Tonino Dessì
Dissento in radice dall’articolo di Carlo Freccero pubblicato su Il Manifesto e riproposto ieri da Democrazia Oggi, ravvisando ancora una volta l’inclinazione di una certa intellettualità a farsi, per ragioni di parte politica, potenziale sostegno giustificazionista di nuovi regimi.
È abbastanza doloroso leggere, per ormai difficili da comprendere motivazioni polemiche verso una sinistra non più in campo, un tale affastellamento di argomenti schematici da parte di Freccero, che invece altre volte ha scritto cose intelligenti.
Che per la sinistra i profughi e i migranti non siano mai stati “il nuovo proletariato” mi pare tanto evidente sotto il profilo teorico (non lo ha mai sostenuto nessuno), quanto nella concretezza, altrimenti la sinistra stessa avrebbe praticato il suo insediamento fra loro e perseguito la loro integrazione ed educazione nell’ambito di una lotta per la loro emancipazione, come sfruttati nella nostra società al fianco degli altri, cosa che si è ben guardata dal fare (e che, a vedere retrospettivamente le cose, avrebbe fatto meglio a fare).
Il punto non può nemmeno essere la rivalutazione dell’identitarismo come problematica “non fascista”.
A parte che una cosa è difendere l’identitarismo di minoranze come i sudtirolesi (o perfino i sardi), altra è edificare a identitarismo un neonazionalismo statocentrico italiano, francese, spagnolo, ungherese, polacco, per dire.
Non meno fuorviante è il ricorso alla tesi dell’”esercito di riserva”, concorrenziale alla forza-lavoro interna, perché contrasta con la realtà concreta che oltre ad occupare attività marginali non più accettate dai nostri connazionali, i nordafricani altro non sono ammessi a fare, nè giuridicamente nè di fatto, mentre il vero esercito di riserva sta nei Paesi della delocalizzazione.
Ormai siamo all’offuscamento più sconcertante della percezione della realtà dell’economia globalizzata.
Son tutte cose che segnalano l’asfissia storica in cui progressivamente è precipitato il pensiero democratico italiano (e occidentale nel suo complesso).
Così oggi la linea del Governo italiano, esplicitata dal Presidente del Consiglio Conte sui giornali dopo l’appeasement con la Francia, è “hotspot in Nordafrica per selezionare i profughi politici dai migranti economici, accogliendo l’ingresso controllato dei primi e ricacciando indietro i secondi”.
Come se si possano davvero creare dei bastioni neocoloniali avanzati sulla sponda africana del Mediterraneo (proviamo a immaginarci delle realtà presidiate come tante Saigon-bordello dell’ultima fase della guerra vietnamita), facendo finta che i “migranti economici” possano riattraversare davvero il Sahara per tornarsene in Mali, nel Niger, nei Paesi della fascia subsahariana da cui fuggono con donne e bambini perché guerre, sfruttamento incontrollato, cataclismi climatici, ondate di milioni di sbandati in fuga provenienti ancora da più a sud (Centrafrica, Congo, Benin), stanno cancellando le condizioni elementari stesse del vivere umano.
Non abbiamo ancora proprio capito nulla.
Direi che è forse una paradossale condizione favorevole, la scomparsa di quasi tutte le varianti di una sinistra funzionale a giustificare tutto e il contrario di tutto con contrapposti sofismi intellettuali, perché la questione -un’ondata di spostamenti di popolazioni di portata biblica o addirittura pre-biblica, che sta investendo l’Europa con quelle che sono appena avanguardie di sopravvissuti non ancora totalmente imbarbariti- venga alla luce con tutta la crudezza di uno sconvolgimento epocale in atto nella storia umana.
Che solo se se ne percepiscono le dimensioni reali potrà, sia pur faticosamente, essere affrontato ponendo le fondamenta di una nuova fase della evoluzione civile dell’uomo e della società del XXI secolo.
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