Riflessioni sulle prossime elezioni sarde e oltre

7 Settembre 2018
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Franco Meloni
(riallacciandomi senza fare circostanziati riferimenti, per brevità, ai diversi interventi sui siti Democraziaoggi e Aladinews)

Prosegue il dibattito in vista delle regionali sarde con questo intervento di Franco Meloni, cui segue quello di Antonello Murgia.

La storia (e anche la nostra esperienza) ci ha insegnato che in politica tutto può succedere. Ma, allo stato, con la vigente pessima legge elettorale regionale, è veramente improbabile che il Movimento 5 Stelle (M5S) possa da solo conquistare la guida della Regione Sarda. E ciò è vero per una serie di ragioni che vanno oltre la legge, tra cui quella da tutti evidenziata che nelle elezioni regionali (come in quelle comunali) conta molto meno il “voto di opinione” e, pertanto, il M5S appare penalizzato rispetto alle “formazioni tradizionali” che hanno più consolidamento (se volete anche clientelare) sul territorio.
Come già messo in rilievo dagli altri interventi (Pubusa, Dessì, Marilotti, Mirasola), il M5S ha poi il grande limite di precludersi alleanze elettorali, scelta che per certi versi lo premia, facendogli massimizzare l’accumulazione di consensi, ma non nella misura necessaria per la vittoria. La scelta del M5S di correre in lista solitaria è dunque comprensibile, tale da garantirgli un buon risultato e pertanto una consistente pattuglia di consiglieri, che, presumibilmente, nel nuovo Consiglio regionale si schiererà all’opposizione. Se questa è la decisione ultima, è legittima l’insinuazione che in fondo il M5S non correrà per il governo regionale, cosa assai complicata da gestire, ma meno pretenziosamente per un buon risultato, aspettando tempi migliori.
La disputa per la vittoria finale sarebbe dunque lasciata alle due altre grandi formazioni: il Centro-destra (CD) e il Centro-sinistra (CS), ciascuna con propria coalizione. Quantunque l’attuale incertezza delle scelte concrete dei due schieramenti possano rendere incerta ogni previsione, è evidente che allo stato il CD ha maggiore probabilità di prevalere. Se non altro per una consolidata capacità di alleanze spregiudicate, estranea, se non per eccezione, al CS. Pur divisi su molte questioni, all’orizzonte si profila una coalizione tra FI, Lega, Psdaz e altri raggruppamenti minori (FdI, Riformatori, Udc, etc).
La risposta del CS si appalesa, allo stato, più debole, in quanto non in grado di aggregare quantitativamente altrettante forze. Ragionando – oggi, mi rendo conto, per assurdo – il CS potrebbe costruire una sua possibile affermazione con una spregiudicata alleanza elettorale con il M5S, ma questa appare appunto priva di realistica percorribilità. Eppure, dal punto di vista dei contenuti, sarebbe un’alleanza meno “contro natura” di quella che metterà insieme il CD con la fascistoide Lega.
E l’arcipelago degli indipendentisti? E le forze della residua Sinistra non PD (Potere al popolo, Leu e altri)?
Tradizionalmente litigiosi e divisi, sono forse condannati a un ruolo di testimonianza, seppure per alcuni raggruppamenti si tratta di un ruolo decisamente dignitoso e attrattivo di persone pregievoli, ma pur sempre minoritario.
Dunque i giochi sembrerebbero fatti. La tenzone si limiterebbe ai tre maggiori contendenti: CD, CS, M5S, con la attendibile previsione che sarà uno dei primi due ad avere la meglio, mentre il M5S si attesterebbe, tutto andando bene, su un considerevole quanto deludente “secondo posto”.
A questo punto si potrebbe dire: vinca il migliore!
Ma, e a noi? Noi che possiamo definirci della “Sinistra senza appartenenze”, che ci resta da fare?
L’ipotesi numero uno è il dignitoso ripiego nell’astensione elettorale, che ci vedrebbe contribuire ad ingrossare le fila di quello che sarà forse il primo partito: “dell’astensione”. In alternativa, potremmo evidentemente contribuire “uti singuli”, o anche informalmente organizzati, a dare il voto a singoli candidati di cui abbiamo stima, di una delle formazioni in lizza, dal M5S a Potere al popolo, passando per Leu, AutodetermiNazione… Non escludendo qualche onesto e capace candidato del PD, magari per antica conoscenza e affetto personale.
Di una tale scelta non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. Ci sarebbe invece da vergognarci noi, se, intellettuali militanti in organismi democratici di base (uno per tutti il CoStat), disertassimo il campo dell’impegno politico (nel quale evidentemente comprendiamo il sociale e il culturale). Continuiamo infatti ad esservi e ad operarvi sia pure come “profeti disarmati”, ma non vinti. Insomma non andremo a finire in quell’Aventino di massa, così ben descritto nell’articolo di Wladek Goldkorn (sul Corriere della Sera?), che Tonino Dessì ci ha segnalato, rassicurandoci non essere da parte sua “una scelta deliberata e men che meno una proposta”.
Per concludere: non ce ne sarebbe bisogno dirlo, ma mi piace avvertire come queste mie considerazioni abbiano la caratteristica della provvisorietà, considerato che la realtà in tutte le diverse sfaccetature e dimensioni (internazionale, europea, nazionale, locale), mi e ci costringerà ad aggiustamenti o financo a possibili cambiamenti, anche radicali, di idee con conseguenti scelte concrete. Chiudo ricordando innazitutto a me stesso la scontata, quanto valida e consolatrice, indicazione gramsciana sul pessimismo della razionalità e ottimismo della volontà.

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