Gianfranco Sabattini
Di recente, il filosofo Axel Honnet ha sostenuto, in “L’idea di socialismo. Un sogno necessario”, che le difficoltà del socialismo a risolvere i problemi del mondo attuale sono dovute ad un suo “vizio teorico genetico”; nel definire le proprie istanze sociali nel corso del XIX secolo, esso si sarebbe riferito in modo esclusivo alla sfera delle attività economiche, trascurando la tendenza della dinamica sociale a differenziare la società anche in sfere di tutt’altra natura.
Inoltre, essendosi affidato prevalentemente all’importanza dei movimenti sorretti dalla protesta operaia, il socialismo sarebbe stato vittima di una sorta di “cecità giuridica”, per via del fatto che, man mano che i cittadini aumentavano istituzionalmente i loro diritti civili, il socialismo avrebbe sottovalutato l’influenza che tali diritti giungevano ad esercitare sulla sfera della formazione della volontà politica e, attraverso questa, sul governo dell’economia e di quello delle altre sfere extraeconomiche.
Infine, la vocazione internazionalista del socialismo d’origine avrebbe trascurato la necessità che la sua azione politica internazionale fosse ancorata, più di quanto lo è stata, alle tradizioni locali.
L’analisi compiuta da Honneth sui limiti dell’impostazione teorica del socialismo d’origine, per quanto convincente e condivisibile, anche perché supportata dai continui riferimenti ai maggiori teorici sociali che nel corso dell’Ottocento hanno contribuito in misura diversa alla formalizzazione della teoria del socialismo, trascura di considerare che gran parte delle osservazioni critiche da lui formulate, se non tutte, sono state anticipate dal contributo del rivoluzionario Italiano Giuseppe Mazzini; nell’analisi di Honneth, manca sorprendentemente ogni riferimento alla dura contrapposizione che Mazzini ha condotto contro l’elaborazione marxiana del “nucleo centrale” della teoria.
La contrapposizione di Mazzini a Marx si è svolta, in seno al movimento dei lavoratori, nel momento della costituzione della cosiddetta “Prima internazionale” presso la S. Martin’s Hall di Londra nel 1864. A questa storica riunione erano presenti i rappresentanti delle associazioni dei lavoratori dei Paesi economicamente più avanzati dell’epoca; oltre a quelli di Francia, Inghilterra e Germania, vi erano anche rappresentanti delle associazioni dei lavoratori di altri Paesi “minori”, tra i quali l’Italia. Le rappresentanze dei Paesi economicamente più avanzati, come Francia e Inghilterra, oltre ad essere più numerose erano anche le più qualificate sul piano della difesa degli interessi immediati dei lavoratori ed erano anche quelle meno distratte dal perseguimento di altre finalità.
Le tesi marxiane hanno così avuto modo di prevalere e di radicarsi, soprattutto in Francia e Germania, dove la posizione dei lavoratori non trovava ancora un’adeguata difesa. Il pensiero marxiano si è diffuso soprattutto dopo il 1848 (in particolare intorno al 1864); il suo formulatore, Karl Marx, uno dei massimi teorici della scienza economica ufficiale del momento, aveva già dato corpo alla sua opera più importante, “Il Capitale”, con cui riusciva a giustificare la fondatezza delle sue argomentazioni. Mazzini e i suoi seguaci non disponevano dei mezzi analitici necessari per contrapporre alla forza del pensiero di Marx, soprattutto in un momento in cui l’esperienza sembrava dare fondamento a quanto l’analisi che intendevano criticare affermava riguardo alle disfunzioni provocate dai rapporti sociali e dalle istituzioni del capitalismo sulle condizioni di vita dei lavoratori.
Il presunto “socialismo scientifico” di Marx, che individuava nelle forze intrinseche al processo evolutivo della storia (sorrette dai movimenti proletari) l’elemento propulsore della trasformazione sociale, ha potuto così prevalere, sia per le deboli spiegazioni del fenomeno dello sfruttamento economico (che Mazzini e i mazziniani mutuavano prevalentemente dal sansimonismo, dal proudhonismo e anche dal lassallismo); sia per lo scarso appoggio sociale che gli stessi mutuavano dalla condizione in cui versava l’Italia ancora suddivisa in piccoli Stati pre-unitari, privi di tradizioni democratiche, di strutture economiche avanzate (come quelle dei maggiori Paesi europei) e di organizzazioni motivate ad impegnarsi per la tutela dei lavoratori.
Così, nelle riunioni che hanno preceduto la costituzione della “Prima internazionale”, il mazzinianesimo, pur godendo di un iniziale favore, ha finito per essere messo in minoranza dai seguaci di Marx. Il pensiero marxiano, in tal modo, grazie alla sua maggior coerenza sul piano degli effetti immediati e alla maggior efficacia delle proposte che da esso potevano essere derivate sul piano della mobilitazione degli lavoratori, ha potuto dare il proprio imprimatur alla teoria originaria del socialismo; teoria che, per lungo tempo, esprimerà le istanze più condivise del movimento dei lavoratori.
Col suo concretismo, il pensiero marxiano è riuscito infatti a fare divergere la strada verso la quale le condizioni di aggravato bisogno indirizzavano la coscienza dei lavoratori, rispetto a quella indicata dal socialismo libertario e democratico proposto da Mazzini. Il pensiero di Marx (soprattutto nella interpretazioni che di esso ne daranno, per scopi soprattutto prasseologici, alcuni suoi esegeti) evidenzierà, solo in un tempo successivo, l’erroneità del suo profetismo e la vacuità del suo messaggio consolatorio.
A differenza di Marx, per il quale l’idea di patria era una componente dell’ideologia borghese utilizzata per giustificare conflitti tra le nazioni capitalistiche, per Mazzini tale idea non implicava alcun significato esclusivo e nazionalistico; essa esprimeva piuttosto un presidio a sostegno della libertà e dignità dell’uomo e dell’intera umanità. Questo presidio poteva essere edificato, realizzando innanzitutto la patria di ogni popolo e, nell’insieme delle libere patrie, stringere l’intera umanità in un comune destino dei diversi popoli. Con ciò, il patriottismo di Mazzini non riconosceva valore politico all’unità e all’omogeneità etnica di un popolo; lo riconosceva invece alla lealtà alle regole e al modo di vita delle singole nazionalità, ognuna con la propria storia, la propria cultura e le proprie tradizioni.
Mazzini era dell’idea che l’alternativa alla società capitalistica fosse la costituzione di una comunità democratica in cui risultasse attuata una più equa distribuzione del prodotto sociale a favore dei lavoratori; alla democrazia proletaria, preconizzata da Marx, Mazzini contrapponeva un sistema alternativo di “democrazia repubblicana”, con la quale perseguire, nella libertà, l’obiettivo dell’equità sociale, attraverso la realizzazione di una struttura istituzionale fondata sulla rimozione delle ineguaglianze e sulla partecipazione al processo decisionale collettivo; sono questi i due principi (principio di comunità o di fratellanza, il primo; principio di pari influenza politica per tutti i componenti della comunità, il secondo) sui quali Mazzini fondava l’organizzazione del socialismo democratico e libertario.
L’attuazione della democrazia repubblicana poteva essere pensata realizzabile in due momenti successivi: il primo, quello della riforma dell’organizzazione istituzionale originaria della comunità, da affrontare nel breve periodo; il secondo, riguardante il mutamento istituzionale e comportamentale, da realizzare, invece, nel medio-lungo periodo. Questo processo di trasformazione della comunità doveva svolgersi nel rispetto della proprietà privata, intesa, da un lato, come presidio e garanzia della libertà di scelta dei singoli soggetti e, dall’altro, come salvaguardia della loro dignità personale. Il socialismo mazziniano, perciò, era alternativo a qualsiasi forma organizzativa delle comunità che risultasse, o di natura statolatrica e tale da negare la libertà individuale, oppure di natura individualistica e tale da consentire che la libertà di alcuni potesse sacrificare la libertà degli altri.
Il principio comunitario proprio del socialismo mazziniano non implicava una radicale uguaglianza distributiva, ma un’uguaglianza delle opportunità che fosse compatibile con la natura dell’istituto della “proprietà repubblicana”. Questo istituto, inquadrato nella prospettiva del socialismo mazziniano, era assoggettato a due condizioni: una relativa al contenimento delle disuguaglianze distributive tra i componenti la comunità; l’altra riguardante la garanzia per ogni membro della comunità, in quanto comproprietario del capitale fisso sociale, di poter partecipare paritariamente all’assunzione delle decisioni collettive riguardanti la gestione dello satesso.
Il contenimento delle disuguaglianze distributive e la partecipazione paritaria nelle decisioni collettive erano la logica conseguenza delle due condizioni connesse alla istituzionalizzazione della proprietà repubblicana. Esse implicavano la condivisione dell’istanza secondo cui tutte le vite umane hanno uguale importanza; l’assunto si fondava su due principi che Mazzini poneva a garanzia della dignità umana: il primo di tali principi affermava che ogni vita umana ha un suo particolare valore oggettivo, per cui una volta che comincia una vita è positivo che essa riesca a realizzare il suo potenziale, impedendo che questo vada disperso; il secondo principio affermava che ogni soggetto è responsabile del successo della propria vita, ovvero della scelta del tipo di vita da condurre per auto-realizzarsi, per cui non doveva essere possibile per alcuno dettare ad altri i propri valori personali, perché le scelte di ognuno dovevano riflettere la personale valutazione sul modo di gestire la propria esistenza.
I due principi potevano sembrare individualistici, nel senso che attribuivano valore e responsabilità alle scelte dei singoli soggetti; ma il fatto di presupporre che il successo di una vita singola non potesse essere realizzato indipendentemente dal successo dell’intera comunità della quale era parte escludeva la valenza individualistica: considerati congiuntamente, essi (i due principi) connotavano le relazioni tra i soggetti, per effetto del principio di comunità, sotto il segno della reciprocità comunitaria, quindi della collaborazione solidale.
L’ordinamento politico-giuridico alternativo a quello liberale e capitalistico doveva consistere, per Mazzini, nell’accordare l’idea liberale della libertà individuale con quella democratica, l’idea di patria e di nazione con quella di federazione tra i popoli, fondandole sul principio di nazionalità e non sul nazionalismo, sul concetto di tradizione e non su quello di razza, infine sul concetto di umanità, che egli definiva “patria di tutte le patrie”. In tal modo, Mazzini non riduceva la questione nazionale ai confini politici e geografici di un determinato territorio, perché - come afferma Maurizio De Blasio in “Patria, Europa, umanità per Giuseppe Mazzini” - il territorio e la lingua “erano per lui solo ‘indizi di nazionalità’, non sufficienti da soli a determinarli”, mentre la patria non era che il senso di comunione che stringeva “in uno tutti i figli del territorio”.
Ma il senso di comunione poteva costituirsi solo risolvendo la “questione sociale”, attraverso una rivoluzione culturale con cui attuare un progresso decisivo, rivolto soprattutto alle classi operaie, senza trascurare però tutte le altre esigenze che continuavano ad emergere in conseguenza del cambiamento della società. Il filo conduttore della storia del XIX secolo, secondo Mazzini, era l’aspirazione degli uomini, dopo aver risolto la questione sociale all’interno delle singole patrie, a stringersi, ad unificarsi, ad associarsi, pur appartenendo a popoli diversi; mentre la forma di Stato, in cui i popoli realizzavano la propria unità non poteva che essere, secondo il rivoluzionario del Risorgimento, una repubblica democratica. In questa non dovevano essere i singoli individui o singoli gruppi (come invece era implicito nelle idee della Rivoluzione francese), ma tutte le parti di un tutto individuato nel popolo. Ogni violenza e ogni egoismo fatti valere ai danni di un membro della comunità (oppure di un altro popolo) era da considerarsi violazione della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza, costituenti il fondamento del legame che deve tenere uniti, sia i componenti di una data comunità, sia i popoli in cui è articolata l’umanità.
In questa prospettiva, la libertà è, nel progetto di futuro di Mazzini, il diritto di ogni uomo (e di ogni popolo) di compiere senza ostacoli e restrizioni tutte le azioni ritenute necessarie per realizzare, nel rispetto reciproco, il proprio progetto di vita. In questo contesto, per Mazzini – ricorda Hans Gustav Keller in “La Giovine Europa. Studio sulla storia dell’idea federalistica e di quella nazionale” – l’uguaglianza (tra gli uomini di ogni singola patria e tra i popoli costituenti l’umanità) deve consistere nel partecipare, in ragione del proprio lavoro e delle proprie tradizioni, al godimento del prodotto sociale, conseguente all’impegno di tutte le forze attive di ogni popolo e dell’intera umanità. L’umana fratellanza, infine, deve essere la forza che conduce gli uomini e i popoli a fare per gli altri ciò che ogni singolo uomo (o ogni singolo popolo) vorrebbe “si facesse da altri” nei suoi confronti.
Non è questo il senso dell’aggiornamento teorico che, secondo Honneth, avrebbe dovuto consentire la conformazione dell’idea socialista dell’origine anche alla soluzione dei problemi del tempo presente? Mazzini lo aveva abbondantemente anticipato; ciò che stupisce è che i sostenitori italiani dell’idea socialista di parte social-riformista ignorino, a differenza di una sempre più abbondante letteratura estera, quanto un loro compatriota ha avuto il coraggio di affermare, contro le conseguenze negative, che Mazzini aveva saputo prevedere, del modello di socialismo che è poi riuscito a prevalere.
2 commenti
1 Aladinews
2 Novembre 2018 - 10:35
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=88988
2 Serenella
2 Novembre 2018 - 13:18
Bello questo articolo! Grazie!!! Leggerlo, riuscire a capirlo ed umilmente constatare di averlo sempre pensato e di non essere mai riuscita a dirlo, a scriverlo!!! “L’umana fratellanza, INFINE, deve essere la forza che conduce gli uomini e i popoli a fare per gli altri ciò che ogni singolo uomo (o ogni singolo popolo) vorrebbe “si facesse da altri” nei suoi confronti”
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