Lavorare meno, ma con qualità

3 Ottobre 2018
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Gavino Dettori

In vista del Convegno sul Lavoro di venerdì al Banco di Sardegna in viale Bonaria, ecco un altro interessante contributo.

E’ pieno di significati  lo slogan “ LAVORARE MENO,LAVORARE MEGLIO, LAVORARE TUTTI” del convegno  (ott. 2017) promosso dal “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria e da  “ Europe Direct Regione Sardegna, di cui oggi sono stati pubblicati gli atti.
Il classico e sfortunato slogan,  ma oggi più che mai attuale, “ lavorare meno, lavorare tutti”, degli anni della attiva contestazione, si arricchisce del termine moderno:  lavorare meglio. Questo non è un fatto superficiale, ma sostanziale, se oggi ci accorgiamo  che, con il pur indispensabile lavoro, in circa  tre secoli abbiamo depauperato la terra, più di quanto l’uomo non ha fatto in tutta la sua esistenza, e abbiamo degradato la persona umana, riducendola a mero schiavo, quale elemento di  mercificazione economica  e di mercato, quando invece, il lavoro deve servire  non solo alla produzione degli indispensabili  beni di consumo,ma anche come elemento  di valorizzazione della dignità umana, contribuendo allo sviluppo dello  scopo principale della vita, che è la felicità.
Ma nell’era del massimo sviluppo del sistema economico “ capitalista”,  questo traguardo sta venendo a mancare, nel mentre che tutti i politici del mondo sono concentrati a promuovere lo sviluppo ,… pur che sia, attraverso l’aumento della produzione dei beni. Sembra una  esigenza logica e indifferibile, ma,… se tutti i popoli seguissero questa parola d’ordine,  bisognerebbe pensare da dove attingere i beni per la produzione. Ma l’uomo tanto illuso, non ha ancora superato l’ esigenza di  vivere  estraniandosi dalla terra, mentre anche crescerà a dismisura la popolazione mondiale.
Il paradosso che dovremo vivere sta nel fatto che il “ massimo sviluppo” , come lo  richiede  il sistema attuale economico, non è proprio auspicabile, e pertanto bisognerà convertire questa esigenza in qualcos’altro che non sia distruttivo per il “ bene terra”, a cui nessuno sta ancora pensando, pur sapendo che si tratta di un problema indifferibile. Gli studiosi di varie branche del pensiero, mandano segnali, ma i politici sono intenti a proporsi come i risolutori del problema facendo vacue e pericolose promesse, pur di vivere il “ momento di gloria” in atto al loro mandato.
Alcuni anni fa ho letto un libro  intitolato: “ denaro e paradiso”, i cattolici e l’economia globale; scritto da E. Gotti  Tedeschi e da Rino  Cammilleri, con la prefazione di T.  Bertone segretario di stato  Del Papa Benedetto XVI, ed. LiNDAU.
Vi è l’esaltazione dell’economia di mercato su cui si fonda il  sistema capitalista, dice: la più efficace e utile perché è quella che dà all’uomo la maggior possibilità di crescita, alimentata dalla creazione della felicità che deriva all’uomo dalla sua libertà nell’invenzione, e nell’intrapresa della iniziautiva privata, in competizione con gli altri, in competizione, anche,  con l’economia pubblica, che dice: “…si fonda invece su programmi  formulati dallo Stato per indirizzare la vita economica del paese.”
Io mi sono chiesto, da non credente, se  Gesù e S. Francesco non erano felici , per il fatto di aver scelto la povertà, e la dedizione per il prossimo come stile di vita, e se non sono felici coloro che nel nostro oggi, si dedicano al volontariato, lavorando e aiutando i deboli- bisognosi, e rinunciando ad accumulare  qualche soldo in più (rinuncia del  Dio denaro, dice Papa Francesco), accontentandosi di quello che loro ritengono sufficiente per vivere dignitosamente.
Lo sapevamo che la chiesa cattolica ha promosso lo sviluppo del capitalismo e patteggiato per il libero mercato. Ma, in breve tempo, la situazione è precipitata ed il sistema capitalista è entrato in crisi nel momento della sua massima espansione; l’attuale Papa , non manca che in ogni sua omelia non metta in guardia i fedeli dal farsi trascinare dal “ Dio denaro”  alimentato dal  “sistema ingiusto, e parla della sofferenza dell’uomo  che non ha il lavoro, delle donne, degli   “ scarti” anziani, dei giovani, questo nell’incontro con gli operai durante la sua visita in Cagliari (2012) “…dice anche:
Noi dobbiamo DIRE NO! a questa CULTURA DELLO SCARTO, noi dobbiamo dire VOGLIAMO UN SISTEMA GIUSTO un sistema che ci faccia andare avanti tutti. Dobbiamo dire:  NOI NON VOGLIAMO QUESTO SISTEMA ECONOMICO GLOBALIZZATO che ci fa tanto male. Al CENTRO DEVE ESSERCI L’UOMO E LA DONNA come Dio vuole, non il denaro…una SOFFERENZA DA MANCANZA DI LAVORO che ti porta , scusatemi se sono un poco forte, ma dico la verità, ti porta a sentirti SENZA DIGNITA’e dove non c’è lavoro manca la dignità… “
Questo pensiero è poi tutto sistematizzato nella sua enciclica LAUDATO Sì.
La ricerca della  felicità, sembra il motore dell’economia attraverso l’intrapresa della iniziativa individuale, ma questa che è la strada che esalta l’egoismo, non sembra l’unica via per raggiungere la felicità, che si può cercare nella più duratura e umana pratica  della visione solidaristica, verso il benessere collettivo. Ma superare la visione del benessere  personale verso il benessere sociale, non è spontaneo  e richiede una riflessione  sullo stato del proprio divenire ed un fattivo impegno sociale ed anche una visione di rinuncia, alla ricerca del benessere tout- court.
Per questo, occorre che nel sociale si agisca con continuità per una educazione  verso il benessere collettivo, inteso come ricerca del benessere personale e garanzia della propria sicurezza, diversamente la costante esaltazione della sfera individuale, condurrà  a creare il divario economico e le ingiustizie tra le persone e ad incancrenire i mali del mondo ed impoverire il bene terra delle limitate risorse. Ma anche  il semplice lavoro può essere la strada per raggiungere la felicità, quando ci si coinvolge emotivamente nell’insieme delle persone che contribuiscono al benessere sociale, e sentirsi cittadino fautore  della società. Purtroppo il lavoro di oggi, in una società complessa, non è semplice da creare, meno anche se si tratta di un lavoro compatibile con il sistema  ambientale. Oggi bisogna agire in un ambito collettivo  che  non permette l’arbitrarietà del singolo cittadino, senza che questi non provochi danni ambientali. Bisogna quindi trovare il modo  di fare  produzione  attraverso il risanamento, dopo che l’industria ha devastato l’ambiente per fini speculativi  ed è cessata la motivazione del suo essere. Ma l’industrializzazione  ha provocato anche la “distruzione del lavoro”, quando all’inizio della rivoluzione industriale  ha desertificato le campagne  e fatto scomparire gli antichi  mestieri creando anche le concentrazioni urbane, come  anche oggi avvengono, con l’illusoria attesa  di un posto di lavoro.
Alla fuga dalle campagne  e alle concentrazioni urbane, non sono seguiti interventi di conservazione  e incentivazione  delle aree rurali, essendo anche queste lasciate in mano ai latifondisti,  che godevano delle rendite parassitarie per opera  del lavoro collettivo delle famiglie  dei coloni, che molto sfruttati preferirono provare un propagandato lavoro sicuro nella industria nascente.
Rivendicare il LAVORO, significa rivendicare il lavoro rubato all’iniziativa personale che negli agglomerati urbani non è possibile attuare, se non per pochi, da cui deriva  la disoccupazione per molti. Basta risalire con il pensiero alla fase evolutiva dell’uomo che da cacciatore diventa agricoltore, a  colui che ha deciso di recintare il   terreno, e che ha reso dipendente, poi schiavo, colui che non ha recintato, per renderci conto che il diritto al lavoro è stato negato proprio in quel momento, creando il primo “crimine contro l’umanità” . La rivendica  del lavoro, deriva dall’attuazione di questo crimine, e le società democratiche l’hanno elevato a giusto diritto.
Il lavoro è la linea di discrimine tra la società capitalista e collettivista, e  quando ci sarà il lavoro per tutti, il capitalismo sarà radicalmente  trasformato tanto da non esistere? Non sapremo come si chiamerà quella società,  che sarà socialista, ed è quella verso la quale dovremo tendere, anche se le fallite  esperienze finora sperimentate non sono state confortevoli, ma dovremo perseguire il meglio delle potenzialità che ci potranno ancora offrire, per vedere l’uomo liberato, e l’ambiente di vita  salvaguardato.

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