Giulio Farnetti
Che forza Mario Faticoni! Sabato scorso ho assistito al debutto di “Che bella gente - visita a Giorgio Gaber”, in una sala gremita del Teatro Sant’Eulalia di Cagliari. Ed ho provato tante suggestioni.
Accanto a Mario Faticoni, autore anche del testo dello spettacolo, c’è il pianista Salvatore Spano, per la regia di Paolo Giorgio. E c’è il Gaber ragazzo che suona la chitarra nei localini di Milano, che per me adolescente, affascinato da Elvis Presley, da Jerry Lee Lewis, Little Richard, Bill Halley, Fats Domino e gli altri, è colui che mi fà ballare il rock al ritmo frenetico di “Ciao ti dirò”. Lui comincia a cantare per scherzo assieme a Celentano e Jannaci, ma io lo prendo sul serio. E con me i miei amici in un garage, traformato la domenica in sala da ballo, col giradischi padrone assoluto del campo. E poi c’è il Gaber delle prime cotte, con “Genevieve” e “Non arrossire”. C’è l’incontro suo con le canzoni di Paoli e degli altri genovesi e poi dei Brel, Becaud, Piaf, e c’è il mio incontro con quel cantante proibito, da ascoltare clandestinamente con gli amici, quale, per lungo tempo, fu Fabrizio De André. E c’è sopratutto il Gaber del teatro, centinaia e centinaia di spettacoli di fronte al pubblico con canzoni e monologhi, scritti a due mani con Sandro Luporini, che toccano tutta la tematica esistenziale e morale di oltre trent’anni di vita italiana. Un Gaber che al tempo ho capito poco o a sprazzi attraverso qualche canzone. Allora c’era difficoltà in provincia a cogliere le suggestioni di un teatro alternativo, che non andava in TV né in radio. Poi, nel frattempo, ero cresciuto anch’io ed ero ormai un “militante” comunista, eretico sì, ma non così tanto da apprezzare fino in fondo un uomo dalla critica fine, sferzante e disincantata come fu Gaber. L’ho capito dopo i tanti crolli di tante illusioni e di tante ipocrisie. Solo allora ho realizzato che Giorgio Gaber, nei suoi lavori, ci aveva detto tutto, ci aveva messo in guardia, chiamandoci a guardare in faccia la realtà, alla coerenza fra idee grandi e comportamenti piccini, a squarciare il velo delle nostre tante ipocrisie, che ci hanno condotto alle derive attuali.
“Che bella gente” visita con intelligenza questo scenario gaberiano, dalle pagine ironiche più pungenti a una decina di splendide tragicomiche canzoni. E Mario Faticoni lo fà con leggerezza, forza e passione. Con le “Mutazioni”, ossia la narrazione della storia d’Italia, letta con occhi disincantati, senza sconti, Faticoni ci ha regalato non solo una bella pagina di Teatro, ma anche una grande occasione di riflessione sulla nostra storia e su noi stessi.
A fine spettacolo molti pensieri. Ma Gaber cos’era diventato: un qualunquista, né di destra né di sinistra? O ci richiamava con forza a guardare oltre le immagini, al di là dei simboli e delle gratificanti autoqualificazioni. Ci chiamava o no ad un impegno vero, ad un’autenticità ormai smarrita? A riscoprire le radici rivoluzionarie della sinistra, il suo essere movimento che incessantemente trasforma le idee e le cose, anziché adagiarvisi e trarne piccoli e grandi vantaggi in danno dei più. Insomma, è sinistra la declamazione di principi astratti, mentre si guarda, con piglio saccente, una umanità maltrattata e sofferente? E’ di sinistra la trama per un seggio o un incarico oppure lo è la lotta con i più deboli, per cambiare? Prima non capivo, anzi talora mi infastidiva, ora Gaber mi sembra un gigante. E Mario Faticoni ce lo restituisce nella sua tragicomica grandezza e intelligenza. Ci parla di Gaber, ma dice di noi. Ci costringe ad interrogarci sull’oggi, sull’allentarsi del nostro impegno civile, sul rilassamento nella difesa dei diritti, della laicità dello Stato, della democrazia!
Tornando a caso con mia moglie pensiamo che il Crogiolo meriterebbe maggiore attenzione. E’ una grande risorsa, uno scrinio prezioso di intelligenza per Cagliari e per la Sardegna. Fa un grande lavoro di ricerca che ormai a sinistra non fa più nessuno e lo porge sotto forma di ottimo teatro, di recitazione coinvolgente. Dovremmo seguirlo di più, stargli più vicino. Anche se capisco perché in molti gli stanno lontani. Faticoni, col suo teatro, ci porge uno specchio tutto speciale, che ci mostra impietosamente come siamo, senza imbellettamenti. Prima di trasformare gli altri ci fa comprendere che bisogna cambiare noi stessi, nel profondo. E forse questo c’imbarazza, c’infastidisce. E’ quantomeno faticoso, più difficile che leggere i giornali e dare giudizi supponenti. Ci fà capire che bisogna tornare a farci carico dei problemi della gente con la gente. E’ faticoso, certo. Ma è l’unico modo per risalire la china in un Paese in cui oggi tante persone sono in sofferenza per il lavoro, a causa dell’incertezza del futuro e sono a rischio anche gli spazi democratici. Grazie Mario. E noi, suvvia, seguiamolo di più!
Ecco ora i materiali preparati dal Crogiolo per l’occasione.
“L’eleganza inesorabile, la lucidità, l’ironia potente e leggera, la buona creanza nonostante l’intelligenza rivoluzionaria, la sottile gentilezza d’animo, la voglia di ridere comunque… La potenza della semplicità nella sua musica e nella sua esposizione vocale, il non arrendersi alle mode… L’abbaglianza del suo apparentemente placido intero fanno di Giorgio un essere assolutamente unico, come artista e come uomo”. Mina
Nota dell’autore
La critica sociale portata a teatro ed elevata al rango di poesia è l’auspicabile alternativa, ove fosse più frequentata, alla letteratura saggistica di nicchia e alle filippiche dei tromboni populisti (questi ultimi, ahimé, hanno a volte il privilegio dell’amplificazione televisiva).
Nella storia del teatro italiano degli ultimi trent’ anni Giorgio Gaber è stato l’attore che ha meglio descritto la società del suo tempo. Nato come cantante, Gaber ha modellato corpo, maschera, voce secondo i canoni del più limpido alfabeto scenico, sui testi piccoli gioielli drammaturgici, scritti in collaborazione col pittore scrittore Sandro Luporini.
Ho il sospetto che l’orribile tempo che viviamo, tenuto conto delle recenti iniziative governative, sia orientato a cancellare questa miracolosa sorpresa del teatro italiano, facendo regredire Gaber all’antico ruolo giovanile di consolatore televisivo e discografico.
Mario Faticoni
Nota di regia
Gaber. Il nome di questo artista poliedrico, popolare e al tempo stesso sofisticato, è ormai avvolto dall’aura del mito. Autore di canzonette di successo, di testi teatrali penetranti e di quel teatro canzone, ormai entrato nel dna dello spettatore italiano, che ha generato figli, nipoti e a volte distorte caricature. Di Gaber non si possono dimenticare le espressioni, le pause, la figura allampanata montata su gambe dinoccolate, e la voce, frantumata in un gorgoglìo che era tutta l’epopea dell’uomo comune, riassunta in un suono.
La figura di Giorgio Gaber, la sua personalità trascinante, è anche un’ombra che si allunga sulla sua stessa opera, sulla ricezione e sulla fruizione della sua straordinaria qualità di autore, capace di sintetizzare la vita comune delle persone in parole che ci riguardano tutti. Per molti è difficile staccarsi dal ricordo delle sue interpretazioni, e immaginare che i suoi testi possano essere detti in modo diverso, interrogati secondo nuove prospettive e suggerire percorsi inediti.
“Che Bella Gente” nasce dalla convinzione che il valore dell’opera di Gaber sia principalmente letterario e musicale, e che il fattore performativo sia stato un talento ulteriore che illuminava gli altri. Come ogni corpus teatrale che si rispetti, questo universo di ritmi e parole ispira confronti su terreni non battuti. Il percorso testuale di Mario Faticoni ripercorre la sua opera alla ricerca di sentieri poco conosciuti, sul filo di quell’impegno civile e umano che era il segno distintivo di Giorgio Gaber: una profonda insofferenza per il processo di disumanizzazione di cui oggi paghiamo le conseguenze, una pietà partecipata per quella miseria dell’uomo comune presente in tutti noi, il bisogno di ritrovare un senso dell’agire politico basato sull’etica di una visione del mondo, e non sulla brama di profitto personale. È un percorso d’esistenza e creazione la cui voce risuona ancora più forte oggi, nel nostro caos contemporaneo, epifania tragicamente esatta delle più fosche previsioni gaberiane.
La voce di Mario Faticoni attraversa questi testi in un tono personale, di confronto, sul filo di quel teatro di conversazione che persegue da anni. Trasforma canzoni in brani recitati, restituendo alla parola la sua dirompente forza originale. Tracia percorsi atipici, collegando temi e bisogni, in confronto serrato con una storia che è anche la sua. Le parole di Gaber gli appartengono, perché ha vissuto le stesse esperienze, gli stessi bisogni, gli stessi traumi d’immaginario tradito.
“Che bella gente” è una visita ad un amico molto intelligente, di cui si prendono in prestito le parole per capire meglio il proprio percorso. La scena è una scatola della memoria che intreccia linguaggi diversi, musica, video, canto, parola, per raccontare un’epopea della quotidianità che appartiene a una intera generazione, e può parlare a quelle a venire. Il pianoforte di Salvatore Spano non è solo un contrappunto, ma un autentico personaggio che dialoga con il testo, con l’attore, con il pubblico.
Non ci si risparmia il divertimento dei grandi pezzi della tradizione gaberiana, dal ‘Bloccato’ al ‘Conformista’, dal ‘Bar Casablanca’ a ‘C’è solo la strada’. Ma la tensione fondamentale, il punto al quale si indirizzano tutte le parole di questo spettacolo, vario e continuamente in movimento, è il sogno di una nuova pedagogia. La capacità di ritrovare in età adulta la forza etica per agire come si vorrebbe agissero i nostri figli, per agire come di fronte a uno specchio che rimanda un’immagine di noi pulita, consapevole, impegnata. È ciò che insegneremo ai nostri bambini, che farà la differenza nel mondo che andiamo a costruire per loro. Ed è quello di cui qui, oggi, abbiamo chiesto a Giorgio Gaber di parlarci.
Paolo Giorgio
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