Difendere la Carta dal Cavaliere? Si può, ma senza ipocrisie

13 Marzo 2009
1 Commento


Andrea Pubusa

Avviso: Beppino Englaro interviene stasera alle 18 nell’AULA MAGNA DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA di Cagliari ad un dibattito sul Testamento biologico, organizzato da giuristi democratici. Ovviamente si parlerà anche della Costituzione. Partecipate!

Ed ora ecco l’articolo:

Perché il Cavaliere ha ottenuto tanti successi elettorali, non ultimo quello sardo? A causa del suo potere mediatico? O per la stoltezza degli elettori? O, a perseguitare i suoi avversari, è il destino cinico e baro? O non sarà perché, anche quando dice le cose più atroci, coglie una parte di verità e rivela l’ipocrisia degli avversari? Prendete il voto dei parlamentari. Ridurlo al solo voto dei capigruppo, in termini costituzionali, è una bestemmia. Agli antipodi del parlamentarismo moderno, che si fonda sull’idea del mandato se non di persone, di ceti, di gruppi territoriali e si manifesta libero da vincoli predeterminati, senza vincolo di mandato, come recita la nostra Carta.
Ma oggi è così? Gli onorevoli Calvisi, Sanna, Amalia Schirru, Guido Melis e gli altri del PD, di cui neanche conosciamo il nome, votano liberamente? O piuttosto seguono la linea di Veltroni, Letta, Fassino o D’Alema, che li hanno messi in lista? Analogo discorso vale per Pili, Cicu e compagnia cantante. Insomma, nel voto in Aula, prevale in loro l’adeguamento ai capi o la consonanza ad un elettorato che non hanno? In altre parole, guardando le cose senza infingimenti e al di là delle persone, il sistema attuale di scelta dall’alto ha già in larga misura eliminato la ragione del voto autonomo del parlamentare, che riposa sulla necessità di rispondere ad un proprio elettorato, che oggi non esiste. Ed allora perché non ammettere che la grossolanità costituzionale del Cavaliere è in realtà conseguenza della bestialità ancor più grande che sta a monte? E cioè l’esistenza di un parlamento nominato anziché eletto. E su questo, al di là delle parole, sono stati d’accordo tutti: Berlusconi con la sua idea di partito-azienda, ma anche Fassino, D’Alema e gli altri che così potevano, senza le incertezze del voto popolare, disegnare il proprio gruppo parlamentare a piacimento. E quali umori pensate stiano a base di questo vulnus costituzionale e del buon senso? L’idea che un parlamento libero sia un “mercato delle parole”, un luogo rumoroso e turbolento, da regolare dall’alto con pugno fermo. Non l’agorà nella quale i cittadini, sopratutto i più deboli ma anche più numerosi, trovano un rimedio alle proprie afflizioni e una riparazione alle ingiustizie che si abbattono soprattutto su di loro. Con la nomina dall’alto i parlamentari più che la libertà di proporre e decidere hanno quella di ascoltare, prendere atto e obbedire ai loro capi, cui devono il loro status privilegiato. E dunque più che rappresentare i cittadini rappresentano ad essi la realtà e le scelte secondo la volontà dei governanti o dei dirigenti di partito che li hanno messi in lista. La loro funzione è esattamente opposta a quella della rappresentanza classica: anziché riversare in parlamento la volontà degli elettori, portano ai cittadini e nei territori le linee e le idee dei propri capi-bastone. Perché a costoro dovranno rispondere al momento della preparazione delle liste.
Ed allora di cosa ci scandalizziamo? Se badiamo alla Costituzione materiale, a quella in funzione, quanto Berlusconi propone è già realtà. Tant’è che si è dovuto debellare il voto dei “pianisti” con un sofisticato sistema elettronico che riconosce le impronte digitali del parlamentare, per impedire che i pochi presenti votino anche per gli assenti.
Ed allora, per essere credibili, bisognerebbe dal centrosinistra, raccogliendo più ampi consensi, promuovere una riforma della legislazione nazionale che riconduca alla scelta degli elettori la rappresentanza parlamentare. Anche a livello regionale, tralasciando altre amenità, c’è il listino a cui si accede per nomina (si dice – ma dev’essere una leggenda metropolitana – anche versando un congruo contributo per la campagna elettorale). E si giunge all’assurdo che chi non rappresenta niente e nessuno viene eletto e Gavino Sale con oltre il 3% dei voti rimane a terra, benché – lo si condivida o meno – sia espressione di un Movimento, che ha una sua precisa connotazione e linea politica.
Ed allora, anziché fare critiche giuste, ma intrise di ipocrisia, non sarebbe meglio dare battaglia con fermezza e continuità per una rivitalizzazione delle nostre istituzioni partendo proprio dalle assemblee rappresentative?

1 commento

  • 1 Enea Dessì
    13 Marzo 2009 - 07:39

    Non è più possibile. E’ troppo tardi. C’è una guerra tra bande dentro il PD e nella sinistra in generale che, secondo me, non è recuperabile. Abito in Emilia Romagna da 30 anni e non ho più alcun dubbio che sarà un gioco al massacro. Dove ti giri e ti giri la parola d’ordine è Lega; aprono sezioni e circoli e stanno costruendo una organizzazione da far invidia al vecchio PCI; hanno contatto con la gente e con le imprese, si offrono per piccoli consigli e per piccoli aiuti; i loro rappresentanti nelle istituzioni sono disponibili sempre e in ogni luogo; stanno costruendo quadri locali giovani e capaci. E’ di ieri la notizia che in una federazione del PD sardo per poco non finiva a scazzottate. E’ finita caro Andrea, la sinistra e i suoi baroni sono nel bel mezzo di un generale abbandono dei propri elettori perchè non riescono a rappresentare se non se stessi. Ho davvero l’impressione che quel moto “padroni in casa propria” sarà la logica e la politica degli anni a venire. Aggiungo anche che non sarà una logica di destra ma avrà una forte dose di solidarismo sempre e comunque “in casa propria” tanto per intenderci.

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