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John Maynard Keynes nel 1928 tenne una lezione dal titolo “Possibilità economiche per i nostri nipoti“, prima agli studenti del Winchester College e poi a Cambridge. Lo scritto venne pubblicato due anni dopo. Ora torna di attualità in relazione al prodigioso sviluppo della robotica, che sgrava gli uomini dalla fatica e dal lavoro, ma pone più che mai un problema di distribuzione della ricchezza prodotta dalle macchine e del lavoro umano reso superfluo. Una parzialissima applicazione di questa impostazione sta alla base del c.d. dividendo sociale o reddito di cittadinanza.
Nello scritto questo risultato appare il frutto di un automatismo. A mio avviso, invece, è il centro della lotta di classe nei prossimi decenni. Per ora i ricchi diventano più ricchi e si appropriano del lavoro prodotto dalle macchine, come finora di quello dei lavoratori. Peggio la robotica di per sé, senza drastici correttivi, incrementa la disoccupazione e la sottoccupazione e dunque la povertà, che consente di abbassare i salari e ridurre i diritti di chi lavora. Si pone il problema d’invertire la tendenza per giungere ad una redistribuzione equa, tendenzialmente egualitaria, sia della ricchezza sia del lavoro. Keynes indicava in tre ore al giorno la quantità del lavoro pro capite a fronte di un corrispettivo capace di consentire al lavoratore e alla famiglia “una vita libera e dignitosa”, come dice oggi la nostra bella Costituzione. Nel resto della giornata, liberato dalla fatica, il lavoratore può fare il cittadino, ossia occuparsi della polis e delle cose piacevoli, dalle attività culturali alle altre connesse alla propria indole. A tutto questo darei un nome: socialismo, depurandolo dalle nefandezze cui spesso è stato associato.
Ecco una sintesi estrema della riflessione di Keynes. Si consiglia la lettura dell’intera scritto, cliccando sul link. (A.P.)
Negli ultimi tempi ci ritroviamo a soffrire di una forma particolarmente virulenta di pessimismo economico. È opinione comune, o quasi, che l’enorme progresso economico che ha segnato l’Ottocento sia finito per sempre; che il rapido miglioramento del tenore di vita abbia imboccato, almeno in Inghilterra, una parabola discendente; e che per ildecennio ci si debba aspettare non un incremento, ma un declino della prosperità.
Nelle pagine che seguono, tuttavia, non mi occuperò del presente, e nemmeno del futuro prossimo. Cercherò invece di proporre un antidoto alla miopia, e cioè una rapida incursione in un futuro ragionevolmente lontano. Che livello di sviluppo economico, proverò a chiedermi, possiamo immaginare di raggiungere da qui a cento anni? Quali possibilità economiche avranno i nostri nipoti?
Dai tempi più remoti dei quali conserviamo traccia — diciamo, da duemila anni prima di Cristo — all’inizio del Settecento il tenore di vita medio, nelle aree civilizzate, non è cambiato di molto. Ha avuto i suoi alti e bassi, come no. Ci sono state pestilenze, carestie, guerre. Età dell’oro, anche. Ma un cambiamento come quello che abbiamo conosciuto noi, inarrestabile e brutale, l’uomo non lo aveva mai visto. Nei quattromila anni che hanno preceduto, grossomodo, il Settecento ci sono stati tutt’al più periodi migliori di altri — però migliori al cinquanta, massimo al cento per cento, non di più.
Le cause di un progresso così lento, se non inesistente, si potevano ridurre a due: l’assenza di invenzioni di un qualche rilievo, e la mancata accumulazione del capitale…
Nel Cinquecento, con un poderoso crescendo dal Settecento in avanti, inizia la grande epoca delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche, epoca che entra per così dire a pieno regime nei primi anni dell’Ottocento — carbone, elettricità, petrolio, acciaio, gomma, cotone, industrie chimiche, macchine, sistemi per la produzione di massa, telegrafo, stampa, e poi Newton, Darwin, Einstein. L’elenco potrebbe comprendere migliaia di altre voci, peraltro note a tutti.
Ma qual è il risultato di questo sviluppo?
A dispetto dell’enorme incremento della popolazione mondiale, e del conseguente fabbisogno di case e di macchine, il tenore di vita medio in Europa e negli Stati Uniti è aumentato, a mio avviso, di circa quattro volte. Il capitale però è cresciuto in misura molto maggiore, una misura ben più di cento volte superiore a quella di qualsiasi altro periodo storico. Ed è impensabile che la popolazione continui nell’aumentare a questo ritmo.
Se il capitale aumenta, diciamo, del 2 per cento l’anno, il suo ammontare globale crescerà della metà in vent’anni, e fra un secolo sarà sette volte e mezzo quello odierno. Pensiamo a cosa questo potrà significare in termini materiali — di case, trasporti, e così via.
Al tempo stesso, negli ultimi dieci anni i progressi della tecnica per quanto riguarda la manifattura e i trasporti si sono susseguiti a un ritmo fin qui sconosciuto. Negli Stati Uniti la produzione industriale pro capite del 1925 era superiore del 40 per cento a quella del 1919. In Europa siamo stati rallentati da ostacoli di carattere temporaneo, ma ciò nonostante si può affermare con una certa tranquillità che l’efficienza tecnica si accresce a un ritmo superiore all’1 per cento annuo. Ed è certo che progressi scientifici di portata molto simile a quelli che sin qui hanno interessato essenzialmente l’industria si estenderanno, fra breve, anche all’agricoltura. Potremmo quindi essere alle soglie di un passo avanti nella produzione alimentare delle stesse dimensioni di quello che ha interessato l’estrazione di materie prime, la manifattura e i trasporti. Nel giro di pochi anni — intendo nell’arco della nostra vita — potremmo portare a termine ogni operazione connessa a queste attività con un quarto dello sforzo necessario oggi.
Al momento la rapidità stessa di questi cambiamenti ci turba, e ci pone problemi di non facile soluzione. Per paradosso, i Paesi più attardati sono anche più tranquilli. Noi abbiamo invece contratto un morbo di cui forse il lettore non conosce ancora il nome, ma del quale sentirà molto parlare negli anni a venire – la disoccupazione tecnologica. Scopriamo sempre nuovi sistemi per risparmiare forza lavoro, e li scopriamo troppo in fretta per riuscire a ricollocare quella forza lavoro altrove.
Ma si tratta di uno scompenso temporaneo. Nel lungo periodo, l’umanità è destinata a risolvere tutti i problemi di carattere economico. Mi spingo a prevedere che di qui a cento anni il tenore di vita nei Paesi avanzati sarà fra le quattro e le otto volte superiore a quello attuale. Alla luce delle nostre conoscenze attuali, è il meno che si possa dire. E immaginare una crescita anche più significativa non sarebbe un azzardo.
Da qui traggo una conclusione che, non ne dubito, troverete sbalorditiva. E più ci penserete, più vi sbalordirà.
La conclusione è che, in assenza di conflitti drammatici, o di drammatici aumenti della popolazione, fra cento anni il problema economico sarà risolto, o almeno sarà prossimo ad una soluzione. In altre parole, se guardiamo al futuro l’economia non si presenta come un problema permanente della nostra specie.
Insomma, per la prima volta dalla creazione l’uomo si troverà ad affrontare il problema più serio, e meno transitorio — come sfruttare la libertà dalle pressioni economiche, come occupare il tempo che la tecnica e gli interessi composti gli avranno regalato, come vivere in modo saggio, piacevole, e salutare.
E dovremo fare di virtù necessità – mettere il più possibile in comune il lavoro superstite. Turni di tre ore, o settimane di quindici, potranno procrastinare per un po’ il problema. Tre ore al giorno dovrebbero bastare…
Dunque guardo a quei giorni, spero non troppo remoti, in cui il più grande cambiamento mai occorso nella storia e nella vita sociale dell’uomo si avvererà. Ma si avvererà un po’ alla volta, senza catastrofi. In realtà è già cominciato. A poco a poco, gruppi di individui sempre più ampi si liberano dalla necessità. La soglia critica verrà raggiunta quando questa condizione sarà diffusa a tal punto che inevitabilmente cambieranno i doveri di ciascuno verso il prossimo. Perché sotto il profilo economico rimarrà ragionevole continuare a fare per gli altri quello che non servirà più fare per se stessi.
Il passo al quale raggiungeremo questo stato di beatitudine economica dipenderà da quattro elementi: la capacità controllare l’aumento della popolazione, la determinazione nell’evitare guerre e tensioni sociali, la disponibilità ad affidare alla scienza il governo di ciò che propriamente le compete, e il tasso di accumulazione fissato nel margine fra produzione e consumo; punto quest’ultimo che si realizzerà da solo, al realizzarsi degli altri tre.
Nel frattempo, sarà bene prepararci al nostro destino, e sperimentare — nell’arte, nella vita, e nelle attività utili.
1 commento
1 Aladin
3 Dicembre 2018 - 00:59
Anche su Aladinews; http://www.aladinpensiero.it/?p=90675
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