Andrea Pubusa
Si possono spiegare le vittorie di Berlusconi con la vecchia credenza secondo cui gli italiani praticano, ancora una volta, “Franza o Spagna purché se magna” o la vittoria di Cappellacci con l’atavico spirito stolto. servile e rissoso dei sardi? O c’è qualcosa di più profondo da sondare, a scanso di altre disfatte? In questa prospettiva, a voler badare alle cose senza infingimenti, occorre ammettere che in Italia gli ultimi vent’anni hanno segnato l’affermarsi di una egemonia culturale del berlusconismo (forma indigena del liberismo), che, come tutti i processi egemonici ha travalicato la propria parte, coinvolgendo anche vasti settori dello schieramento opposto. E’ sufficiente vedere la trasformazione della figura dell’intellettuale. Ricordate Norberto Bobbio? Diceva che gli uomini di cultura non devono avere un ruolo propagandistico, ma eminentemente una funzione critica. E, si badi, non una funzione critica qualsiasi, banalmente contro la parte avversa, ma addirittura, se necessario, anche rispetto alla propria parte. Per quanto schierati, gli uomini di cultura - secondo il filosofo torinese - devono anzitutto opporsi criticamente a procedimenti falsificatori e a ragionamenti viziati sia che provengano dallo schieramento opposto sia che siano avanzati da quello “amico”. Insomma, l’uomo di cultura deve rifiutare i termini della lotta come sono posti, deve discuterli, sottoporli alla critica della ragione, e ciò deve fare anche nei confronti del proprio schieramento. “Al di là del dovere della collaborazione c’è il diritto dell’indagine”. Come dice icasticamente Umberto Eco, traendo il succo della lezione bobbiana, “il primo dovere dell’intellettuale è parlare contro la parte con cui sta, anche a costo d’essere fucilato dopo la prima ondata”. E ciò per migliorare, per correggere il progetto, per renderlo più conforme agli interessi dei cittadini. Per salvare la propria parte dal disastro. Certo è una visione più disincantata di quella gramsciana “dell’intellettuale organico”; teneva conto, il torinese, di quanto Gramsci aveva intravisto, ma dalla sbarre di Turi non pienamente apprezzato, e cioé che l’organicità dell’uomo di cultura alla classe operaia e rivoluzionaria, può trasformarne i connotati una volta preso il potere (come accadde tragicamente in URSS) o anche quando il partito da moderno principe collettivo si trasforma in macchina burocratica gerarchizzata. Ma anche nella visione gramsciana l’intellettuale è anzitutto critico del presente e proiettato verso l’ordine nuovo, in favore del quale deve creare quell’egemonia che scongiura il ricorso alla forza.
Bene, tornando ai nostri giorni, cos’è rimasto di quella lezione? Poco o niente. Le ragioni? Tante. Ma fra esse è facile annoverare la crescente influenza del mercato sulla vita intellettuale, l’istituzionalizzazione e la professionalizzazione di quest’ultima, il crescente potere dei media e l’erosione dello spazio pubblico per l’eserczio dell’autonomia. Ma cos’è il professionalismo? E’ l’intendere e praticare il lavoro mentale non come promozione di idee, ma come fornitura di servizi professionali. Il professionalismo promuove così valori e forme di comportamento in contraddizione con quelli degli intellettuali autonomi. Accantona la critica dello status quo, la funzione di coscienza della società o la ricerca della verità senza curarsi delle conseguenze. Certo, ci può essere un’ambivalenza: l’intellettuale può essere anche un esperto professionista, ma perde l’indole di uomo di cultura quando antepone il suo essere professionista al suo essere intellettuale, quando non c’è coerenza fra i due; quando fra essi c’è dissociazione, prevale il fornitore di servizi. Le due figure hanno un ethos diverso, opposto: il primo è rivolto al mercato e ne accetta le regole; il secondo promuove le idee per la persona, per l’uomo a prescindere e, se necessario, contro il mercato. Il professionismo è oggi la più seria minaccia che l’intellettualità autonoma si trova a fronteggiare. Il potere delle forze del mercato determina il contenuto della produzione culturale. E ne influenza anche i comportamenti pubblici. Molti intellettuali cercano il successo nei media e spesso si trasformano in teste parlanti al servizio dello spettacolo e scoprono che vengono ingaggiati solo nella misura in cui assicurano frasi ad effetto e intrattenimento. E’ così facile vedere in TV programmi che inventano la storia, evocano storie fantasiose e misteriose, teorie fantascientifiche.
Bene. Se noi, planando, ci interroghiamo ora sul degrado costituzionale, ci accorgiamo che molti di coloro che stigmatizzano Berlusconi, sono in realtà, coscienti o non, da lui egemonizzati. Sono oggettivamente berlusconiani. Nessuno meglio di Zagrebelsky, non a caso anche lui dell’Ateneo torinese come Bobbio, spiega questa mutazione. “I costituzionalisti [ma il discorso vale per i giuspubblicisti in genere, ma anche per architetti etc.: ndr.] sono doventati consulenti, vezzeggiati, ricompensati per entrare.in commissioni parlamentari, in redazioni di giornali, in partiti, in facoltà giudiche vicine ai palazzi della poliica. Il diritto costituzionale è diventato un veicolo per carriere professionali di vario tipo e così ha cambiato natura, rispetto ai primi decenni di vita repubblicana” E queste - sottolinea amaramente il Presidente emerito della Corte costituzionale - “sono constatazioni, non giudizi”. Sopratutto negli anni ‘60 per i giuspubblicisti la Costituzione “non era uno strumento ma un fine, un insieme di principi ordinativi della nostra soocietà che chiedevano adesione”. “Oggi la scienza del diritto costituzionale pullula di studiosi …che professano avversione per le idee politiche e sociali che la Costituzione esprime”. E allora perché meravigliarsi del degrado costituzionale, dei pericoli che corre la nostra Carta. Oggi, il fine di molti costituzionalisti anche del centrosinistra non è l’attuazione ma il cambiamento della Costituzione. Ne volete la prova? Il Parlamento nominato dall’alto ha introdotto un sistema di voto rimesso ai capi che controllano le liste. Che fanno in aula Calvisi, Amalia Schirru, Pili, Guido Melis o Massidda? Votano autonomamente e in consonanza con un elettorato che non hanno? O pensano a non contrariare i capibastone che li hanno messi e li rimetteranno in lista? Ed allora perché non ammettere che il Cavaliere vuole formalizzare quanto insieme, destra e centrosinistra, hanno già introdotto nella costituzione materiale. E che dire della soppressione di giunte e assemblee. L’elezione diretta di sindaci, di presidenti provinciali e regionali chi l’ha introdotta? Berlusconi con la fiera opposizione del centrosinistra? O lo hanno fatto di conserva? La statuaria sarda iperpresidenziallista e antiparlamentare di chi è figlia di Cappellacci? Dei giuristi-consulenti del Cavaliere? E chi i presidenti delle regioni li ha chiamati “governatori”, a sottolineare ch’essi governano da soli? I soli maitre a penser di FI e AN? E in Sardegna chi ha sostenuto con forza queste idee eversive della Costituzione e dei suoi valori? Solo il centrodestra? O il PD, PRC, PDCI, IDV, Socialforum e siti vari di sinistra. Ma costoro dicono che chi ha criticato Soru ce l’ha personalmente con lui! O è stolto, ragiona con le viscere anziché con la testa. Oppure ha una mania di persecuzione di Soru.
Perché non rendiamo le cose più semplici? Alcuni di noi hanno fatto gli intellettuali bobbiani. Abbiamo cercato di avvisare il manovratore che stava correndo velocemente verso il precipizio. Altri, per non contrariarlo, tappandosi il naso, bocca e occhi, con gravi malesseri, avete lasciato che precipitasse, distruggendo quanto insieme avevamo ereditato o costruito nei decenni: un ampio schieramento democratico e di sinistra, radicato nel territorio. Ma, per favore, per ricostruirlo, bisogna tornare alla ragione, ad essere intellettuali che indagano la realtà criticamente, anche quella di questi ultimi cinque anni. Senza attribuire la paternità dei disastri agli operai disperati e astensionisti, ai democratici che non votano destra solo perché si autoprocalama centrosinistra. No, la paternità della disfatta non è dei “governati”, è di chi, a nome nostro, ha governato nella passata legislatura. E di coloro che, non disinteressati, gli hanno tenuto bordone. E’ da qui che dobbiamo ripartire tutti, con spirito di riconciliazione, senza alibi o diversivi.
Per tornare a vincere bisogna sconfiggere il Berlusconi che è in noi
17 Marzo 2009
1 Commento
1 commento
1 A. Nieddu
17 Marzo 2009 - 13:37
Non mi azzardo ad aggiungere un commento, caro Pubusa; solo un ringraziamento ( che spero non abbia sapore di piaggeria) per questo e per altri articoli che aiutano a capire, che danno forma a quello che si pensa in modo meno chiaro e articolato.
Nessuna piaggeria quindi, ma quando ci vuole ci vuole.
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