Andrea Pubusa
(Rwm - stabilimento di Domusnovas)
Mi sono spesso interrogato sulla situazione dei tedeschi intorno ai campi di sterminio. Sapevano? Certamente. Eppure tacevano. Ho sempre avuto una certa titubanza a condannarli. Salvo i gesti eroici, le persone istintivamente tendono a salvare se stesse, a non compiere atti capaci di mettere a repentaglio la sicurezza propria e delle proprie famiglie. Ho anche pensato, stupidamente, a cosa avrei fatto io in quella situazione, e sono sempre giunto alla conclusione che avrei taciuto anch’io. Mi sono anche chiesto però se esistono oggi fatti, episodi che in qualche modo possono richiamare quegli orrori e, pian piano, sono giunto alla conclusione che sotto i nostri occhi si sta svolgendo qualcosa di agualmente tragico e con dimensioni di massa non molto dissimili. I migranti che attraversano deserti e mari e subiscono ogni sopraffazione e a migliaia muoino per terra e per mare. Le popolazioni falcidiate dalle guerre che attraversano le loro case, sventrandole e facendo orrende stragi, l’enorme aumento di nuove schiavitù perfino nelle nostre città con forme di lavoro che nulla hanno della disgnità e del rispetto che ogni attività umana, svolta per campare, deve avere. Ecco, di fronte a tutto questo, ho sentito il peso dell’assistere ad un’immane tragedia contro l’umanità e di essere poco attivo, di non fare quanto si può e si deve.
Questo sentimento mi ha assalito anche di fronte alla vicenda RWM di Domusnovas. Come possiamo star zitti? Come possiamo fingere di non vedere quelle terribili fiammate che avvolgono le case di inermi yemeniti? No, non possiamo. Fra l’altro, noi godiamo anche della libertà di manifestare, di dire, di proporre. Se diciamo no ad alta voce non corriamo alcun rischio.
Per questo l’altro giorno mi sono recato all’incontro indetto dall’ARCI, volevo sentire, ma volevo dire a chi già si batte per la riconversione, io ci sono, sono con voi. E devo ammettere che ho sentito parole di grande pacatezza e saggezza a partire dall’introduzione di Franco Uda. Nessuna polemica, nessuna parola irriguardosa, anzi grande rispetto verso i lavoratori di RWM. Analisi pacata e precisa, proposta altrettanto ragionevole: riconversione, salvaguardia di ogni posto di lavoro, secondo quanto prevede la legge 185 e secondo quanto già si è fatto da altre parti. Di Uda mi è piaciuto anche l’invito alla pazienza, alla tenacia, ma senza accelerazioni. Per vincere, bisogna convincere, bisogna che facciamo un movimento ampio, un movimento tranquillo perché avanziamo giuste ragioni: la vita contro lo sterminio, la pace contro la guerra, il lavoro dignitoso e sicuro.
Ed allora in questo cammino una prima questione riguarda il progetto per la «realizzazione del nuovo campo prove R140». È questa una delle istanze presentate da Rwm per testare e produrre ordigni da guerra in Sardegna. La consociata italiana della multinazionale tedesca intende cioè realizzare un nuovo poligono di tiro per perfezionare gli esplosivi da provare sul campo prima della messa in commercio. La procedura per l’ampliamento dell’area produttiva è in piedi da mesi. La compagnia, spinta dai ricchi affari per le forniture di bombe aeree alla coalizione saudita che sta combattendo nelle Yemen, deve fronteggiare la crescente richiesta di armi.
Ma come si concilia questa richiesta con l’avvio della costruzione di uno stabilimento proprio in Arabia Saudita? Evidentemente RWM, per un verso, vuole pararsi le terga contro un movimento che in Sardegna e in Italia va crescendo, per l’altro può pensare di fare della Sardegna il poligono per perfezionare le micidiali bombe e studiare nuovi ‘prodotti’. Del resto, l’Isola non svolge già ampiamente questa funzione nei numerosi poligoni e basi militari? Ecco perché «per soddisfare le esigenze si prevede di inglobare all’interno dell’area dello stabilimento una zona di proprietà della Rwm Italia SpA, sul lato nord – si legge nelle relazioni consegnate alla Regione Sardegna – attualmente esterna alla porzione recintata ed utilizzata direttamente per le attività dell’opificio». Ecco questo ampliamento dobbiamo impedirlo con tutte le forze, come primo passo verso la dismissione completa.
Nelle settimane scorse Fabio Sgarzi, amministratore delegato della RWM ha con tono vagamente minaccioso detto che «non c’è alcuna possibilità di riconvertire la Rwm Italia. Nessun cambio di attività è possibile, la prospettiva sarebbe solo la chiusura della fabbrica e il licenziamento dei dipendenti». Se Regione e Comune di Iglesias respingessero il piano di ampliamento, dunque, Rwm andrebbe verso la «la chiusura della fabbrica e il licenziamento dei dipendenti ». Un ricatto, bello e buono! Ma in realtà già da altre parti del mondo, precisamente a sud di Riad, la multinazionale tedesca, appoggiandosi alla controllata sudafricana Rheinmetall Denel Munition (Rdm) e d’intesa con la Saudi Military Industries Corporation (Samic), produce e assembla bombe da artiglieria e ordigni aerei del tipo attualmente commissionato allo stabilimento sardo. Quindi la delocalizzazione è in atto. Ecco perché, in fondo, la proposta dell’ARCI e del Comitato di Iglesias per la riconversione è l’unica via ragionevole anche per difendere i lavoratori. Ecco perché Pigliaru non deve essere sordo alla richiesta di incontro. Ogni giorno perso nella direzione della riconversione può essere pregiudizievole proprio per i dipendenti di Domusnovas. Semmai occorre fare uno sforzo per individuare cosa produrre in luogo delle bombe. Ma se c’è la volontà anche questo non sarà un problema irrisolvibile. Proviamoci. Tutti insieme.
1 commento
1 Aladin
10 Maggio 2018 - 08:55
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=82338
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