Andrea Pubusa
Paolo Maninchedda, con la sua ben nota tenacia, organizza Sas Primarias – Primarie Nazionali della Sardegna per il 16 dicembre. Prepara già le schede, che saranno due: una riguarderà il candidato alla presidenza, ma l’altra sarà - scondo i promotori - un voto storico sulla percezione che i sardi hanno di sé. Spiega Franciscu Sedda: «Secondo noi la coscienza di essere Nazione, di essere una collettività portatrice di diritti e interessi singolari, non sacrificabili o subordinabili ad altro, che vanno difesi e affermati davanti allo Stato italiano e all’Europa, è il passo avanti collettivo che ci deve unire. Tuttavia, a differenza di altri che si intestano strumentalmente la conoscenza dei desideri della propria gente, noi vogliamo che siano i sardi a dirci cosa sentono, credono, vogliono. Questo è un vero indipendentismo rivoluzionario: quello che come in Scozia e in Catalogna non ha paura di mettersi in ascolto e a disposizione. Quello che chiede alle persone di esprimersi sui grandi temi, le grandi visioni, i grandi diritti collettivi, per farsene protagonisti, per tracciare il senso della storia».
Ora, muovendo da questi presupposti, ideali e politici, giusti o sbagliati che siano, come fa Paolo a lasciare il passo ad una nomina diretta da parte di Martina o dei vertici sardi del PD, magari allargati ad Uras ed Agus o ai resti di LeU?
E allora? Allora, o Zedda partecipa alle Primarias di Paolo, dichiarando che anche per lui la società sarda è una Nazione, cioè una comunità di valori e interessi condivisi, oppure Paolo va per la sua strada. Uras, “ideologo” di Campo progressista (superstite solo a Cagliari e dintorni), ha sentenziato che si può fare. Per lui in fondo “popolo” e “nazione” uguali sono. Fra i due concetti non c’è grande differenza, si tratta solo di parole diverse e non è il caso di fare gli schizzinosi, di perder tempo in battaglie su questioni terminolgiche, Del resto, per Uras era buona anche un’alleanza con Forza Italia pur di respingere i barbari (cioè i pentastellati) all’assalto delle mura della cittadella del potere regionale. Ma, senza citare gli altri satrapi sel PD, ce lo vedete Soru entrare nel percorso tracciato da Maninchedda? Per lui sarebbe una avvilente sottomissione al suo vecchio amico diventato nemico. Insomma, nel PD se si tira la coperta da una parte si scopre scopre l’altra. Il tempo delle scelte stringe, la paralisi non giova. E Maninchedda tira dritto con le sue Primarias, che il il 16 dicembre, manco a dirlo, lo incoroneranno candidato dei sardi alla presidenza.
Ma cosa rimane del PD e dintorni senza Maninchedda? Non si sa, ma non molto. Il PD è in caduta libera di per sé, poi c’è un’area nel Nord Sardegna che ha seguito il percorso proposto da Maninchedda (Nandino Degotes & C.) ed è difficile che torni indietro ora che la scadenza è vicina. Maninchedda ha poi contatti con aree del centrosinistra anche nel nuorese. Infine, ci sono rumors di scisssione in Leu: una parte di Sinistra italiana è contraria alla candidatura Zedda, vista come la foglia di fico del vecchio centro-sinistra genuflesso a Renzi. Il centrosinistra del sì allo sfascio della Costituzione e della piatta gestione di questa legislatura regionale.
Ora, è difficile valutare le carte di Maninchedda. Può darsi che esageri, ma dice di avere buoni riscontri nei sondaggi e una partecipazione a sas Primarias di non meno di 70.000 persone. Questo, tradotto in voti, vuol dire che il PDS può superare lo sbarramento del 5% e accedere alla ripartizione dei seggi. Cosa rimane al PD con Zedda? Non si sa, ma non molto. Secondo voci dall’interno 3/4 seggi.
Morale della favola: il centrodestra a trazione Salvini ha molte probabilità di vittoria. Il M5S è al momento l’antagonista principale, ma il vento di marzo 2018 non soffierà a febbraio 2019. Tuttavia è certo che chi vuol provare a sbarrare la strada a Salvini deve paradossalmente votare pentastellati. Coloro che gridano “al fascismo, al fascismo” verso il governo centrale hanno come unica credibile alternativa alla Lega in Sardegna proprio i tanto vituperati gialloverdi. Zedda e Maninchedda divisi non sono l’alternativa. E non lo è neanche Paolo ove il PD, senza Zedda, decida di aderire alle primarie del PDS o faccia lista con loro.
3 commenti
1 Aladin
30 Ottobre 2018 - 09:19
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=88982
2 aldo lobina
30 Ottobre 2018 - 17:47
Analisi condivisibile dal mio punto di vista. Ma cosa vieta ai 5 Stelle sardi, al PDS, alla sinistra e a quel che resta del PD di accordarsi, “contrattando” un cartello elettorale e programmatico, cioè di governo, per battere la destra? Continuità territoriale, lavoro, valori identitari(mai xenofobi) economia di sviluppo, (agricoltura bio, fonti energetiche rinnovabili, salvaguardia della terra, dell’aria e dell’acqua),cultura, rispetto dello Statuto e della Costituzione potrebbero metterli d’accordo. Solo così avrebbero senso elezioni primarie per la scelta del Presidente della Regione, altrimenti ridotte ad una inutile farsa di risultati prevedibili per i singoli raggruppamenti .
3 Franco Meloni, direttore Aladinews
30 Ottobre 2018 - 21:16
In alternativa alla (pur legittima) scelta astensionistica o al voto (seppur nobile ) di testimonianza, ritengo sia giusto perseguire un’alternativa, che consiste in una inedita aggregazione basata su un “contratto elettorale e programmatico per battere la destra”. Gli stipulanti? Eccoli: M5S, AutodetermiNatzione, Pds, LeU e resistenti non renziani del Pd. Concordo pertanto con quanto dice Aldo Lobina, peraltro nella linea autorevolmente tracciata al riguardo, ormai da tempo, da Andrea Pubusa. Missione impossibile? Sicuramente impossibile, almeno allo stato. Sappiamo infatti che il M5S (che è la forza elettorale più consistente e pertanto carica di maggiori responsabilità), così pure gli altri partiti/aggregazioni citati, non ci stanno. Lo hanno detto e ripetuto. Pertanto tutto si appalesa come una “missione impossibile” e, aggiungiamo “disperata”, ma noi - noi della “sinistra senza appartenenze” - non dobbiamo avere alcun problema di azzardare e avanzare tale proposta, proponendoci come “campioni dell’impossibile” per questo fine ispirati da un bel aforisma, al riguardo adattato ad hoc, di Barbara Wootton*:
“E’ dai campioni dell’impossibile piuttosto che dagli schiavi del possibile che l’evoluzione trae la sua forza creativa.”
* http://www.dizie.eu/dizionario/wootton-barbara/
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