Amsicora
Non so se succede anche a voi, ma a me spesso capita di spaventarmi di me stesso, dei miei pensieri non espressi. Per esempio, d’estate, al mare, ho spesso la sensazione d’essere razzista. Tranquilli!, non alla Salvini, ma al rovescio. Non sono i senegalesi a darmi fastidio. Anzi con loro parlo e molti si trattengono sotto il mio ombrellone a fare una pausa e a chiacchierare. A inizio e fine estate ci salutiamo cordialmente, come vecchi amici. No, non sono i neri ad infastidirmi, ma i continentali, sopratutto i lombardi. Quindi, se razzismo, è, lo è all’inverso.
Ma perché penso questo? Perché ho questi sentimenti, che, ammetto, non sono buoni? Che so io? Quando la mattina vado a fare la spesa (sono sempre di corvèe, fra le 8 e le 9), ed entro in un locale di solito faccio questa sperimentazione, saluto a voce alta: “Buongiorno!“. Beh, i milanesi non rispondono mai, sembra che tu il buongiorno lo stia augurando agli altri o a a chi vende, dietro il bancone. Oppure, in spiaggia, quando occupo il mio spazio, di solito millimetricamente studio dove mettere l’ombrellone, la stuoia, la sedia e le altre cose per mantenere una distanza di sicurezza da chi verrà. Misuro anche la distanza dal mare, lasciando libera solo una striscia dove passano bagnanti e venditori ambulaneti vari. Eppure, spesso qualche coglione con accento lombardo, si piazza davanti, ostacolando il passaggio e se gli dici qualcosa, ti rispondono che la spiaggia è di tutti. O se fai osservare che c’è spazio a fianco o più avanti, ti dicono che loro si mettono dove gli garba. E quelli che ballano in gruppo in acqua sotto la guida di un “animatore”, con una musica assordante? Che cazzoni! Pietosi!
Poi a farmi incazzare ci son quelli “amici dei sardi”, tipo “amici degli animali”. Una donna, l’altro giorno, diceva alla figlia: “sai la Sardegna è una terra speciale, i sardi, talora non sanno parlar bene l’italiano, come la signora della frutta e verdura, ma hanno una loro lingua, e sono semplici e accoglienti“. Lo diceva col tono che si usa per indicare le tribù, appena toccate dal mondo moderno e, dunque, un po’ selvagge. Altri, quando parli con loro ti dicono che la prima cosa che fanno appena si installano in Sardegna è acquistare una bottiglia di mirto: “sa, appena arrivato, per prima cosa ho preso il mirto!“. Ma chi se ne…Altri lasciano intendere di conoscere bene i sardi e la loro mentalità. E sparano luoghi comuni. “Sai i sardi non mangiano i pesci, temono il mare“. Ma vaffa…, a Cagliari, S. Antioco e non solo pesci ne mangiamo e come! Ma anche nelle bidde più interne non si scherzava. Le sardine erano motlo diffuse. Mio padre, ch’era un grande arrostitore, per assicurarsi della buona cottura, ne faceva fuori una decina in corso d’opera. E sa lissa de Oristanis, arrosto o anche al tegame!? A santa Rega e in tutte le sagre sono sempre state molto richieste. E le anguille e le zuppe? Certo non c’erano i camion frigo e dunque all’interno i rifornimenti erano piu’ rari, ma i sardi pesci ne hanno mangiato sempre. Ma temevano il mare? La verità è che i pastori e i contadini non avevano tempo per andarci. Allora si lavorava anche d’estate fra mietitura e trebbiatura. E il lavoro era duro. Tutto manuale, salvo l’aiuto delle bestie, buoi, cavalli e asini. Ricordo ancora, come in un sogno, la trebbiatura di mio padre, fatta con cavalli, così come la facevano i greci di Omero e i romani di Columella. Si piantava un un tronco al centro dell’aia, e dopo averla ben pulita, si stendeva il grano mietuto nei giorni prima, poi si facevano girare i cavalli (o i buoi) che, calpestando le spighe, separavano il grano. E la spallatura? Cun su travuzzu, il trivulzio di legno, si lanciava in aria quanto i cavalli o i buoi avevano calpestato e il vento separava il grano più pesante dalla paglia, che si posava poco più avanti. Che tempo avevano questi contadini di recarsi al mare non so. E i pastori, come potevano abbandonare pecore o capre? Poi c’erano i ricordi dell’abbandono della coste per via degli assalti dei tunisini. L’ultimo a Carloforte e a S. Antioco avenne in piena rivoluzione francese a fine Settecento.
Che cavolo dicono i lumbard!
Bello anche quando ti raccontano come verità le rappresentazioni della vita sarda ad uso turistico, dove loro vengono presi per i fondelli. Ad esempio a Chia due milanesi raccontavano mirabilia del cinghialodromo, ossia di un luogo, dove un ingegnoso pigliainculo aveva alcuni cani e dei cinghiali ormai ammaestrati e ai milanesi, paganti, faceva vedere come i cani inseguivano i cinghiali: Ma loro lo raccontavano come se quella fosse una forma tradizionale di addestramento dei cani a staccare e mandare in posta il cinghiale, cosa che non si è mai fatta. L’apprendistato dei cani giovani avviene nelle battute vere a fianco ai cani esperti. O ancora quei creduloni che andavano a vedere una sarda d’altri tempi. La troglodita di Domus. Una donna che si era attrezzata un piccolo anfratto a mo’ di gruttaia e, a pagamento, di giorno mostrava la sua miserevole vita da prenuragica. E quando tu ai milanesi dicevi ch’erano stati presi per culo, si offendevano, perché, per loro, la Sardegna dev’essere così e così è, anche nelle rappresentazioni più paradossali e incredibili.
Comunque, amici miei, come vedete, nel mio intimo sono razzista, non mi piacciono i turisti lumbard e men che meno Salvini. Preferisco Omar, Serigne, Alì e Nordi, i miei amici d’ombrellone di pelle nera o scura. Preferisco loro, che si spaccano la schiena sotto il sole per farsi la pagnotta. E’ grave? Mi perdonate?
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