Gianfranco Sabattini
Con il lungo articolo “’Sinistra sovranista’. Dalla speranza di elementi di socialismo all’affermarsi di elementi di nazismo?”, pubblicato sul Blog “Democrazia oggi” del 15 settembre scorso, Tonino Dessì, da sempre impegnato sul fronte della sinistra, denuncia il disagio che, sul piano emotivo ed esistenziale, procura il fatto che molti esponenti del pensiero critico della sinistra del passato stiano confluendo (in Europa, in Italia e in Sardegna) verso la formazione di una post-sinistra che, rigettando l’internazionalismo, sta “navigando” verso i vecchi lidi delle sovranità nazionali.
In tal modo, secondo Dessì, la post-sinistra, orientando la propria critica unicamente contro le istituzioni internazionali, starebbe riconducendo la democrazia allo spazio angusto dei singoli ambiti nazionali, riducendo “la pienezza dei diritti ai soli cittadini dei singoli Stati e nella sola misura in cui ciascuno Stato definisce la sfera di tali diritti”, fino a rivalutare “come valore assoluto la famiglia tradizionale e a denigrare sprezzantemente i movimenti di liberazione civile e persino di genere”.
La post-sinistra, oggetto degli strali di Dessì, starebbe così mettendo in discussione “l’asse solidaristico che ha connotato duecento anni di storia del movimento operaio che ha sempre perseguito […] un’istanza strutturale” di inclusione di tutti gli sfruttati, attraverso una loro reciproca alleanza e quella tra essi “e tutti i soggetti a vario titolo oppressi”.
L’origine della propensione della post-sinistra a condividere valori sovranisti è ricondotta da Dessì al fatto che molti suoi componenti critichino le “politiche di accoglienza e di tutela dei diritti dei migranti e profughi”; critica, questa, che varrebbe a porre la post-sinistra “in sintonia con la destra xenofoba nella convinzione di poterle contendere su questo terreno il consenso di opinione ed elettorale”, concorrendo anche, per questa via, ad ostacolare ciò che sarebbe in corso di maturazione “nell’opinione pubblica antifascista e antirazzista italiana ed europea”.
Per porre rimedio al disagio, Dessì vorrebbe almeno conoscere i “radicali e popolari obiettivi e azioni di lotta antisistema” che la post-sinistra vorrà proporre per favorire la condivisione del suo “deviazionismo”; egli, tuttavia, al presente, pur non conoscendo tali obiettivi, non sa sottrarsi alla necessità di formulare una severa critica nei confronti della post-sinistra, per via del fatto che, a suo parere, essa soffrirebbe della profonda contraddizione della quale sarebbe portatrice tra l’ossessiva attenzione riservata al problema dell’immigrazione e l’assoluta mancanza di “proposte di lotta e di pratica politica alternativa”, su cui per coerenza dovrebbe fondare le sue attuali tendenze.
Dessì giustifica il suo atteggiamento critico nei confronti della post-sinitra, in quanto paventa il pericolo che “il sedimento profondo” di decenni di impegno “antifascista, democratico, libertario, solidarsitico” della sinistra di un tempo possa essere vanificato dalla continua erosione alla quale viene sottoposto da tutti i versanti della politica. Al fine di ostacolare l’ulteriore aggravamento di questa erosione, egli è del parere che occorra mobilitarsi, prescindendo dalle dinamiche politico-elettorali più immediate, proponendo, in primo luogo, che si tenga ferma una severa intransigenza nell’affermazione e nella difesa dei “valori civili”, per rigettare l’intolleranza e la xenofobia; quindi, che non si rinunci all’antifascismo, onde restare “ancorati a un egualitarismo libertario, intollerante di ogni forma di chiusura e di repressione” in nome di qualsiasi altra, non ben definita, priorità politica; infine, che si combatta la xenofobia e il razzismo, a prescindere da quali possano essere le convinzioni personali sulla “gestione equilibrata dei flussi migratori, sull’auspicabilità o meno di una società multietnica e multiculturale o sull’indispensabilità, al contrario, dell’accettazione dell’obbligo di incondizionata integrazione-assimilazione da parte di chi chieda di venire e di restare da noi”.
Dessì giustifica quindi l’urgenza di una mobilitazione, perché ritiene che il rischio di un ulteriore avanzamento della deviazione della post-sinistra dalle proprie posizioni ideologiche originarie possa provocare l’affermazione di “elementi conclamati di nazismo”, accompagnata dal consolidamento di formazioni populiste, quali quelle espresse dal “M5S” e dalla Lega salviniana, con il seguito caudale dei “resti di quella che fu la sinistra ‘critica’ del passato”. La speranza di Dessì è che l’opinione pubblica italiana (ed europea?) non si faccia coinvolgere dalla “deriva insana” della post-sinistra, concludendo con un accorato invito ad organizzare la mobilitazione contro questa deriva il più presto possibile.
E’ stato necessario indugiare nel riassumere i termini del “disagio ideologico-esistenziale” enunciato da Dessì, perché, indipendentemente dal fatto che tali termini si possano condividere o meno, se il riassunto non fosse stato fatto, si sarebbe corso il rischio di non riuscire a cogliere le implicazioni politiche ed oggettive sottostanti il suo pensiero, diluito in un’esposizione ricca di incisi, di reminiscenze della sua esperienza militante e di riferimenti a Paesi (Russia e Cina) che, anziché rappresentare delle deviazioni dalla strada che avrebbe dovuto condurre l’intera comunità al “Sol dell’avvenire”, sono diventate parte, da molti punti di vista, della deriva politica della quale Dessì si lamenta.
L’infondatezza della posizione di Dessì, o quantomeno la debolezza delle sue argomentazioni, è da rinvenirsi nel metodo che implicitamente egli mostra di seguire nell’esporre il suo pensiero e nella parzialità del discorso critico; infondatezza (o debolezza) che priva gran parte delle sue riflessioni di capacità oggettiva di descrivere il motivo per cui emergono nel contesto sociale del nostro Paese (e in buona parte dei Paesi del mondo occidentale ad economia di mercato e retti da regimi politici democratici) i fenomeni dei quali Dessì tratta.
Sul piano del metodo, la sua critica è fondata unicamente sulla descrizione dei mali del mondo attuale, utilizzando categorie ideologiche che hanno perso ogni capacità, non solo di descrivere le ”pene” che affliggono attualmente molti Paesi cosiddetti capitalistici (tra i quali sicuramente l’Italia), ma anche di evitare lo svilimento di qualsiasi disegno possa essere concepito per il futuro di questi Paesi. Al riguardo, egli osserva che molti dei “compagni” della sua “età più bella” stiano lasciando la “strada buona” per una “strada nuova”, in fondo alla quale possono essere intravisti, non più elementi di socialismo (quali egli continua a intravedere sulla base delle proprie categorie ideologiche), ma addirittura elementi di nazismo, per via del fatto che il fenomeno da lui criticato (la nascita di una tendenza nella quale vede coinvolti molti suoi ex-compagni) condurrebbe inevitabilmente (questa è la sua più impellente preoccupazione) verso posizioni sovraniste, nazionaliste, xenofobe e razziste.
A parte la considerazione che tali posizioni oscurantiste sono aborrite ora dallo stesso capitalismo più dinamico, perché contrarie alla logica della globalizzazione (logica che è l’antitesi di quella implicita nelle posizioni oscurantiste), ciò che Dessì manca di considerare è che le categorie delle quali egli si serve, per valutare ciò che accade attualmente sul piano politico, hanno perso ogni validità, a causa delle condizioni che caratterizzano il contesto economico, da lui trascurate nell’esporre i motivi della sua critica; con ciò non si vuole certo rimproverare Dessì d’essere un fedele seguace della tesi marxiana del rigido rapporto che esisterebbe tra “struttura” e “sovrastruttura”; ma se, come spesso gli capita di affermare, egli è un fedele seguace dell’interpretazione di Gramsci del materialismo storico, allora dovrebbe tener conto dell’importanza che la sovrastruttura ha nei confronti della struttura, ovvero delle modalità di funzionamento della “base materiale”, per la cui “giusta gestione” può valere qualsiasi proposta volta ad egemonizzare la mobilitazione dell’opinione pubblica che, sulla base dei valori storicamente e mediamente condivisi, fosse contraria a tutte le possibili “chiusure” denunciate da Dessì.
Tonino Dessì, forte delle sue certezze ideologiche del passato, trascura questo aspetto importante; in particolare manca di considerare che la sovrastruttura, alla quale egli mostra d’essere indissolubilmente legato, non ha più alcuna capacità di incidere sulla struttura attualmente prevalente all’interno dei Paesi (in particolare in Italia) nei quali il disagio economico e sociale provoca l’avvento di forze politiche populiste capaci di porsi come un nuovo polo di attrazione, capace di coinvolgere molti di coloro che nel passato condividevano la sovrastruttura ideologica cara a Dessì, ma che oggi non trovano più conforme ai nuovi stati di bisogno del loro Paese. Questi stati di bisogno non preoccupano più di tanto Tonino Dessì, per cui egli continua a pensare di poter proporre una mobilitazione sociale per sostenere la condivisione, da parte dell’opinione pubblica, di valori che le attuali condizioni della base materiale di molti Paesi non consentono più di condividere.
Vorrà considerare Dessì i motivi obiettivi per cui la sue critiche sono destinate a cadere nel vuoto? Con ciò non si vuole certo sostenere che il governo attuale non meriti d’essere criticato, per via del fatto che la sua azione non risponde al retaggio culturale, tollerante e pluralista, dell’Italia; al contrario, si vuol solo dire che, per accogliere favorevolmente l’invito alla mobilitazione proposto da Dessì, occorre riflettere prima di tutto su come “raddrizzare” la base materiale del Paese, per rilanciare la crescita, che non può più essere supportata ricorrendo alla vecchia e arrugginita “cassetta degli arnesi” della tradizionale politica economica. Tale obiettivo richiede, infatti, un adeguamento della dotazione infrastrutturale dell’economia nazionale e un rinnovamento radicale delle modalità di funzionamento del sistema di sicurezza sociale oggi vigente, non più all’altezza (Dessì dovrebbe esserne consapevole) di garantire la sicurezza sociale, la giustizia distributiva e il funzionamento di un sistema politico democratico aperto al pluralismo e al multiculturalismo.
Sin tanto che ciò non accadrà, il pericolo al quale tutti siamo esposti è che il sovranismo, la xenofobia e il razzismo costituiscano le premesse della diffusione della peggior specie di populismo (il qualunquismo) che, egemonizzando il senso della protesta sociale indotta dalla crisi economica, potrebbe, se non saranno adottate per tempo misure idonee a consentirne il contenimento, far prevalere quegli elementi di nazismo dei quali giustamente Dessì paventa il pericolo.
Dessì deve tenere conto che la crisi economica è la madre di tutti i fenomeni politici negativi indesiderati, compresi però anche i fenomeni positivi, quale può essere tra essi la devianza verso posizioni inusuali della post-sinistra. Com’è possibile, nelle condizioni in cui versa l’Italia, tollerare flussi immigratori crescenti senza porsi il problema del come governarli nell’ordine e nella stabilità, non certo nel breve periodo, ma almeno in prospettiva? Non è più giustificabile il rinvio della ricerca della soluzione del problema, né è giustificabile un accoglimento degli immigrati sulla base dei convincimenti ideologici del passato. Il problema, tra l’altro, deve essere risolto a livello internazionale; è quindi giusto che l’urgenza della sua soluzione sia stato fatto emergere, forse nelle forme meno adatte, dall’attuale governo a livello dell’Europa comunitaria. Il modo in cui i Paesi dell’Unione continuano a comportarsi riguardo all’assunzione di un impegno di lungo periodo per una conveniente soluzione del problema dell’immigrazione non fa che favorire l’ulteriore affermazione delle pulsioni sovraniste.
Ancora, non è più giustificabile che si continui ad insistere sull’idea che l’immigrazione non rappresenti un limite alla ripresa economica del Paese, perché gli immigrati servirebbero a compensare gli squilibri della distribuzione della popolazione nazionale per classi di età; gli aspetti negativi della dinamica demografica non sono dovuti ad una condanna calata dal cielo sull’Italia, ma a scelte scriteriate compiute nel passato, privilegiando l’estensione dei diritti sociali senza che si provvedesse né a considerare gli effetti collaterali di tale espansione, né ad effettuare le necessarie riforme istituzionali che l’espansione dei diritti comportava.
Stando così le cose, perché criticare la ricerca di potenziali punti di convergenza delle motivazioni d’impegno politico da parte di movimenti politici e sociali un tempo portatori di istanze sostenute da posizioni contrapposte? Il disagio della crisi economica del Paese, appesantito dai continui e crescenti flussi immigratori, ha determinato la “liquefazione” delle antiche aree di aggregazione politica; per uscire dalla confusione sul piano delle possibili soluzioni dei problemi oggi impellenti, non si capisce perché ci si debba dolere del fatto che studiosi e militanti di sinistra siano oggi alla ricerca di motivi di convergenza verso posizioni che di sinistra non sono. Non è questa ricerca il presupposto perché, attraverso il confronto e la discussione di idee provenienti da aree un tempo di diversa ispirazione ideologica, si possa pervenire alla possibilità di promuovere una mobilitazione, orientata secondo le indicazioni della “bussola” dei nuovi problemi che agitano politicamente il Paese, in grado di far sperare, nell’interesse di tutti, di poter evitare i rischi paventati da Dessì?
A tal fine, sarebbe importante che il dibattito, alimentato positivamente da Dessì e da altri, potesse continuare, con interventi, su questo Blog, di quanti mostrano di avere a cuore le sorti del Paese e della propria Regione, anche a scapito del privilegio spesso riservato alla considerazione dell’attività politica locale, la cui natura ha ormai assunto i contorni di quella di un litigioso condomino.
3 commenti
1 Tonino Dessì
22 Settembre 2018 - 10:33
Caro Professore,
mi riprometto di rispondere alle sue riflessioni in forma più articolata, prossimamente.
Mi consenta tuttavia di respingere un metodo di interlocuzione tendente ad attribuirmi un orizzonte culturale e ideologico che non mi appartiene.
Già Pubusa mi ha tacciato recentemente di “novecentismo”. Avrei gioco facile nel rispondere che faccio parte di una generazione molto più giovane di quella di Andrea e ancor più della sua, professore.
Una generazione che nella crisi dei paradigmi ideologici novecenteschi ci è nata e cresciuta e che del marxismo ha respirato più la critica marxiana dell’economicismo politico e sociale, che i dogmi del materialismo storico determinista tipici di una discussione che era diventata obsoleta già negli anni ‘70 del secolo scorso.
Io non ho fatto appello a questa paccottiglia ideologica sulla quale lei lungamente si sofferma.
Nè a me preme contribuire a una ripresa di consenso di soggetti politici di sinistra che ho più volte scritto essere morti, benché ancora non sepolti.
Nè, aggiungo, ho proposto in quella sede che lei riprende, un programma di governo. Spetta a chi governa, proporre soluzioni.
Ho piuttosto ricordato, sottintendendo analisi di pensatori contemporanei e considerazioni sui processi in atto a dimensione planetaria, che esiste, insito nella incontrollata fase evolutiva del capitalismo che stiamo conoscendo, un rischio antidemocratico e antiumanitario di natura totalitaria e che da questo sia necessario per quanto possibile difendersi, individualmente e collettivamente, con una permanente affermazione dei principi costituzionali di valenza universalistica.
Ciò è tanto più necessario in quanto per l’appunto la “struttura” -per rifarmi alle categorie un po’ caricaturalizzate che lei riutilizza- non sembra al momento correggibile da “movimenti volti a modificare lo stato delle cose presenti” e nel contempo va determinando una “sovrastruttura” egemonica che con quei principi contrasta.
Ciò è tanto più possibile in quanto i mezzi di comunicazione anche digitale esistenti non consentono a “struttura” e “sovrastruttura” dominanti di soffocare totalitariamente le opposizioni culturali e di opinione e in certi casi nemmeno quei fermenti di opposizione politica diffusa.
Esistono alternative alla “convergenza” con le destre xenofobe e razziste, non per contender loro un consenso elettorale, ma per sottrarre i temi sociali alla propaganda e per affrontarli con gli strumenti del governo razionale dei problemi, compresi quelli delle migrazioni contemporanee.
Spetta alle persone di buon senso e di buona volontà ragionarvi ed elaborare soluzioni percorribili e corrette.
Se si abdica a questa esigenza si è destinati alle retrovie o alla funzione di complemento.
E a me pare che la postsinistra sovranista si stia acconciando per l’ennesima volta a collocarsi in questa non attraente e sterile dimensione.
Temo a questo punto che non si tratti solo di queste schegge residue di soggettività politica, piuttosto e purtroppo.
2 Aladin
22 Settembre 2018 - 10:35
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=87490
3 admin
22 Settembre 2018 - 11:32
Andrea Pubusa
Se Tonino Dessì ha interpretato il richiamo al “novecentismo” come una critica a lui, mi devo essere espresso male. In effetti, quando faccio riferimento a quel concetto, di solito, intendo dire che io anzitutto sono un uomo che ha quella formazione e male mi adeguo alle novità in tema sopratutto di organizzazione politica, ma non solo.
Lungi da me, dunque, usare quel termine in senso negativo e tantomeno nei riguardi di Tonino, che ha sempre avuto una affilata capacità di cogliere i fermenti nuovi. E questo spiega anche perché le sue analisi destino sempre interesse, anche quando non sono da tutti del tutto condivise.
In una situazione difficile come quella attuale, ricca di potenzialità ma anche di pericoli, l’importante è confrontarsi con impegno e rigore. Che è quanto stiamo facendo.
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