Andrea Pubusa
Ancora oggi si sentono molti in giro parlare dei 5 Stelle come degli sprovveduti pivellini, maldestri improvvisatori e di poco acume. Certo, sentire questi giudizi in bocca a chi ha dimezzato il proprio elettorato o a chi non lo ha mai raddoppiato o a chi ha percentuali minime fa sorridere. Salvo annettere il 32% al caso, deve ammettersi che questo risultato elettorale, raggiunto in pochi anni, mostra, al contrario, un’intelligenza politica straordinaria. Beppe Grillo non ha sbagliato una mossa e manifesta ancora una superiorità abissale rispetto ai concorrenti.
Avete visto la capacità di adattamento dei pentastellati alle diverse fasi? Non vi paiono espressione sopraffina dell’arte della politica? Dal vaffa e dall’opposizione ferma e propositiva si è passati alla candidatura al governo con un programma popolare e di facile comprensione. Ed ora? Spunta l’idea del contratto come strumento per la formazione del governo. La proposta conferma l’acume politico dei 5 Stelle e mette in evidenza una loro lucida coerenza in relazione alla situazione postelettorale.
Il contratto esclude l’alleanza. Questa presuppone un’affinità politica, il contratto la nega. E’ più semplicemente un accordo preciso su singoli punti fra parti distinte, sul presupposto che non si possa agire insieme sulla base di un comune sentire. Insomma, il M5S ribadisce la propria diversità, la vocazione a non allearsi e si propone di mantenerla; quindi, volendo, nell’interesse del Paese, formare un governo propone un contratto, da portare davanti ai cittadini e in Parlamento per la sua sanzione pubblica e democratica.
E’ stata criticata la scelta di due interlocutori, PD e Lega, la loro intercambiabilità. Ma anche questa è una contraddizione solo apparente. Il M5S ribadisce con orgoglio di non avere alcuna comunione ideale coi due partiti e di apprestarsi a riprendere la battaglia contro di essi alla scadenza del contratto. Il rapporto è circoscritto all’esecuzione dei punti concordati. Il M5S vuol crescere ancora.
E’ una visione molto pragmatica ed efficace, che il PD teme nell’illusione di portar via voti ai grillini non per meriti propri, ma per errori loro, mentre Salvini è titubante, ma sembra tentato, anche perché, disarcionato B., si apre per lui una prospettiva intrigante, l’assorbimento dell’intero centro-destra.
Il passaggio dopo il “governo di contratto” è una libera dialettica concorrenziale fra M5S e Lega, con funzione marginale del PD. Certo, se in questo partito venisse battuta la linea renziana dell’Aventino, potrebbe prospettarsi per i dem un ruolo determinante negli assetti politici di governo con interessanti sviluppi. Il PD tuttavia per far questo dovrebbe rivedere a fondo la linea di questi ultimi anni (job act, Fornero, art. 18, assetto istituzionale ecc.), e non sembra disposto a questa svolta.
La situazione è bloccata, ma in via di evoluzione. Nel PD ci sono non pochi che capiscono la vacuità della linea Renzi. Il contratto, in fondo, è un atto tipicamente consensuale, si stipula se si condividono le clausole. Ergo, il PD non ha nulla da temere da confronto. Forse qualcuno lì dentro ricorda che Bersani è dai 5 Stelle che voleva l’appoggio. Sanno come è andata a finire, con governi appoggiati da B. o da spezzoni del centro-destra, al di fuori e contro la prevalente volontà popolare. Sanno che la frana del PD origina dallo spostamento verso destra. Chissà che non rinsaviscano. Per il Paese ora l’importante è non tornare a governi pensati fuori dal Parlamento, frutto si intrighi di ristrette oligarchie.
1 commento
1 Aladin
9 Aprile 2018 - 08:01
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=80989
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