Tonino Dessì
Se fossimo in momenti normali, ci si potrebbe aspettare che fra la Commissione UE e il Governo italiano una vertenza e una trattativa sui margini della manovra finanziaria si concludessero con una mediazione.
Magari concordando un rapporto deficit/pil al 2.0 per cento e il proseguimento in qualche forma del sostegno della BCE mediante l’acquisto di titoli diStato italiani per evitare sbalzi dello spread.
Un compromesso volto a consentire alla prima manovra del nuovo governo di avere un minimo di respiro e a non strozzare sul nascere il corso politico apertosi con le elezioni del 4 marzo.
Ma il fatto è che siamo in piena campagna elettorale e ciascuno fa i suoi conti prevalentemente alla luce di questo orizzonte.
Le dichiarazioni puramente politiche del Commissario Francese Moscovici precedenti alla lettera di ieri della Commissione (firmata da lui stesso e dal collega lettone Dombrovskis), “Bisogna salvare la UE da Orban, da Salvini e da Le Pen”, si comprendono solo con questa chiave di lettura, perché invece, sotto il profilo istituzionale, dovrebbero esser considerate inappropriate e inopportune.
Il Governo italiano ha forzato consapevolmente il gioco, per un verso, calcando fin dell’approvazione della Nota di aggiornamento del DEF i toni della “sfida alla UE”.
Per altro verso ha prestato il fianco alle accuse di scarsa affidabilità: aver prima sconfessato il Ministro Tria facendogli rimangiare l’impegno a mantenere basso il rapporto deficit/pil e poi mandatogli Ministro Savona a straparlare in libertà di una crescita prevedibile dell’economia italiana intorno al 3 per cento, non ha certo dato un gran segno di serietà.
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.
E in Europa c’è, fuori d’Italia, chi avrebbe interesse a picchiare durissimo, proprio in vista della scadenza del rinnovo del Parlamento di Strasburgo, al quale le destre estreme europee hanno assegnato la valenza di un giudizio di Dio e per il quale ovviamente gli altri schieramenti vanno attrezzandosi non esitando concentrare il fuoco interno ai rispettivi Paesi alimentando i pregiudizi contro i Paesi retrogradi, indebitati, inefficienti e parassitari.
Ora sarebbe auspicabile che davvero esista un ‘Piano B’, perché lunedì all’apertura dei mercati finanziari il cappio potrebbe stringersi malamente.
Ma non può essere il vagheggiato “Piano B” del “Cigno nero”, del casus belli italiano che farebbe collassare la UE.
Troppi dimenticano che già da tempo, ancorché messo in sordina, un “Piano B” esiste davvero e potrebbe riemergere: non tanto quello della Troika alla greca, ma quello dell’”Europa a due velocità”, con un’integrazione accentuata del nucleo franco-tedesco-centroeuropeo più forte e un’area sud e mediterranea satellitare, più debole e quasi da quarantena.
Ora è il momento di vedere se il Governo italiano è dotato di qualche sapienza politica, capace di portare a casa risultati concreti.
In difetto, anche la praticabilità e gli effetti di misure attese e non prive di senso, come un reddito di cittadinanza equilibrato e un intervento sulle pensioni minime per fronteggiare anche questo fronte delle povertà, saranno messi in discussione.
Certo è che un mero appello al patriottismo contro la UE, senza correzioni di tiro e di toni, saprebbe di insistenza demagogica e per di più sarebbero in tanti, in Italia, ad aborrire l’idea di stringersi a coorte intorno allo xenofobo e orbaniano Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli interni leghista.
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