Sergio Ravaioli
Nella sinistra sarda, ed in particolare nel cantiere PD, dilagano le analisi - dalle caratteristiche nascostamente assolutorie - che attribuiscono a difetti di comunicazione l’incomprensione tra passata giunta regionale ed elettorato.
La cosa mi ha fatto tornare in mente concetti appresi diversi anni fa su un testo di Philip Kotler - “Marketing management” - che so non essere più di moda, anche se ho verificato su Internet che continua ad essere pubblicato (Pearson Education Italia).
Tra il poco che mi è rimasto in memoria c’è la differenza tra marketing e pubblicità (advertising), e precisamente il fatto che il marketing è un processo complesso che include solo tra le ultime fasi la pubblicità, la quale nel marketing politico viene pudicamente ribattezzata “comunicazione” da chi la pratica o sprezzantemente “propaganda” da chi l’avversa.
Purtroppo il marketing politico tende spesso a far coincidere le due cose - marketing e pubblicità - specie se affidato a persone che di mestiere fanno il pubblicitario e, evidentemente, non hanno studiato sul Kotler. La differenza fondamentale sta nel fatto che il marketing prevede tra le prime attività la definizione, la progettazione del prodotto che poi sarà commercializzato; anzi: il prodotto viene definito sulla base di ricerche di mercato che assumono anche aspetti sofisticati e preludono alle successive fasi di progettazione e sviluppo. Infatti per un prodotto totalmente nuovo nessun sondaggio potrà mai rilevare una domanda insoddisfatta (cinquant’anni fa nessun sondaggio avrebbe mai rilevato l’esigenza di un telefonino cellulare), e quanto più “la cosa” che si va a mandare in produzione è nuova, tanto maggior tempo e maggiori denari bisognerà investire in pubblicità. Fermo restando che se il progetto è sballato nessuna pubblicità riuscirà mai ad imporlo nel mercato (quanti di voi si ricordano del telefono cellulare urbano Fido? flop multimiliardario della Telecom).
Ulteriore regola che vale la pena di ricordare in questo contesto è che la pubblicità va avviata quando lo sviluppo del prodotto è già vicino ad essere completato ed immesso sul mercato, poiché non ha senso propagandare, e quindi suscitare il desiderio di un prodotto che comparirà di lì a non si sa quanti anni.
E così anche il marketing politico dovrebbe per prima cosa preoccuparsi di definire le caratteristiche del prodotto che si va a proporre agli elettori, preoccupandosi del fatto che sia realizzabile in tempi politicamente accettabili. Caratteristiche del prodotto, vale a dire proposta politica e suo programma d’azione: se poi questo prodotto non si realizza nell’arco del mandato politico succede, come in Italia avviene puntualmente da quindici anni, che si vince la campagna elettorale e si perdono le elezioni successive. Va anche messo in conto in conto che se la proposta è fortemente innovativa merita un supplemento di indagine prima di essere confezionata e lanciata sul mercato, dopo di che dovrà essere effettuata un’impegnativa e costosa campagna pubblicitaria.
Alterare queste regole comporta vari rischi. Se il prodotto – chiamiamolo PdL - viene concepito sul predellino di un’automobile (… ma forse LUI ci aveva già ragionato prima) o andrà a fallire di lì a poco oppure richiederà un lungo e costoso impegno pubblicitario, capace di creare il mercato inesistente al momento del suo lancio.
Se invece il prodotto viene concepito in seguito a riflessioni e valutazioni che hanno impegnato anni, come per il Partito Democratico, aumentano le probabilità che quell’offerta soddisfi un’esigenza reale, una domanda latente, ma, essendo altamente innovativa, ciò non la esime da un forte impegno per affermarla nel mercato.
Ad oggi sembrerebbe che l’offerta PdL abbia avuto successo, l’offerta PD no. Come mai?
Perché l’offerta PdL ha potuto contare su un forte investimento in advertising, messo in atto da una dirigenza aziendale coesa e dotata di mezzi.
L’offerta PD invece, seppure forse meglio studiata e preparata, è stata commercializzata da un dirigenza aziendale scombinata e litigiosa, essa stessa dubbiosa della bontà del prodotto che andava a proporre e priva di mezzi capaci di dimostrare – magari con i trucchi della pubblicità - che il PD è un buon prodotto, che risolve i problemi per i quali viene proposto; e neppure capace di mettere in ombra la concorrenza presente nella stessa porzione di mercato (oppure di comprarsela).
In Sardegna poi se vogliamo applicare i suddetti concetti alla passata legislatura è facile constatare che il prodotto propagandato nella campagna elettorale del 2004, gli elettori l’hanno trovato soltanto nei proclami della giunta regionale e della stampa amica, non negli scaffali e quindi – fuor di metafora – non nel proprio portafoglio e nel miglioramento della qualità della vita (valutazione confermata dal messaggio: ”… dobbiamo completare il lavoro avviato”).
Rispetto alla recente campagna elettorale è facile osservare che si è aperta bottega (cioè si sono indette elezioni) prima ancora di aver progettato cosa si andava a vendere, sapendo solo chi sarebbe stato il venditore. Questi è pur stato bravo, ha faticato molto ed ha girato moltissimo, ma ha commesso l’imperdonato errore di essere armato solo di pubblicità, avendo saltato tutte le fasi che la devono precedere.
Chi è causa del suo mal …. !
1 commento
1 Quesada
5 Marzo 2009 - 18:40
Comunicare dovrebbe essere un processo a due vie.
Ho l’impressione che il PD e la sinistra abbiano l’apparato ricevente fuori uso.
Lascia un commento