Tonino Dessì
In un post pubblicato sul social network Facebook, Guido Liguori, intellettuale di sinistra e studioso gramsciano, ha commentato con sgomento una dichiarazione a caldo sulle elezioni svedesi di Stefano Fassina, ex esponente del PD, corrente “Giovani Turchi”, ex ministro del Governo Renzi, approdato dopo varie peripezie a Sinistra Italiana e oggi promotore di “Patria e Costituzione”, associazione di studi e di iniziative politico-culturali.
Fassina in un suo “tweet” ha citato encomiasticamente un editoriale di Federico Rampini comparso ieri su La Repubblica, nel quale il politologo ha tra l’altro affermato che “Storicamente fu possibile costruire in Svezia uno Stato Sociale generoso e progressista finchè la società era abbastanza omogenea”. Rampini non si è riferito tanto a una generale omogeneità sociale della Svezia, quanto a una sua storica presunta omogeneità etnico-culturale nordeuropea precedente ai flussi migratori che hanno coinvolto anche il Paese scandinavo.
Liguori arriva a porsi il dubbio che la sommaria dichiarazione apparsa sul profilo Twitter di Fassina sia un falso. Ad ogni buon conto nel suo post significativamente rubricato “Socialpatrioti” obietta radicalmente: “Dunque, se mandiamo via gli immigrati vivremo molto meglio? Il benessere si conquista condannando gli altri alla morte di fame? Le società devono essere rigidamente monoetniche e monoculturali? Una faccia, una razza? Non riesco a credere che Fassina possa sostenere una cosa del genere. Ma il messaggio che trasmette il suo tweet è questo, senza dubbio.”.
In realtà non è un falso. È l’approdo a destra di una delle schegge di quel che resta in Italia della sinistra politica organizzata.
La vicenda avrà verosimilmente uno sbocco alle prossime elezioni europee, nelle quali alcune aree politiche “sovraniste” di diversi Paesi (prima fra tutte la corrente “Aufstehen!”, “In piedi!”, della signora Wagenknecht, che sta preparando una scissione di Die Linke in Germania), si aggregheranno (probabilmente al leader francese di France Insoumìse, Mélenchon), anche in contrapposizione alla nascente formazione transnazionale dell’ex ministro greco Varoufakis, “Diem 25”, di orientamento invece marcatamente socialprogressista e radicaldemocratico.
Il convegno di lancio dell’ennesima associazione della galassia della post-sinistra residua italiana si è svolto a Roma nei giorni scorsi e una lettura critica e allarmata ne è stata data dalle colonne de Il Manifesto in un articolo di Rachele Gonnelli intitolato: “Fassina celebra patria e costituzione e Badoglio”.
Anche Giangiacomo Migone, dalla rivista Left, ha lanciato un segnale di allarme in un articolo intitolato: “Allarme son rossobruni: i pasdaran dello stato-nazione”.
La nuova associazione italiana di Fassina intenderebbe quindi interloquire con alcuni soggetti organizzati di quel che resta della sinistra un tempo “critica” europea, fra i quali va serpeggiando un ripensamento delle collocazioni storicamente assunte da quest’area nelle sue varie manifestazioni a partire dal 1968, passando per tutti gli anni ‘70 e ‘80, fino ancora dopo la caduta del Muro di Berlino, dal 1989 ai recenti giorni nostri.
Collocazioni che (in prevalenza) hanno visto movimenti e soggetti organizzati di quest’area non solo interpretare in chiave radicalmente progressista le istanze più avanzate delle culture della liberazione (internazionaliste, pacifiste, ambientaliste, femministe, LGBT) e quelle dei diritti civili individuali e collettivi di terza e quarta generazione (che Stefano Rodotà evidenziò nell’ambito delle sue analisi sulla società ipertecnologica), ma tentare costantemente di saldarle con le istanze, comprese le più radicali, dei conflitti sociali (di classe) intrinseci all’Occidente capitalistico, sia quelli economico-rivendicativi e politici generali afferenti al movimento operaio, sia quelli connessi agli strati sociali progressivamente emarginati perché crescentemente collocati fuori dai luoghi di produzione materiale e immateriale e talvolta ridotti in condizioni di autentica indigenza.
In vario modo il ripensamento, se poco aggiunge ai richiami anticapitalistici ben presenti nella elaborazione di quasi tutte le “nuove sinistre” non coincidenti con i partiti socialdemocratici o di centrosinistra “di governo”, nè alle elaborazioni eurocritiche connaturate in tutti i movimenti contemporanei di cui ho richiamato l’evoluzione, molto intende sottrarre invece alla multiforme cultura solidaristica cui quei movimenti si sono prevalentemente ispirati.
La post-sinistra che sta emergendo in Europa rigetta l’internazionalismo per riscoprire le sovranità statuali, diffida della critica radicale del potere (di qualunque potere), affermatasi in decenni di critica sociale in Occidente, per riservarla alle sole istituzioni sovranazionali, circoscrive la democrazia ai singoli ambiti nazionali e conseguentemente riduce la pienezza dei diritti ai soli cittadini dei singoli Stati e nella sola misura in cui ciascuno Stato definisce la sfera di tali diritti, ripropone, anche in chiave di restrizione di tali diritti, archetipi tradizionali come l’autorità (statuale), arriva fino a rivalutare come valore assoluto la famiglia tradizionale e a denigrare sprezzantemente i movimenti di liberazione civile e persino di genere.
Ma soprattutto mette in discussione l’asse solidaristico che ha connotato duecento anni di storia del movimento operaio, che ha sempre perseguito nelle sue varie versioni e pur con grandi contraddizioni un’istanza strutturale di alleanza e di inclusione fra e di tutti gli sfruttati e tra questi e tutti i soggetti a vario titolo oppressi.
Il perno operativo, più strettamente politico e contingente, di queste neo-formazioni “sovraniste” europee è l’attacco alle politiche di accoglienza e di tutela dei diritti di migranti e profughi, frontiera sulla quale la post-sinistra si va orientando in sintonia con la destra xenofoba nella convinzione di poterle contendere su questo terreno il consenso di opinione ed elettorale.
L’impressione che se ne ha (che ne ho io, almeno), a giudicare da alcune schermaglie polemiche emerse nei mesi scorsi anche in Italia, è che questa post-sinistra intenda concorrere a disarmare quel che si sta muovendo in questi mesi nell’opinione pubblica antifascista e antirazzista italiana ed europea.
Basti leggere i servizi di alcune agenzie di informazione online che si riconoscono in questo filone, come “L’Antidiplomatico” e “Il Rossobruno”, per comprenderne i connotati politico-ideologici.
Non mi farei depistare da alcuni richiami classici (per esempio il sostegno alla causa palestinese o un intermittente antiatlantismo, temperato da nemmeno troppo velate simpatie per il Trump anti-lib, anti-dem, anti-UE, anti-Merkel e “amico” di Putin), ormai più che altro usati come specchietti per le allodole.
Le impostazioni dei servizi e dei commenti di queste agenzie sono staliniste, nazionaliste, spesso antifemministe, sovente omofobe: insomma il peggio del peggio dei cascami delle componenti che un tempo consideravamo le più retrograde e marginali della vasta galassia della sinistra apparentemente “estrema”.
Il loro essere politicamente filorusse e filocinesi richiama antiche propensioni da guerra fredda, saltando tuttavia a piè pari che Putin non è l’erede politico di Lenin, che la Russia è una realtà ormai pienamente capitalistica e che in Cina, sotto le gloriose insegne maoiste, vige ormai un conclamato capitalismo di Stato retto da un dirigismo politico autoritario.
Ho dedicato loro in alcune mie riflessioni pubbliche una critica netta, affermando anche di recente: “Vorrei almeno sapere a quali radicali e popolari obiettivi e azioni di lotta antisistema ci verrà proposto di aderire da questa “sinistra più intelligente di tutte” svicolando da qualsiasi rischio di “fare il gioco degli avversari” o non sia mai di ringalluzzire il cadaverico PD, prima che ci venga la tentazione di iscriverci direttamente alla Lega saltando a piè pari anche il M5S o magari di unirci anche noi all’encomiabile prassi di radicamento sociale di quei buontemponi che distribuiscono pacchi di pasta nei quartieri popolari di Ostia e che vorrebbero buttare fuori dai quartieri di edilizia popolare pubblica di ogni città d’Italia qualunque estraneo all’italica proletaria progenie.”.
Critica che mi sovviene dalla constatazione che esiste una totale incongruenza fra l’ossessiva attenzione alla geopolitica e l’assoluta mancanza di quelle proposte di lotta e di pratica politica alternativa su cui per coerenza dovrebbero chiamare a mobilitazione i supposti referenti sociali.
Talchè da noi in Italia la sostanziale posizione “attiva” che se ne va ricavando è quella di un sostegno all’attuale assetto governativo, ma con una propensione più filo-salviniana che filo-M5S.
E qui veniamo ad alcune dolenti note.
Imprevedibilmente, per chi è cresciuto come me nella seconda metà del secolo scorso (ma dovrà plausibilmente passare ancora abbastanza anni nel secolo corrente), l’Italia si sta rivelando un Paese profondamente intollerante e razzista. Ne ha recentemente riferito, fra gli altri, Il Sole 24 ore in un servizio-inchiesta di Davide Mancino intitolato: “Gli italiani sono davvero tra i popoli più intolleranti d’Europa?”, dal quale emerge addirittura che gli italiani sarebbero attualmente in cima a tale classifica.
Nelle scorse settimane ho partecipato alla discussione apertasi su Democrazia Oggi in relazione all’atteggiamento da assumere nei confronti del nuovo governo italiano e delle sue componenti politiche.
Ho ribadito in quella sede che il sostegno dato dalla Lega del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli interni Salvini al diffondersi di un clima apertamente xenofobo e violentemente razzista sta creando danni molto gravi alla convivenza fra le articolate realtà della complessa società italiana e sta alimentando una condizione generalizzata di insicurezza e di paura, che sappiamo storicamente essere il terreno di coltura di processi antidemocratici e illiberali.
Si può ancora fare una distinzione e coltivare una speranza sulla indefinitezza (che taluni valorizzano in chiave di moderato pragmatismo) del M5S, del quale da ultimo viene -giustamente- elogiata la decisione di sostenere nel Parlamento Europeo la proposta di sanzionare l’Ungheria di Orbàn per il mancato rispetto dei fondamentali diritti democratici, oltre che delle regole dell’Unione in materia di immigrazione.
Tuttavia per ora (sondaggi alla mano), la subalternità che l’opinione pubblica va percependo nella collocazione del M5S sembra continuare a premiare il partner-competitore leghista.
E non solo la xenofobia, ma anche il fascismo e il mix tra le due pulsioni vanno dilagando in piena libertà, come leggiamo quotidianamente anche in Sardegna.
Ebbene, io vivo questa evoluzione con disagio. Il livello di reazione a quanto sta avvenendo mi pare infatti più debole di quanto la situazione richiederebbe.
Capisco quanto incida l’imbarazzo e l’ingombro di un’opposizione parlamentare considerata da gran parte del Paese responsabile in prima persona, quando era al governo, della situazione generale, non solo politica, che stiamo vivendo. Le responsabilità del PD in particolare renziano sono in effetti gravissime e non mi pare che vi siano le condizioni per poterle mettere da parte.
Tuttavia non può essere che il sedimento profondo di decenni postbellici di impegno antifascista, democratico, libertario, solidaristico possa rassegnarsi all’erosione continua cui stiamo assistendo, operata ora dall’uno, ora dall’altro versante della politica.
Qui, lo ripeto, non è in ballo -almeno per parte mia- nessuna velleità di formulare alternative di sistema globali o europee e nemmeno di prospettare sul piano interno una alternativa politica di governo immediata.
Checchè ne vadano dicendo i sovranisti “di sinistra”, purtroppo la vittoria planetaria del capitalismo non conosce al momento antagonisti e la loro stessa è una posizione comunque di accompagnamento e di sostanziale, impotente acquiescenza, con un tratto di cecità subalterna cui non saranno le prossime opportunistiche operazioni elettorali a rimediare. Son proprio, le loro, fesserie fumose e dopotutto, in Italia, quasi irrilevanti sul terreno del peso politico. Più infido è semmai il loro concorso all’indebolimento della cultura democratica diffusa.
Nè credo che un’eventuale crisi della maggioranza gialloverde in Italia possa nascere se non dall’emergere di un intrinseco, reciproco conflitto di convenienze (Salvini un occhio all’unità del centrodestra italiano lo tiene sempre, così come il centro conservatore europeo del PPE e della -lei si, pragmatica- Cancelliera Merkel tiene aperto più di un occhio verso alleanze che finiscano per cooptare parte della destra radicale europea, rompendo quella con socialdemocratici e liberaldemocratici).
E tuttavia quel che si può e che si deve fare, a mio avviso urgentemente e senza tregua, prescinde dalle dinamiche politico-elettorali più immediate.
Tenere in piedi un’intransigenza nell’affermazione e nella difesa dei valori civili e un rigetto argomentato e costante dei disvalori dell’intolleranza; non rinunciare mai in nessun momento all’antifascismo come atteggiamento ideale, etico, pratico; non attenuare mai per cinismo o per sciatteria un’ispirazione umanitaria universalistica; restare ancorati a un egualitarismo libertario intollerante di ogni repressione, censura, invito all’autocensura o al soprassedere in nome di chissà quali altre priorità politiciste; combattere la xenofobia e il razzismo a prescindere da quali possano essere le nostre convinzioni sulla gestione equilibrata dei flussi migratori, sull’auspicabilità o meno di una società multietnica e multiculturale o sull’indispensabilità, al contrario, dell’accettazione dell’obbligo di incondizionata integrazione-assimilazione da parte di chi chieda di venire e di restare da noi.
Quello che non possiamo consentire che dilaghi è il rifiuto a priori, la chiusura etnica e culturale, il disprezzo della dimensione solidale universalistica e meno ancora la messa in discussione dello Stato democratico di diritto, che in Italia poggia su un’indicazione precisa dell’articolo 3 della Costituzione repubblicana: il riconoscimento non solo dei diritti del cittadino, ma più in generale dei diritti fondamentali “della persona umana”.
La Costituzione italiana non è un manuale tecnico delle regole democratiche: essa affida alla democrazia il perseguimento di finalità fondamentali. Si può andare oltre, ampliando positivamente quella sfera di finalità universalistiche. Non si può andare -nessuno- contro quel minimum, invece.
Bisogna essere consapevoli che non si tratta soltanto di un generoso impulso ideale.
E’ legittima, indispensabile, irrinunciabile autodifesa, al fine di restare liberi e di vivere dignitosamente noi e i nostri figli mentre intorno spira aria di regime.
E si badi, a scanso di equivoci: io non intravvedo il regime in una formula politica contingentemente al governo, nemmeno nell’attuale.
I sintomi avanzati di un regime economico-sociale globale alienante, estraniante, oppressivo, disegualitario, disgregante delle identità collettive e individuali, li conosciamo ormai nelle forme pervasive che la società capitalistica contemporanea ha finito per assumere, da quando ogni soggetto antagonista ha cessato di esistere e di rappresentare una prospettiva e una speranza di trasformazione o almeno di maturazione e di conquista di quelli che Enrico Berlinguer indicò come “elementi di socialismo”.
Il rischio è però che l’ulteriore evoluzione di quel processo (che lo reca come tendenza intrinseca) conduca all’affermarsi di elementi conclamati di nazismo, accompagnati dall’indifferenza di nuove e perciò immemori formazioni politiche come il M5S, cavalcati dalla corriva mala intenzione di forze di estrema destra come la Lega salviniana e -quasi come una nemesi che sa di beffa- auspicati e perseguiti dall’accodarsi plumbeo di resti di quella che fu la sinistra “critica”, oggi più che mai metastatizzata dal suo stesso cupio dissolvi.
Il mio appello a chiunque mi legga è perciò: non facciamoci coinvolgere da questa deriva insana, facciamo tutto il possibile per contrastarla attivamente.
2 commenti
1 Aladin
15 Settembre 2018 - 06:51
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=87200
2 T. D.
16 Settembre 2018 - 08:26
Caro Andrea,
le mie valutazioni di oggi sono coerenti col mancato avverarsi delle condizioni che indicavo tre anni fa.
Quella ripresa di movimenti per la giustizia sociale che fronteggiassero e impedissero, o che addirittura invertissero, uno scivolamento ulteriore verso scenari inquietanti, non c’è stata e non c’è.
Ritenere che un’esperienza di governo marcata dall’egemonia di un partito di estrema destra possa “far le veci” di quei movimenti sociali, culturali, politici, appare -converrai- un punto di vista paradossale.
Vorrei anche fosse chiaro che distinguo fatti e “intenzioni”.
Non per fare l’esegeta di me stesso, ma io non ho mai scritto nè pensato che il M5S sia un soggetto politico fascista e nemmeno che Fassina, D’Attorre o altri come loro siano diventati nazisti.
Più semplicemente constato che il M5S sta con un partner che dalla posizione di governo agisce indisturbato, quotidianamente, come sappiamo. Nel contempo segnalo che Fassina, D’Attorre e altri, piuttosto che indicare, come sarebbe coerente fare, quali sarebbero i nuovi terreni di lotta contro un sistema che loro più di me descrivono come dominato totalitariamente dai grandi poteri economici europei e internazionali, indicano nel contrasto alle migrazioni il terreno più qualificante per il riposizionamento della sinistra.
Infine, “disperata” è un termine che non mi pare possa definire la mia posizione.
Tre anni fa concludevo con l’indicazione di una linea positiva di movimento.
Oggi più realisticamente indico una linea positiva di legittima e indispensabile difesa: ma pur sempre di una linea di movimento, sganciata dalle differenti valutazioni del quadro politico contingente (e, mi sono augurato più volte in precedenti articoli) transitorio, si tratta.
Non vorrei davvero trovarmi fra tre anni a cercare una linea di ultima, estrema resistenza.
Ma questo non dipende certo da me.
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