Partigiani italiani in Montenegro

20 Novembre 2018
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Gianna Lai

La Stampa

Oggi Martedì 20 novembre con inizio alle ore 17,30 presso la Società degli Operai in Via XX Settembre n. 80 l’ANPI e l‘UAPS presentano il libro di Erik Gobetti “La Resistenza dimenticata - Partigiani italiani in Montenegro (1943-1945)”. 
Relatore Gianluca Scroccu, storico
Sarà presente l’autore, Storico della guerra e della Resistenza nei Balcani

Eric Gobetti ha scritto anche un libro dal titolo, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Iugoslavia, Laterza, 2013. Ecco una recensione di Gianna Lai.

Mentre Hitler impone i suoi governi fantoccio nell’Europa occidentale occupata, gli eserciti italiani e tedeschi, a sostegno del nuovo ordine mediterraneo, si spartiscono i Balcani, stringendo alleanze con i collaborazionisti locali. Si apre questo bel libro di Eric Gobetti, Alleati al nemico L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943, Editori Laterza, 2013, con una cartina del territorio, chiarificatrice dei confini e delle diverse zone di occupazione italiana e tedesca, durante la Seconda guerra mondiale. E con riferimenti precisi ai campi di internamento italiani e di concentramento ustascia: ‘zona di espansione nazionale e ideologica’, l’Italia vi dispiega un’enorme quantità di risorse e il maggior numero dei suoi soldati.L’occupazione fascista, dalla Slovenia al Kosovo, e le formazioni collaborazioniste croate con a capo Pavelic e serbe con a capo il generale Draza Mihailovic, in una guerra civile che le vede contrapposte ai partigiani di Josip Broz “Tito”. L’esito di una lunga ricerca sul campo, che si fonda sulla raccolta di documenti d’archivio e sulla consultazione di diari e memorie, continuo il riferimento alla storiografia sul tema, molto ricco l’apparato di note e quello bibliografico.E’ una descrizione puntuale dello Stato Jugoslavo, giovane di appena vent’anni, sotto l’occupazione italiana, fortemente voluta da Mussolini e da Ciano, vero obiettivo del nazionalismo fascista dopo la ‘vittoria mutilata’, che tanto aveva contribuito al successo politico di Mussolini. Vi si opera già da tempo, per provocarne la disgregazione, attraverso gruppi terroristici separatisti, gli elementi più estremisti del nazionalismo locale, veri collaborazionisti poi dell’esercito italiano nelle zone di occupazione. Tra cui gli ustascia di Ante Pavelic, che riscuoterà la ‘benevola indulgenza delle gerarchie vaticane’, (le stesse lo aiuteranno a fuggire dopo la sconfitta), a riscontro, evidentemente, delle conversioni di massa al cattolicesimo cui avrebbe sottoposto le popolazioni serbo-ortodosse. Una precisa descrizione del sistema collaborazionista, ai militari italiani le città, ai collaborazionisti la gestione delle aree rurali, con la denominazione di milizie volontarie anticomuniste per le loro formazioni armate, incluse nell’esercito di occupazione. Una precisa descrizione del sistema fascista e di annessione militare all’Italia, fondato sulla ’superiorità culturale dell’italianità’, in vista della costruzione di un ‘Impero sull’Adriatico’. Una precisa analisi degli intrecci fra occupanti e nazionalismi locali nella ‘complessità sociale ed etno- nazionale di quel territorio’. Nella competizione con i tedeschi, a loro le città più grandi e le zone più ricche, fino all’alleanza italiana anche con i nazionalisti serbi, quando la Germania si avvicina al governo croato. Alleati del nemico, prende il titolo il libro in questo gioco perverso delle alleanze su un territorio di occupazione, il leader Mihailovic, collaborazionista serbo cetnico ( fucilato poi nel dopoguerra), è ministro del governo jugoslavo in esilio, ospite degli inglesi. Incompatibile come i croati ustascia fortemente determinati da ideologie legate all’espansionismo nazionalista.Una chiara descrizione dei nuovi rapporti di forza fra i gruppi dei collaborazionisti, una resa dei conti nella sistematica persecuzione dei croati contro le popolazioni serbe in Kosovo, vera e propria pulizia etnica, fino alla deportazione e allo sterminio di 500mila serbi. E gli eccidi dei serbo-mussulmani contro i serbi ortodossi, e i 25 mila ebrei e i 20 mila rom deportati nei campi di concentramento ustascia in territorio italiano, mentre gli occupanti esitano a intervenire, pur cercando di offrire aiuto alle popolazioni perseguitate e riuscendo a trarre in salvo almeno 5mila ebrei.Una chiara descrizione del sistema occupazionale infine, che a quegli eccidi e persecuzioni affianca i suoi tribunali e le sue deportazioni di massa, secondo i caratteri di una guerra coloniale, dice l’autore, che si definisce negli atti di terrorismo contro la popolazione: incendi e distruzione di case per rappresaglia, in un territorio dove la fame è parte integrante della strategia del terrore. Fino alla fucilazione degli ostaggi per rappresaglia, fino al sospetto dell’uso di gas tossici, ‘i crimini del bravo italiano, dice Eric Gobetti, lo stereotipo che resiste per non esserci stata una Norimberga italiana’. C’è da combattere, l’avanzare del Partito comunista di Tito, posto a capo di un movimento denominato di liberazione nazionale, a partire dall’ aprile 1941. Nelle aree a maggioranza serba, nelle realtà urbane, in Dalmazia, tra le popolazioni slovene, nel Montenegro, nelle province di Lubiana. Esercito di liberazione il suo organismo parallelo, simbolo nazionale dell’unità del popolo, gli aderenti definiti partigiani, di provenienza in particolare dai ceti intellettuali cittadini. Importante la figura dei commissari politici e la presenza delle donne, le zone liberate, che vengono definite dagli avversari ‘Repubbliche di Tito’, amministrate dai Comitati di liberazione nazionale, eletti a suffragio universale. Ed è guerra patriottica contro l’occupazione, guerra di liberazione ‘inscindibile dalla rivoluzione sociale e dalla costituzione di un nuovo sistema di potere’, secondo una nuova ‘ideologia jugoslavista’, basata sulla fratellanza di tutti i popoli. In alternativa alle stragi reciproche degli anni dell’occupazione che hanno provocato un milione di morti, sopratutto fra i civili.Fino alla sconfitta italiana, già prima dell’ 8 settembre in contatto i partigiani con alcune divisioni italiane per stabilire la tregua, mentre le strutture politico- militari collaborazioniste continueranno a combattere a fianco dei nazisti.

Una guerra civile che vede da un lato i partigiani dall’altro il fronte collaborazionista, e c’è una Resistenza forte e robusta al nazifascismo che nasce, prima di quella italiana, nell’estate del 1941. E spiega l’autore come la guerriglia jugoslava costruisca ‘un modello per i partigiani italiani che si troveranno a combattere un’analoga guerra di liberazione contro l’invasore tedesco dopo l’8 settembre 1943′..

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