio Continente una situazione insostenibile di massacro dei ceti popolari e anche di quelli medio-bassi, che rende inevitabile uno strappo nei confronti delle oligarchie finanziarie e politiche. La reazione europea e de partiti italiani ad una misura di mitigazione della povertà quale è il reddito di cittadinanza mostra quanto intransigente sia la difesa dei privilegi e l’istinto della classe dominante nei confronti degli interventi in favore dei ceti pià deboli. La reazione unanime destra-centrosinistra aIla manovra del governo italiano ha lo stesso segno liberista e di classe contro ogni tentativo di reintroduzione di politiche di stampo keynesiano a favore dei ceti popolari. Si dimentica che il New Deal di Roosevelt si fondò sull’espansione della spesa non sul pareggio di bilancio. Il paradosso è che sono parte di questa reazione anche le forze dell’ex sinistra e perfino di quegli spezzoni che dicono d’essere di sinistra.
    La scomparsa dei partiti comunisti e di vere socialdemocrazie (ormai passate nel fronte liberista) rende incerto l’esito di questa imminente rottura. Come si vede, in Francia la protesta è spontanea e senza riferimenti organizzativi. In Italia, in fondo, per ora siamo più fortunati perché il M5S è riuscito a catturare il malcontento incanalandolo in una dialettica democratica. Se viene ridimensionato, le incertezze e i pericoli diventano reali. Ecco perché dal campo democratico è auspicabile venga una sponda per un’alternativa di cui i pentastellati non possono che essere parte importante. La piazza francese mostra - come anche tu noti - l’imprevedibilità connessa ad una protesta acefala.

  • 2 Tonino Dessì
    9 Dicembre 2018 - 11:35

    Caro Andrea, posso comprendere le tue preoccupazioni per la china che ha preso il M5S e per la sua sorte, che rischia di vederne la componente di consenso culturalmente “di destra” (valutata da analisti come Ilvo Diamanti in almeno in un terzo del suo elettorato complessivo) fagocitata dalla Lega, ma credo che sia meglio prendere il toro per le corna finchè si è in tempo, senza illudersi di poter rimediare con pannicelli caldi.
    Intanto una puntualizzazione. Benché nella polemica politica italiana si tenda a trascurarlo, il centro delle obiezioni della Commissione UE (e del FMI) alla manovra originariamente prospettata dal Governo italiano non è costituito dalle singole misure di spesa. È vero che cenni critici sono rivolti alle misure in materia pensionistica, ma su reddito di cittadinanza nei documenti si colgono apprezzamenti e piuttosto suggerimenti volti a connetterlo strettamente a percorsi di sbocco lavorativo. Il nucleo centrale delle obiezioni sta nell’accentuazione che la manovra originariamente proposta introdurrebbe nello squilibrio fra incremento della spesa corrente finanziata in deficit e insufficiente massa di investimenti finalizzati alla crescita economica in un orizzonte a breve di rallentamento dell’economia mondiale e di bassa crescita del PIL italiano, che contraddice l’analisi economica contenuta nella Nota di aggiornamento al DEF. Per me che non considero affatto keynesiana la proposta governativa, le osservazioni della Commissione e del FMI suonano quanto di più ortodossamente keynesiano potrebbe capitare di leggere da parte di organismi considerati non del tutto a torto responsabili di un’impostazione liberista che ha condizionato negativamente l’economia occidentale e globale.
    E a tal proposito gioverebbe sempre ricordare che i fondamenti della politica economica e sociale della UE non li decide la Commissione (nemmeno la BCE), bensì il Consiglio, in cui siedono i Governi dei singoli Paesi, i quali al momento hanno stabilito unanimemente di non appoggiare il Governo italiano.
    Ciò premesso, ieri in Italia si sono svolte due manifestazioni, che direttamente investono il M5S, vedendolo tuttavia passivo.
    La prima è stata quella leghista romana, nella quale Salvini ha inteso rivendicare la leadership politica della maggioranza e del Paese. Ottantamila persone: nemmeno tante, se si tiene conto della preparazione organizzata e della copertura mediatica anticipata. Il dieci di novembre sempre a Roma, la manifestazione #Indivisibili contro il razzismo (e contro Salvini) ne ha viste in piazza centomila.
    La seconda di ieri è stata la manifestazione No-Tav di Torino. Settantamila persone su un tema solo contingentemente limitato, ma carico di una valenza simbolica generale, tanto da potersi dire che ancora una volta nel confronto di piazza la Lega esce seriamente ridimensionata. A Torino quell’altro “terzo” di elettorato del M5S mischiato ad una nutrita presenza di amministratori locali e di movimenti ambientalisti e della sinistra sociale di base hanno lanciato al M5S un richiamo all’ispirazione originaria, che rischia di svanire in questo connubio di governo con la Lega (che non a caso in Piemonte sulla TAV si è schierata a fianco di Confindustria, di Forza Italia e … del PD a favore della realizzazione dell’infrastruttura.
    Ora non è difficile comprendere che il bivio in cui si trova stretto il M5S può essere affrontato solo dal suo gruppo dirigente e non ci sono vie traverse affidabili ad alchimie con altri soggetti politici, per di più riottosi e in preda a convulsioni dissolutorie, come possono essere il PD e le sigle della sinistra residua.
    È nelle mani del M5S decidere come rettificare immagine, obiettivi, scelte culturali, ideali, politiche, prima di perdere tanto il suo “terzo” di destra quanto il suo “terzo” di sinistra finendo per ridursi a un corpo morto monco e ostaggio di Salvini.
    Questo vale tanto più se pensiamo ai riflessi che la sua attuale condizione può avere sulla situazione sarda alla vigilia di quel test anche sul piano italiano che sarà rappresentato dalle elezioni regionali. Elezioni nelle quali, rebus sic stantibus il M5S sembra tagliarsi progressivamente fuori dalla corsa per i primi due posti decisivi, restituendo al centrosinistra a guida Zedda chances inaspettate appena poche settimane fa di poter interpretare da solo e nelle sue articolazioni una risposta persino vincente contro il centrodestra sardo a eterodirezione leghista.

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