Migranti: il nuovo proletariato e i soliti radical chic (prima di sinistra oggi M5S)

6 Luglio 2018
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Roberto Murgia

 
Sui migranti, nei giorni scorsi, abbiamo, fra l’altro, pubblicato una riflessione di Carlo Freccero su il Manifesto: “I migranti non sono il nuovo proletariato. Così la sinistra del politicamente corretto si estingue”, cui è seguita una risposta critica di Tonino Dessì . Ora sul tema, sempre centrale e caldo, pubblichiamo una riflessione, che muove da quegli scritti, di Roberto Murgia.

Molti muovono dall’idea che i migranti non fuggano dalla guerra, ma dai loro stessi governanti. In realtà, i profughi fuggono dalla violenza – che è anche fame – e, per la precisione, da una forza che non sono in grado di fronteggiare rimanendo nel loro Paese. Di conseguenza, è del tutto irrilevante se la violenza esercitata contro un popolo provenga da una forza esterna o dai suoi stessi governanti. Ciò che è rilevante è solo il fatto che, per sopravvivere a questa violenza, si può solo fuggire.
E’ sbagliato pensare che questa migrazione non sarebbe poi così disgraziata proprio perché, tutto sommato, non dipenderebbe dai conflitti ma dall’incapacità di alcuni popoli di autogovernarsi e, di conseguenza, di gestire le risorse dei loro Paesi. Il passo successivo, poi, è breve e porta a sottolineare la necessità di non essere “buonisti” perché occorre invece salvaguardare l’identità dei quartieri e la vita dei proletari veri, quelli nostri.
Questo ragionamento semplicistico sposta l’attenzione da un fatto centrale che invece non deve mai essere dimenticato se non si vuole perdere di vista il problema vero: siamo di fronte ad un esodo epocale causato dalla necessità di sopravvivere. Le cause di questo spostamento di genti, infatti, sono ben più complesse di quanto induca a pensare l’articolo di Freccero e non sono affatto identificabili nella mera aspirazione dei migranti al raggiungimento del benessere dell’Occidente, anche se all’esistenza di quel benessere sono certamente collegate. E’ infatti indubbio che il benessere dell’Occidente è dovuto in buona parte allo sfruttamento delle risorse di quei Paesi.
L’Africa oggi sta presentando il conto e il dovere dell’Occidente adesso è salvaguardare le vite umane. Contestualmente è necessario anche adottare una responsabile politica di accoglienza comune europea che garantisca una vita dignitosa ai profughi e consenta loro di poter scegliere, in un futuro prossimo, se rientrare nei luoghi di origine o integrarsi con chi li sta accogliendo, rispettandone le regole.
Sul punto è un apprezzabile merito del prof. Conte essersi tenuto distante dalle sparate di chi lo ha scelto: “chi entra in Italia entra in Europa” ritengo sia l’unica dichiarazione condivisibile che ho sentito da questo governo di destra ed anche l’unica del Presidente del Consiglio che abbia una qualche reale rilevanza politica. Tuttavia non è una posizione nuova, considerato che lo stesso principio è sempre stato sostenuto ed attuato anche dal precedente governo, seppure con dei limiti evidenti. Nuova è, invece, la condotta concreta del governo in tema di migrazione: quella della chiusura dei porti, come esempio e deterrente.
Nella Lega e nel M5S la linea dominante continua infatti ad essere quella del “bisogna aiutarli a casa loro”, soluzione che, di sicuro, preferirebbero gli stessi migranti, ma che è attualmente una ipocrisia. Infatti, per essere aiutati occorre, prima di tutto, rimanere vivi ed oggi in certi Paesi del Medio Oriente e dell’Africa non esistono le condizioni perché ciò accada.
In conclusione, Freccero sbaglia, e di molto, quando afferma che i migranti non sono il nuovo proletariato.
Al contrario, oggi il proletariato sono proprio loro, e lo sono nel senso vero della parola: sono quelli che fuggono dalle loro case a piedi o su una barca verso un Paese straniero portando con sé, come unico avere, esclusivamente la propria prole.
E’ invece abbastanza vero che la sinistra non si è occupata del problema dei migranti con una politica di integrazione. Peraltro, è esattamente la stessa cosa che sta facendo l’attuale governo di destra, che ritiene preferibile la politica dei respingimenti, ben più redditizia sotto il profilo elettorale.
L’Italia, insomma, sta cambiando, e non mi pare in meglio.
La società, del resto, vive ormai un prolungato affanno economico che, in mancanza di adeguate politiche di redistribuzione, si avvia a diventare cronico e riguarda anche chi ha un reddito dignitoso. La crisi ha colpito, seppure in diversa misura, tutti coloro che vivono del proprio lavoro, dipendente o autonomo. Il valore reale dei redditi di lavoro è infatti fortemente diminuito anche perché è diventato troppo alto il prezzo dei beni e servizi irrinunciabili (basti pensare al fatto che il costo di una bolletta elettrica di un mese invernale vale spesso, da sola, quanto la quinta parte dello stipendio di un funzionario statale). Per queste ragioni, la gente ha la sensazione che le risorse si stiano riducendo e, di conseguenza, aumenta il numero di coloro che tendono a chiudersi per timore di perdere ciò che possiedono. Tale tendenza sociale ha portato i partiti popolari ad essere sempre meno propensi a proporre politiche di redistribuzione, anche perché è il loro stesso elettorato ad essere diventato meno propenso ad accettarle e più restio a condividere. Non è un caso se le proposte redistributive proposte dal nuovo governo si siano limitate all’idea di un reddito di cittadinanza.
L’idea di un reddito senza lavoro – al di fuori di un temporaneo sostegno alla disoccupazione – è però per me repellente. Ancora oggi non vedo quindi alternative migliori alla vocazione redistributiva della sinistra che incentiva anche il lavoro né vedo alternative ad una società che sul lavoro si fondi; aspirazioni queste che non sono certo venute meno per le scelte della dirigenza del Partito Democratico che non ha saputo cogliere le istanze della gente comune. Ciò nonostante, non mi paiono comunque idonee a ridurre le disuguaglianze sociali nemmeno le altre le soluzioni una tassazione con due sole aliquote, i respingimenti senza umanità, le multe per chi acquista dagli ambulanti, la legittima difesa slegata dal principio di offensività, la schedatura dei Rom. E’ vero che si tratta in prevalenza di soluzioni prospettate dal Ministro dell’Interno, ma non si può negare che ad esse il M5S si è ben presto allineato.
La vera sfida della sinistra moderna, anche in Italia, è invece proprio quella di contrapporsi a questo regresso: non cedere alla tentazione di cadere nel becero e facile populismo di questa nuova e variegata destra di governo e ricordarsi che le risorse esistono ma, come in passato, sono ancora distribuite in modo iniquo. La forbice tra chi ha troppo e chi non ha nulla continua ad allargarsi, e questo allargamento porta alla conseguenza che la platea dei proletari aumenta: non più solo i disoccupati e i disadattati, ma anche i lavoratori precari e sempre di più i pensionati, i lavoratori dipendenti con un lavoro fisso ma con uno stipendio sempre più insufficiente a pagare i beni e i servizi primari, la folla dei professionisti che non riescono nemmeno a pagarsi l’iscrizione all’albo e che condividono non i locali degli studi ma le singole stanze. Da questa categoria non è però possibile escludere gli stranieri che arrivano in Europa da Paesi dove la violenza e la fame non consentono una vita dignitosa e di lavoro. Tutti costoro sono i proletari non più nel senso etimologico, ma in quello più attuale ed universale del termine: oggi sono proletari coloro che vivono o hanno vissuto grazie al proprio lavoro, autonomo o dipendente. Tutti costoro, a prescindere dal luogo di provenienza, hanno diritto ad una azione politica che valorizzi il ruolo del lavoro dell’uomo, miri a ridurre le diseguaglianze e assicuri l’opportunità di una vita dignitosa.
Questo deve essere uno degli obiettivi primari di un sistema veramente democratico, ma non mi sembra che il rinnovamento, in Italia, stia percorrendo quella direzione.

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