Cinghialotti thailandesi e antiche scuole pedagogiche sarde

13 Luglio 2018
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Amsicora

Al mio paese esisteva un’antica scuola pedagogica, che otteneva dei risultati sorprendenti. E in tempi brevi. Il capo scuola, tal Gessa, chiamato amichevolmente prof. Gessa, di quella scuola fu l’esponente più rappresentativo. Si dice che ad un certo punto un suo vicino prese a contestare il confine e ne rivendicasse lo spostamento. Il prof. Gessa, dapprima, pazientemente, tirò fuori le carte, le mostrò al vicino e cercò di convincerlo che la sua pretesa era infondata. Buone maniere, molta cortesia. Ma nulla. Il vicino continuava nella sua esasperante attività di disturbo, oggi diremmo di stalking. Allora il prof. Gessa diede applicazione alla seconda parte del protocollo elaborato dalla scuola pedagogica del mio paese. Impugnò un manico di picco e, con millimetrica precisione e giusta forza, ne assestò un colpo al vicino. Ed ecco il miracolo! Il vicino, che nessuna carta, mappa, mappale aveva convinto, d’improvviso manifestò piena condivisione, quasi che quel colpo avesse sbloccato una parte del suo cervello, quella che presiede alla ragionevolezza, fino ad allora del tutto inattiva. Non fu pertanto necessario far ricorso alla terza parte del protocollo, ancora più energica e convincente.
Ma ci sono state tante altre applicazioni del metodo Gessa in passato. Per esempio, ci fu un tempo in cui un ragazzo del paese un po’ tardo di riflessi veniva importunato da un bullo, che gliene combinava di tutti i colori, con lazzi, frizzi e battute d’ogni genere. Il padre e il fratello del malcapitato, ch’erano seguaci della locale scuola pedagogica, lo invitarono amichevolmente a desistere con argomentazioni bonarie, senza risultato. Lui, con spavalderia, proseguiva ad importunare ila vittima, finché un bel giorno il padre e il fratello, spazientiti, fecero ricorso alla seconda parte del protocollo del Prof. Gessa. In pubblico, dove il molestatore spavaldamente importunava il loro congiunto, lo circodarono e lo riempirono di botte, tanto da lasciarlo a terra tramortito e malconcio. Anche in questo caso, come d’incanto, tutto finì. Anzi, il bullo divenne perfino gentile e premuroso verso la sua antica vittima.
Ad onor del vero anch’io ho avuto occasione di sperimentare quel metodo, seppure in un caso di poco conto. Quando mio figlio era in quarta elementare un suo compagno di scuola aveva preso a fare il capo gruppo, e siccome mio figlio non gli riconosceva la pretesa autorevolezza, prese a molestarlo e ad aggredirlo. Lo voleva assoggettare alla sua disciplina. Informati della cosa c’erano davanti a me e mia moglie molte opzioni. Parlarne coi genitori ch’erano amici e compagni, coinvolgere la maestra e la scuola, far intervenire i psicologi e così via. La cosa non era grave, ma era fastidiosa. Chiesi un pò di tempo per vedere se l’aggressione fosse cessata. E finì d’incanto e con sorpresiia generale. Nessuno lo sa, ma feci ricorso al metodo del prof. Gessa, applicando insieme la prima e la seconda parte del protocollo. Anzi, invertendole: prima diedi due schiaffoni e un calcio in culo all’aspirante bulletto, poi lo invitai a desistere, a scanso d’altro. Lui balbettò qualcosa, lamentò l’ingiustizia dei calci nel suo culo, quasi che quelli suoi a mio figlio fossero giustificati. Ma poi cessò ogni attività, nella generale soddisfazione.
Ora perché vi ho tediato con questa lunga premessa? Perché voglio rapidamente dirvi la mia sui cinghialotti. Ma - obietterete - che c’entrano costoro con la scuola pedagogica del Prof. Gessa?  C’entrano, c’entrano. Per farla breve, io avrei applicato lo stesso metodo ai cinghialotti e, in particolare, al loro allenatore. Ma vi pare che una persona di buon senso porta undici ragazzini dentro una grotta, camminando per chilometri fra cunicoli e strettoie, prive di luce ed aria! Col pericolo delle piogge, mettendo a repentaglio la vita dei ragazzi, la sua e quella degli altri? Ora si parla di eroi, si elogia la calma dell’allenatore, si organizzano feste e si pensa perfino ad un film. E tutto questo mentre un generoso soccorritore è morto a causa dell’imprudenza del coach e dei ragazzini. Vabbe’, direte, e tu cosa faresti? Darei due calci in culo all’allenatore e qualche sganassone ai cinghialotti. Questo sul piano puramente pedagogico, educativo, mentre la vicenda presenta delicati aspetti anche giuridici in relazione al risarcimento dei danni per le spese di soccorso e salvataggio. E ai parenti del morto chi li risarcisce?

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