Andrea Raggio
Molti comportamenti della giunta comunale di Cagliari sono facilmente spiegabili, altri invece sembrano avvolti nel mistero. Il pervicace sabotaggio, ad esempio, di ogni progetto volto a trasformare, con risorse finanziarie private, i due vecchi stadi cittadini in moderne strutture sportive, si spiega con la vocazione palazzinara del centrodestra. Mandare a ramengo, infatti, un’antica e gloriosa società come l’Amsicora e uno stadio come il Sant’Elia serve solo a liberare aree appetite dai costruttori di palazzine (non è improbabile che questa sia l’intenzione anche per l’area CTM). Stroncare, persino con brutalità, iniziative volte a valorizzare le potenzialità culturali e turistiche del centro storico, trasformato dalla lunga colpevole incuria in periferia, serve a scoraggiare il ricorso al principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale, in base al quale i cittadini promuovono in collaborazione col Comune iniziative d’interesse generale. La sussidiarietà orizzontale non solo consente di risparmiare denaro pubblico ma è anche una forma di partecipazione democratica, non clientelare, ed è questo che non va giù alla giunta comunale. Agitare progetti campati per aria – dal tunnel sotto la via Roma alle scale mobili in Castello - serve a fare propagandismo, anche a costo di provocare danni. Mentre ritorna l’interesse sulla metropolitana, di superficie o sotterranea, non è male ricordare che un progetto di metropolitana di superficie sull’intera area vasta era stato finanziato interamente sin dal 1994 col programma dei Fondi strutturali europei, ma la giunta di centrodestra d’allora decise di rinunciarvi perché non compatibile col tunnel della via Roma. La mancata ratifica dell’accordo di programma Betile – S. Elia sottoscritto anche dal sindaco appare, invece, un mistero politico. Inizialmente pareva una ritorsione nei confronti della Regione, accusata di slealtà perché avrebbe fatto denunciare dalle guardie forestali la costruzione di gigantesche fioriere sopra le antiche tombe di Tuvixeddu. E’ seguita una motivazione non meno assurda: l’iniziativa è ottima, ma non si può approvare. Per motivi politici? No, per motivi tecnici. Motivi tecnici su un’intesa di programma del quale non si contestano le scelte di fondo? Un sindaco, che pur di non dare le dimissioni si accoda alla sua maggioranza nel bocciare un accordo di quella portata, da lui in precedenza sottoscritto, non si era mai visto. Per la verità non si era mai visto neppure un presidente di Regione che colloquia direttamente, saltando il sindaco, con i cittadini interessati al problema. La conflittualità tra Soru e Floris, dato costante della politica cittadina, è giunta oramai al punto da creare conseguenze sempre più pesanti. E’ soltanto un fatto d’incompatibilità temperamentale? Il governatore è certamente invadente – ricordo tra le altre la vicenda degli ospedali - e il sindaco ha innegabilmente una visione angusta del ruolo di Cagliari capitale. Difetto, questo, di tutti i sindaci precedenti, tranne Salvatore Ferrara, ma anche di tutti i precedenti presidenti della Regione, i quali preferivano non disturbare per non essere disturbati. La responsabilità della conflittualità grava in misura determinante sull’attuale assetto istituzionale sia del comune e sia della regione. L’accentramento nel sindaco di un potere eccessivo svuota il Consiglio comunale del suo ruolo, mortifica la vitalità democratica dell’istituzione e concorre a rendere asfittica l’attività politico-amministrativa. La regione governatoriale non solo soffre dello stesso deficit democratico ma evoca un rapporto gerarchico con i comuni e le province. Soru interpreta, forse con eccessiva enfasi, la regione governatoriale. Altro è l’indirizzo della Costituzione. Con la revisione del titolo V del 2001 la Costituzione delinea una visione del rapporto tra le istituzioni non più gerarchico e conflittuale ma paritario e relazionale. Diverse funzioni e ambiti territoriali diversi, ma pari dignità. E il rapporto tra le istituzioni e i cittadini tende a superare la tradizionale gerarchica distinzione tra soggetti attivi, gli amministratori, e soggetti passivi, gli amministrati. La partecipazione è, dunque, la nuova frontiera della democrazia. Consente alle autonomie locali di contribuire a pieno titolo alla gestione della Regione e ai cittadini di incidere in modo meno episodico e più efficace sul governo della cosa pubblica. E’, perciò, una potente leva dello sviluppo. Purtroppo, la riforma del 2001 è monca e contraddittoria. Al nuovo regionalismo manca una parte indispensabile al suo funzionamento - l’istituzione del Senato delle Regioni - e la partecipazione democratica è contraddetta dalla normativa “governatoriale” sulla forma di governo delle regioni. Queste, peraltro, si sono rassegnate al neo centralismo, compresa quella sarda nonostante potesse decidere diversamente. Questo limite, tuttavia, non deve costituire un alibi per nessuno. Il futuro della Sardegna e della sua capitale dipende essenzialmente dalla capacità e dalla volontà dei loro dirigenti politici di avviare un rapporto relazionale tra le due istituzioni, ponendo fine una buona volta alle prevaricazioni gerarchiche e alle chiusure municipalistiche. Occorre, in conclusione, una forte iniziativa che scuotendo lo stanco, rassegnato trascinarsi della politica regionale e cittadina, rimetta l’Autonomia sui binari della democrazia.
Misteri politici e conflitti istituzionali
6 Maggio 2008
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7 Febbraio 2012 - 04:51
Hello, this is a great blog!
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