Verso il Convegno sul Lavoro. Con Marco Mereu (Fiom) parliamo del lavoro vecchio e nuovo nel cagliaritano

3 Ottobre 2018
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Gianna Lai

In vista del Convegno sul lavoro del 5 ottobre al Banco di Sardegna (viale Bonaria Sala Cionferenze, ore 16, indetto dal Comitato di inziativa costituzionale e statutaria con Domenico De Masi, dopo l’intervista a Giacomo Meloni della CSS, ecco il punto sul lavoro nel cagliaritano in questa intervista a Marco Mereu, dirigente provinciale della FIOM.


Un quadro dell’occupazione nel nostro territorio, con la Saras che, naturalmente se ne prende la fetta più grossa. Resta ancora importante la presenza degli operai metalmeccanici nelle industrie del cagliaritano?
Oltre 5mila gli occupati nell’ industria, all’incirca una metà presso la raffineria Saras di Sarroch, un’altra metà a Macchiareddu, e poi piccole produzioni con 2 o 3 operai dipendenti.
Alla Saras, 1000 dipendenti chimici, il nucleo forte degli effettivi, 27-28mila euro all’anno lo stipendio, 1500 i metalmeccanici dipendenti dalle aziende d’appalto, quelli a tempo indeterminato, 20-21mila euro all’anno di stipendio, e poi 200 edili, e poi gli stagionali, che lavorano seguendo le esigenze della manutenzione, nelle fermate della fabbrica. Per un indotto di circa tremila lavoratori, molto importante sull’intera area industriale di Cagliari, che ne risulta senz’altro condizionata. Si tratta di lavorazione del petrolio, fortemente dipendente, come sappiamo, dall’andamento delle produzioni mondiali, dai rapporti internazionali, dall’uso dell’elettrico, dall’uso stesso del metano in quanto energia di transizione rispetto alle rinnovabili. Per cui una contrazione del mercato comporterebbe immediatamente gravi ricadute sull’intero territorio isolano, in termini di occupazione e di tenuta dell’industria.
Centrale la produzione negli impianti, mentre con gare d’appalto Saras affida la manutenzione alle imprese metalmeccaniche. E si tratta di un’aggiudicazione assegnata al massimo ribasso, che si fonda naturalmente sulla contrazione del costo del lavoro ed il maggiore sfruttamento degli operai, e che prevede un premialità di cui beneficiano i dipendenti chimici, secondo un meccanismo divisivo, atto a creare distinzioni precise tra i lavoratori, a impedire ogni unità di intenti tra le categorie.

La Saras ha possibilità di crescita, tende a ingrandirsi, a modernizzare gli impianti e la produzione?
Saras non assume, ma avvia, con investimenti molto importanti, un processo di digitalizzazione da estendere all’intera azienda, all’intera strumentazione industriale. Sofisticata tecnologia per nuovi sensori, che terranno sotto controllo gli impianti e garantiranno maggiore sicurezza e che comporteranno tuttavia, sostituendosi alle vecchie apparecchiature, vere restrizioni dei posti di lavoro, in particolare fra i dipendenti chimici, più che negli appalti della manutenzione. E si tratterà di un’altra mazzata per la tenuta dei livelli occupativi nel territorio, cui il Sindacato dedica tutta la sua attenzione, e che non preoccupa invece la Giunta regionale, mancando ogni volontà di mettere in campo valide politiche del lavoro da estendere all’intera Isola.

E Macchiareddu, quali industrie dopo la crisi che ha colpito il settore in questi anni, provocando grossi tagli all’occupazione?
Le più importanti, a partire da quelle che contano più addetti, la Bekaert, già Gencort, già Bridgstone, produce cavetti d’acciaio per pneumatici, 245 dipendenti a tempo indeterminato, più 50 contrattisti, con relativo indotto, per complessiavi 350 lavoratori. Avanzato il livello tecnologico, da tempo in atto un vero processo di robotizzazione.
E poi Fluorsid, industria chimica di 200 dipendenti e relative ditte d’appalto. E ENI chimica, con qualche centinaio di operai, 200 gli operai metalmeccanici nelle ditte d’appalto, di cui oggi resta solo l’impianto cloro-soda e le bonifiche della Syndial, società ENI che fornisce servizio integrato nel risanamento ambientale. A Giorgino Remosa, valvole per impianti petrolchimici che occupa 250 metalmeccanici.
E poi è presenza operaia importante quella del settore auto, nelle concessionarie dei grossi gruppi produttivi, da CIA in poi. Fino a 500 i dipendenti complessivamente, se comprendiamo i metalmeccanici destinati alla manutenzione e i venditori, con contratto naturalmente di commercio. E poi gli altrettanti dipendenti del Porto canale, sempre in bilico, perché risente la struttura, fin dalla sua nascita, della mancanza di una vero progetto industriale, di una seria politica di sviluppo legata al contesto nazionale.

Ma avanzano le nuove tecnologie nel territorio? C’è futuro per l’industria sarda dell’innovazione? Sarà in grado il territorio di creare nuovo sviluppo e occupazione fondata su lavoro di qualità?
Se abbiamo già detto del calo di operai nel settore metalmeccanico, durante questi anni si deve registrare invece una presenza importante di nuova tecnologia avanzata, nelle imprese dell’informatica e del software. Engenery, Telit, Italteleco, il prodotto per l’innovazione futura, dai 150 ai 200 dipendenti. Ingegneri elettronici e informatici che lavorano a ritmi sostenuti in azienda e piuttosto avulsi dal contesto, senza collegamenti con le altre imprese e con i lavoratori del territorio. Per questo scarsamente sindacalizzati, pur nella loro appartenenenza alla categoria dei metalmeccanici, e scarsamente impegnati nella vita del Sindacato, se pensiamo che Sindacato e Contrattazione nazionale sono presenti a Engenery e Telit, l’impresa israeliana ospitata a Tiscali, mentre a Italteleco mancano e la contrattazione e le RSU, e gli stipendi dei dipendenti non vanno mai oltre i 1200 euro mensili.

Speriamo che questa tecnogia trovi applicazione anche nelle fabbriche del territorio!
Si può dire che l’area metropolitana resta in Sardegna fortemente attrattiva, quelle aziende portano lavoro, possono espandersi e richiamare nuovi investimenti, per produrre sviluppo e occupazione. Ci vuole classe dirigente e scelte politiche in grado di programmare e costruire un piano di interventi Così a proposito anche del Porto canale, i presupposti per un rilancio sono in una seria gestione industriale, un vero piano industriale che veda interventi adatti a creare sinergia con gli altri porti italiani, e non solo: crescerà il commercio col Nord Africa, il Marocco, la Tunisia, e si approfondiranno i rapporti già esistenti con l’Italia. Penso alla grande industria di produzione Renault nel Marocco settentrionale, orientato verso il commercio mediterraneo, uno sviluppo che, seriamente favorito, potrebbe anche intercettare numerosi migranti dell’Africa

La presenza della Federazione Italiana Operai Metalmeccanici in fabbrica, quanti sono gli iscritti e su quali vertenze prevalentemente intervenite?
Nelle aziende di cui abbiamo parlato, c’è una forte presenza della FIOM-CGIL e dobbiamo dire che la partecipazione dei lavoratori all’impegno sindacale e alla vita attiva, in tutto il territorio, è di buon livello, come si è potuto riscontrare anche nel Congresso della CGIL, tutt’ora in fase di svolgimento. 2164 gli iscritti alla FIOM, al 31 dicembre dello scorso anno, compresi i lavoratori in mobilità e in Naspi, quelli che usufruiscono, cioè, dell’indennità mensile di disoccupazione. Presenti dapertutto le RSU, le Rappresentanze Sindacali Unitarie nelle aziende, l’intervento del Sindacato si concentra in particolare sulla premialità, sul premio di produzione da distribuire ai lavoratori a seconda dell’andamento dell’impresa stessa. Ma si deve spesso intervenire sul ritardo del pagamento dei salari nelle aziende d’appalto, con frequenza particolare fra quelle che lavorano per la Saras, mentre non ci sono vertenze aperte in difesa di posti di lavoro a rischio, il calo degli addetti essendo già avvenuto massicciamente nel corso degli anni. Bisogna aggiungere che il maggior sfruttamento dei lavoratori avviene proprio nelle imprese di appalto, più bassi i salari, più esposti i lavoratori a incidenti e condizioni di rischio, conseguenza diretta del meccanismo, come dicevamo, delle gare al massimo ribasso, e che Sindacato e RSU son sempre stati molto impegnati sul fronte della sicurezza e delle condizioni di lavoro in fabbrica. Resta infine sempre difficile mantenere i rappori con i lavoratori licenziati, ma l’organizzazione dei disoccupati è una questione che riguarda le varie categorie, e la Confederazione stessa nella sua interezza, e che deve essere affrontata a partire dalla battaglia sulle politiche del lavoro, proposte dalla CGIL a più riprese in questi anni.

Annullata dal Jobs Act la Cassa integrazione per le ‘aree di crisi complessa’, che riguarda 80 mila lavoratori in tutta Italia e 2300 lavoratori sardi, Porto Torres e Portovesme in particolare. Al tema il Sindacato nazionale FIOM è riuscito a dare visibilità nei giorni scorsi, riaprendo la vertenza col ministro. Come incidono nel territorio le politiche degli ammortizzatori sociali o contratti di solidarietà, cassa integrazione, e indennità di disoccupazione?
Già dichiarato incostituzionale dalla Corte, sui risarcimenti ai licenziati, resta profondamente iniquo il Jobs Act, che cancella l’articolo 18, rimedio propagandisticamente agitato come la soluzione di tutti i problemi. E nel mentre è continuato gravemente a mancare il lavoro e a venir meno dapertutto. E non differenzia l’età di chi il lavoro lo perde, il Jobs Act, dei lavoratori in età matura che, più di tutti, hanno bisogno di sostegno al reddito, come avveniva prima con la mobilità, e di contare su riqualificazione e ricollocamento. Il Jobs Act annulla, una volta superato il limite dei 36 mesi a disposizione nel quinquennio, la Cassa integrazione straordinaria, quella finalizzata al reinserimento nel mondo del lavoro. Ed è stato il modo, questo, per compromettere tutti gli strumenti di sostegno al reddito, che non sono semplice richiesta di assistenza, ma richiesta di continuità di lavoro e di sviluppo industriale.
Per quanto riguarda il territorio di Cagliari, c’è da dire che qui la Cassa integrazione risulta invece marginale, non esiste nelle grosse aziende, mentre le piccole solitamente licenziano, per riduzione di personale, senza ricorrere ai Contratti di solidarietà. Poche centinaia, quindi, i lavoratori coinvolti, in particolare lavoratori a bassa qualifica, ma resta gravissima la disoccupazione, in tutti i settori, con tendenza all’aumento continuo.

Accennavi prima al ruolo che avrebbe dovuto svolgere la Giunta regionale rispetto alla grave disoccupazione che pesa su tutta l’Isola. Quali le politiche del lavoro adottate in questi anni nel cagliaritano?
Del tutto marginali gli interventi sull’occupazione da parte di questa Giunta, si tratta solo di cantieri affidati ai Comuni, per riempire il vuoto di tutta una legislatura, e sempre sorda la Regione anche rispetto alle esigenze di riqualificazione dei lavoratori. Voglio fare l’esempio di una nostra pressante richiesta, come Sindacato, per la formazione di saldatori di fibra che, pur assicurandoci i funzionari regionali la disponibilità dei finanziamenti comunitari destinati a farla partire, non è mai stata attivata. Ma per responsabilità, crediamo, anche delle stesse aziende interessate, che non si sono mai impegnate in prima persona per sollecitarne l’avvio. Imprenditori deresponsabilizzati, una Regione del tutto assente, che dire quindi anche dei Centri per l’impiego, in Sardegna quasi inesistenti, se pensiamo che nell’intero territorio nazionale incidono appena per il 2% dei disoccupati, contro il 20% in Germania?

Da dove partire, dunque, per creare spazi di nuova occupazione, per aprire nuove prospettive al mondo del lavoro? Quale giudizio esprimere sulle politiche di questo nuovo Governo nazionale, sul Decreto dignità e sul Reddito di cittadinanza?
Oggi in Italia dobbiamo ripartire seguendo le orme della vertenza Ilva, una vertenza ripresa esattamente dal punto in cui mancavano all’appello ben mille lavoratori, che l’azienda, passata recentemente nelle mani di una società indiana, si è impegnata ad assumere, nel corso di stringenti trattativa. Il Ministro è intervenuto a sostegno del Sindacato sull’occupazione, ed è stato anche ripristinato l’articolo 18: la presenza dei vertici della CGIL e della FIOM nazionale, con Francesca Re David e Maurizio Landini, è stata garanzia di un buon accordo finale, sottoscritto poi dai lavoratori chiamati ad esprimersi.
Del Decreto dignità, che siamo interessati a vedere come man mano si attuerà, non si può nel modo più assoluto condividere la politica dei voucher per turismo e agricoltura, un ‘apri e chiudi’ continuo che non dà garanzia alcuna al lavoratore. Sarebbe addirittura da preferirsi il Contratto a termine, che rende possibili future assunzioni, almeno per le qualifiche di medio livello e che invece il Decreto dignità riduce fortemente. Mentre siamo ugualmente interessati a vedere come si delineerà nel tempo il Reddito di cittadinanza, se destinato a combattere la povertà e a promuovere lavoro, all’inserimento nel mondo del lavoro di chi ne è stato lungamente escluso.

Ripartire da una politica sindacale nuova, molti credono, e non solo tra gli iscritti, che sia Landini il nuovo Segretario in grado di traghettare la CGIL verso un futuro meno incerto, in grado di ridare unità al mondo del lavoro e concretezza alla rappresentanza sociale. Rilevate questo auspicio tra i delegati al Congresso?
Sì certo, abbiamo contribuito a sviluppare il dibattito in questa direzione, a partire dal nostro stesso nella difesa del lavoro, dell’occupazione, dell’uguaglianza. In questi anni di duro e continuo attacco alla CGIL, Landini è vera espressione di una storia del Sindacato che difende i diritti e la Carta costituzionale, e che vuole ancora essere determinante nella politica sociale del Paese, dalla parte dei lavoratori e dei più deboli.

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