Gianna Lai
Siamo chiamati in questi giorni a votare sull’Accordo separato del 23 gennaio, nei seggi allestiti dagli iscritti CGIL in tutti i luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici pubblici, nelle piccole aziende e, per precari e cassaintegrati, nelle sedi territoriali del sindacato. Benedetti da CISL e UIL, i provvedimenti del governo sulla contrattazione, riducono il ruolo e la forza del contratto nazionale, limitano il diritto di sciopero e, avendo escluso la partecipazione della CGIL, provocano contestualmente la rottura dell’unità sindacale, sempre insidiata dalla destra per isolare l’unica rappresentanza sociale credibile, l’unica vera forza di opposizione. Che ha detto no a quell’accordo separato, affidando ai lavoratori la decisione finale. Gira e rigira, la manovra anticrisi si materializza in un’ intesa Governo-Confindustria-Cisl-Uil, che testimonia del carattere di questo liberismo, una vera politica del lavoro fondata su bassi salari e restringimento delle tutele verso il basso, nella condizione cioè in cui vengono tenuti i lavoratori del mondo più povero. Si nega la centralità del lavoro, ponendo la diseguaglianza a fondamento della politica.
La CGIL ribadisce che anche in piena crisi, il Contratto collettivo nazionale deve continuare a regolare il salario, e le condizioni di lavoro, i diritti, le pari dignità, a partire dal recupero dell’inflazione reale e dal calcolo degli aumenti, da conteggiare secondo una retribuzione più alta. Non si può, in nome della crisi, porre fine al modello contrattuale unico, separando lavoratori pubblici e privati, e limitare il diritto di sciopero in base alla maggioranza della rappresentanza sindacale. E nel modello universale di regole contrattuali la CGIl vuole comprendere anche la contrattazione di 2° livello, perchè siano tutelati i lavoratori precari, esclusi dal Contratto nazionale, non certo per attribuirle la deroga degli istituti contrattuali, come pretendono gli accordi separati ( forse in vista di un federalismo salariale, peggiore delle famigerate “gabbie salariali”?).
Con la recente Delega sulla contrattazione, e con i recenti provvedimenti antisciopero nei servizi pubblici, Governo e Confindustria diventano sempre più aggressivi nella loro “politica anticrisi”, tesa in realtà a tenere bassi i salari, a ridimensionare fortemente la funzione del sindacato, in una parola, a impedire per legge il conflitto sociale, unica vera forma di crescita del paese e della democrazia, perchè impone redistribuzione del reddito e mobilità sociale. E si accompagnano, queste scelte, a una politica dei tagli, che ha provocato la perdita di 130 mila posti di lavoro, l’aumento di cassa integrazione e precariato, la concentrazione delle ricchezze nelle mani di gruppi sempre più ristretti di persone. Se si abbassano le condizioni di vita delle le classi lavoratrici, si abbassano contestualmente i livelli della democrazia e della partecipazione in questo paese, mentre si esce dalla crisi valorizzando il lavoro, il sistema dei diritti del lavoro e la rappresentanza sociale, detassando il lavoro e aumentando le pensioni. Con una politica, come dice il sindacato, di intervento pubblico a garanzia delle tutele sociali per disoccupati e precari.
Ripartire dai recenti scioperi dei Metalmeccanici e della Funzione pubblica, che hanno manifestato insieme contro questo governo per contribuire allo sviluppo del processo l’unitario, partecipare al dibattito nei luoghi di lavoro sulle Piattaforme e sull’Accordo separato per ribaltare col referendum politiche impopolari e scelte reazionarie, e poi agli scioperi territoriali di quattro ore indetti dalla CGIL, ci sembra il modo giusto per contrastare le politiche di questa destra, che dovrà vedersela ancora con la grande manifestazione di Roma del 4 aprile, per il lavoro, la democrazia e in difesa della Costituzione. Può nascere un nuovo movimento unitario e di opposizione che sappia restituire dignità all’intero paese. Perciò sarebbe interessante in queste settimane sperimentare anche forme di assemblee cittadine aperte alla partecipazione di tutte le categorie di lavoratori, come momento unitario e di verifica del dibattito svolto nei luoghi di lavoro. Ripartire da qui per un nuovo processo di unità sindacale, messa in crisi non dai lavoratori iscritti alla Cisl e alla Uil, ma da vertici sindacali semplicemente filogovernativi.
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