Tonino Dessì
Consentimi Andrea di rubarti un po’ di spazio per replicarti in una discussione che non si sta svolgendo solo qui fra noi e che tocca aspetti molto delicati e con tutta evidenza molto rilevanti.
Come sai la mia esperienza personale ha conosciuto da dirigente consiliare, da Capo di gabinetto del Bilancio e da Assessore regionale sia l’uno che l’altro versante, tecnico, tecnico-politico e prettamente politico. Ho così imparato appieno che vi sono funzioni da tener sempre chiare e distinte, anche quando si è inclini a confidare sulla reciproca, rispettiva lealtà.
Il governante politico deve esser messo dai funzionari nelle condizioni di farsi un’idea completa e autonoma delle situazioni che gli si presentano da affrontare. Non deve necessariamente e pregiudizialmente essere diffidente, ma non deve nemmeno rischiare di diventare, nella sua funzione di direzione e di controllo, strumento od ostaggio delle strutture burocratiche, specie se i loro vertici sono ereditati da precedenti gestioni politiche oppure se hanno, immutati, attraversato più gestioni. Nel qual caso il più delle volte è salutare procedere tempestivamente a oculatissimi ricambi, sostituzioni, rotazioni. Immagino poi che il problema si ponga su una scala assolutamente maggiore e più delicata in strutture come quelle degli apparati centrali dello Stato e delle burocrazie ministeriali romane, laddove l’intreccio tra politica, alta amministrazione e grandi interessi esterni storicamente è stato e continua a essere strettissimo e tutt’altro che esente da connivenze e da complicità.
Per esempio ho scritto fin dall’inizio, nella vicenda del Ponte Morandi, che la linea del Ministro Toninelli mi è parsa condizionata e almeno parzialmente depistata in vario modo dalle strutture ministeriali. Mi pare che l’indagine della Procura di Genova mi stia dando ragione.
Che i vertici degli apparati ministeriali possano esser cambiati risponde perciò a esigenze persino fisiologiche di funzionamento delle strutture amministrative. Fermo restando che agli apparati, anche governativi, non solo la legge, ma il buon senso richiedono non la compiacenza, bensì l’imparziale perseguimento dell’interesse pubblico supremo, che va sempre rappresentato anche di fronte alle direttive politiche. Il sistema degli Stati contemporanei è complesso ed è fatto di bilanciamenti, non di semplici cinghie di trasmissione. Al momento però non è di questo, che si sta parlando, ma di una minaccia ritorsiva. Son cose assai differenti.
Aggiungo che qui siamo in una situazione specularmente inversa a quella verificatasi al MIT di Toninelli. Siamo nel MEF di Tria. Non a caso alla guida politica di quel Ministero sono sempre destinate figure di grande competenza e come sappiamo il Presidente della Repubblica a quella nomina dedica sempre una particolare attenzione.
Dieci miliardi di euro -differentemente dal “cosa cazzo vuoi che siano” pensato e detto da Casalino- sono assai più del solito argent de poche che si ricava sempre dalle pieghe di ogni bilancio pubblico per assecondare qualche obiettivo specifico delle maggioranze o per accattivarsi parti delle opposizioni. Ne va o della riduzione di altre poste della spesa pubblica, o del ricorso a nuove coperture fiscali o di un incremento del deficit e del conseguente indebitamento.
Nella predisposizione delle manovre finanziarie è il vertice politico del dicastero competente, per conto dell’Esecutivo nella sua collegialità, che dà alle strutture le direttive generali e che segue passo per passo, conti e documenti alla mano, ogni momento della visitazione delle voci del Bilancio. Le strutture prendono atto, spiegano, analizzano, rappresentano le compatibilità. È per di più un processo che già in questa fase ha molti attori e molti testimoni. Conclusivamente è il Ministro, che formula la proposta al Governo, prima che il disegno di legge venga inviato al Parlamento. Naturalmente se l’indomani reazioni di mercato o obiezioni della UE evidenziano negatività, spetta sempre al Ministro e al Governo farvi fronte. Altra cosa, mi pare, è pretendere che i tecnici dicano ai politici che possono fare quel che vogliono senza conseguenze: io, perlomeno, da tecnico, non lo farei, ben sapendo che in caso di retromarcia politica loro scaricherebbero su di me la responsabilità formale di una copertura sbagliata.
Perciò delle due (o più ipotesi) l’una. O a Casalino è stato dato mandato di minacciare Tria, direttamente o indirettamente, oppure gli è stato dato mandato, prevedendo di non poter portare a casa un risultato soddisfacente, di ventilare responsabilità occulte. Oppure, non capendo un beneamato tubo di come funziona il meccanismo politico-istituzionale, il portavoce ha parlato per conto di attori politici esterni non istituzionali (la Casaleggio SPA?). Oppure infine ha parlato solo per dare aria ai denti come un pallone gonfiato qualsiasi.
Perciò la questione va riportata con i piedi per terra, senza divagare buttandola come suol dirsi in politica per di più genericamente: non foss’altro per evitare di dar l’idea che abbiamo tutti l’anello al naso.
1 commento
1 Aladinews
24 Settembre 2018 - 21:05
Anche su AladiNews: http://www.aladinpensiero.it/?p=87494
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