Bene il libro di Bertinotti, ma c’è frattura fra teoria e pratica

26 Agosto 2018
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12 Luglio 2009
Francesco Cocco

 

Francesco Cocco interviene sulla riflessione proposta da Gianfranco Sabattini sul recente libro di Fausto Bertinotti.

Credo che qualsiasi voce di “resistenza” al capitalismo sia benvenuta, specie quando proviene da dirigenti del “movimento comunista” che hanno subito una dura sconfitta elettorale e non intendono arrendersi. E’ il caso di Fausto Bertinotti che con un libro-intervista si pone il problema di come superare il capitalismo in una fase storica in cui il “campo socialista” non esiste più ed il “capitalismo planetario” pare essere ormai diventato l’unico forma di produzione possibile.
Positivo che Bertinotti cerchi la strada per la fuoriuscita dal capitalismo al di fuori dello schema tradizionale della “pura conquista del potere centrale”, ponga la inderogabilità della non-violenza, teorizzi l’opportunità di un movimento articolato sul riconoscimento delle diversità.
In fondo sin qui ci pare una rivisitazione di concetti gramsciani, che il movimento operaio italiano nella sua miglior tradizione culturale aveva fatto propri. Anche se negli anni Settanta non era mancato certo schematico settarismo, nella convinzione che il potere nasca dalla “bocca dei fucili” e che tanto danno ha provocato alla sinistra italiana. Era stato Gramsci a mettere in evidenza come il potere non sia mero dominio, ma nasca dalla capacità di esercitare un ruolo egemonico, e come tale ruolo implichi un progetto che sappia suscitare consenso sociale attorno ad esso.
La perplessità sul pensiero bertinottiano nasce quando il motore di questa via verso un nuovo assetto sociale viene individuato nella “moltitudine”. La moltitudine è una categoria indistinta, che però ha il merito di contenere in sé un riconoscimento verso le diverse componenti sociali. Quindi un riconoscimento di quella “struttura a rete” della società che sa riconoscere e riconoscersi nelle molteplici componenti. Ma alla fine il risultato finisce per essere - come mette giustamente in rilievo Gianfranco Sabatini - un’accettazione dell’animal spirit proprio dal capitalismo. In ultima istanza un’implicita accettazione di quella giungla sociale che è di per sé la preistoria dell’umanità.
Il superamento di tale condizione è stato, per le tutte le correnti storiche che si sono richiamate al socialismo (da quelle socialdemocratiche a quelle comuniste), il fine primo della loro azione e della loro stessa esistenza: “il passaggio dalla preistoria alla storia” secondo la definizione sintetica dei classici del socialismo.
Il revival del pensiero marxiano, fatto non solo di un aumento impensabile delle pubblicazioni ma persino di richiami formulati da esponenti della destra , sta a denotare un bisogno di progetto, di rifiuto della giungla della società capitalistica, la ricerca di razionalità contro l’animal spirit. Tutto questo acquista valenze nuove nella crisi globale in atto.
E’ patrimonio di pensiero da riscoprire e saper leggere nelle esigenze del tempo presente. Ed allora forse più che della categoria della “moltitudine” abbiamo bisogno di riscoprire quella di “classe sociale”. Di capire che quest’ultima non è sinonimo di struttura sociale ottocentesca o del primo Novecento, che essa tiene ancorato il movimento sociale alle strutture produttive in una certa fase storica e dà forza alle stesse analisi sociologiche liberandole dall’evanescenza.
Concordo con Bertinotti quando dice che il cammino sarà lungo e forse, proprio per questo, abbiamo bisogno di legare l’azione politica alla coerenza dei comportamenti quotidiani. Anche perché, nel tempo presente, la debolezza della sinistra non è solo nella carenza di elaborazione ma nondimeno nella frattura tra teoria e pratica. Valga per tutti il caso della mancanza di una forte lotta contro il privilegio. E sono in molti a chiedersi che sinistra è mai questa se non lotta contro il privilegio!

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