Il nucleare? Rischiosissimo e antieconomico

26 Febbraio 2009
9 Commenti


Antonello Gregorini

Antonello Gregorini, dei Verdi di Cagliari, c’invia questo contributo sul nucleare, che volentieri pubblichiamo. La scheda sintetizza il primo capitolo del bel libro ”La rivoluzione solare - perché l’energia del futuro viene dal sole”, di Travis Bradford, 2008 Brioschi editore. Invitiamo, naturalmente, i lettori che abbiano competenze sull’argomento ad inviarci i loro contributi.

L’energia nucleare copre attualmente circa il 25% del fabbisogno di energia dei paesi OCSE. Negli anni ‘50 l’industria nucleare si affermò come la gallina dalle uova d’oro dei paesi industrializzati in quanto prometteva energia quasi illimitata. Negli anni ‘70, anche in conseguenza degli shock petroliferi, si passò dal 2% del 1971 al 17% del 1988. Da quel momento si manifestò una situazione di stallo per lo sviluppo dell’industria nucleare a causa principalmente di tre questioni:
•· Il miglioramento della conoscenza dei meccanismi industriali sottostanti e l’evoluzione dei sistemi energetici portò a uno stallo degli ordini di nuove centrale negli Stati Uniti d’America, maggior produttore e consumatore di energia elettrica. Nel 1978 gli ordinativi si annullarono a causa di un eccesso dell’offerta di energia e della migliorata efficienza dei sistemi.
•· Gli incidenti del 1979 nella centrale di Three Miles Island, dove si arrivò all’evacuazione in massa della popolazione, e nel 1986 a Cernobil in Ucraina, per il quale si sono stimati centinaia di migliaia di morti e la devastazione per millenni di un vastissimo territorio, portarono l’opinione pubblica mondiale a meglio comprendere gli spaventosi effetti e gli altissimi costi ambientali e sociali che questa tecnologia avrebbe potuto causare.
•· Il proliferare dei programmi energetici nucleari mascheravano l’avvio e l’espansione di programmi militari nucleari anche nei paesi del terzo mondo, per cui furono “sconsigliati” dalle grandi potenze e dall’ONU.
Solo poche nazioni come la Francia, la Cina, il Giappone e la Corea puntano ancora oggi sullo sviluppo dell’industria nucleare. Negli Stati uniti non si costruiscono centrali dal 1978. Altri paesi come Belgio, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno abbandonato il proprio programma nucleare.
Il nucleare genera elettricità senza emissioni di “gas serra”, questo fatto in un contesto di paura per gli innegabili cambiamenti climatici é il principale argomento di supporto per i fautori di nuovi reattori. Esso inoltre genera “energia di carico di base”: il quantitativo minimo di energia che deve essere immesso nelle reti per garantire continuità al sistema. La natura del processo di produzione necessità di altissimi costi di avvio e di spegnimento dell’impianto ma, allo stesso tempo, obbliga a un’operatività del 90%, riducendo di fatto il costo dell’energia al costo di costruzione della centrale e dei servizi annessi. Nonostante ciò il costo dell’energia elettrica generata è di circa sette centesimi di dollaro per kWh, sensibilmente più alto dell’energia prodotta da combustibili fossili per il suddetto carico di base.
Tali stime sottovalutano grossolanamente il vero costo perché ignorano i costi esterni connessi al suo utilizzo. Questi sono sintetizzabili in:
•· Gestione delle scorie radioattive (attualmente nessuna nazione ha sviluppato una soluzione adeguata allo stoccaggio delle scorie).
•· Gestione del rischio di incidente sia in termini di danno immediato sia di bonifica e ripristino ambientale. Per il significato che può avere, si stima che la bonifica dei danni causati dal reattore di Cernobil sarà costata, al termini delle attività, sino a 36 miliardi di dollari, una cifra maggiore del valore di tutta l’energia elettrica generata in Unione Sovietica da tutti gli impianti nucleari attivi.
Questi costi non sono stati mai inclusi nei bilanci di costo dell’energia nucleare. Negli Stati Uniti una legge (Price-Anderson Act) limita a 9,5 miliardi di dollari la responsabilità del settore per i danni alla nazione, il resto graverebbe sulla fiscalità pubblica.
Il repentino aumento dei prezzi del petrolio riporta in auge l’energia nucleare, se chi prende le decisioni continuerà a percepire il nucleare come unica soluzione possibile per soddisfare la domanda di energia, la disperazione potrebbe indurre a far accettare il rischio. Saranno però ragioni strettamente economiche, non ideologiche, quelle che impediranno all’energia nucleare di essere la soluzione praticabile al problema.

9 commenti

  • 1 Maurizio Mulliri
    26 Febbraio 2009 - 11:50

    condivido pienamente l’analisi dell’articolo, ma condivido ancora di più l’ultimo paragrafo. In tempi dove “piuttosto che niente, piuttosto” meglio fare accordi a lungo termine che acquistare barili di greggio a 140$.

  • 2 angelo aquilino
    26 Febbraio 2009 - 12:02

    Ho rivisto Giulietto Chiesa…..
    Ho rivisto Giulietto Chiesa la domenica precedente le elezioni regionali della Sardegna. In compagnia dell’ottimo Pino Cabras (direttore del sito http://www.megachip.info al quale sono ancora iscritto) era a Cagliari per sostenere la campagna elettorale della dottoressa Claudia Zuncheddu candidata nella lista dei Rossomori
    Visto che il partito per il quale è ancora deputato europeo (rifondazione comunista) ha avuto un ruolo, non secondario, nella caduta del governo Prodi e nel ritorno di un Berlusconi ancora più famelico di prima ho voluto sentire la sua opinione anche perché in Sardegna era assai probabile la stessa fine. La sconfitta elettorale della sinistra si è infatti verificata. Non mi è parso consapevole né pentito del contributo dato alla rovina della sinistra. Abbiamo adesso,in Sardegna, un bel governo di massoni con i capitali della mafia calabrese pronti a mettere le mani sulle coste sarde non appena il dottor Cappellacci eliminerà (come ha già dichiarato di voler fare i vincoli paesaggistici posti da Soru). Ciò darà una bella mazzata al futuro turistico dell’isola. Ma il peggio arriverà con le centrali nucleari che saremo costretti ad accettare. Hanno voglia di sgolarsi i fanatici del nucleare e di dire che sono sicure. È dimostrato che è sufficiente il guasto di una modesta pompa (com’è già successo in Ucraina) per provocare il disastro. Con queste prospettive Nessuno turista verrà più in Sardegna. Senza industria,con l’agricoltura in crisi endemica,perdendo anche il turismo, la Sardegna tornerà al tempo dei nuraghi. Mentre progetto di lasciare la Sardegna, dopo quarant’anni di residenza,rivolgo un grato pensiero a tutti coloro che, nel centro sinistra, hanno combattuto Soru perché era un tiranno e perché la legge salvacoste fermava lo sviluppo. A costoro dico che le centrali nucleari moltiplicheranno sicuramente lo sviluppo (dei cimiteri). Un altro grato pensiero va al compagno Turigliatto ed alla redazione di codesto sito.

  • 3 Quesada
    26 Febbraio 2009 - 16:27

    Certo che se questo sito avesse sostenuto Soru, non c’è dubbio che Soru avrebbe vinto!

  • 4 angelo aquilino
    26 Febbraio 2009 - 17:09

    caro quesada,
    forse sarà meglio che Lei scriva il suo nome,io non amo parlare con sconosciuti. Certo,però, che questo sito ha fatto del suo meglio.

  • 5 a. gregorini
    26 Febbraio 2009 - 19:31

    Sul nucleare in Sardegna val la pena sviluppare un discorso tecnico, al di là dagli “incazzi” ideologici e dalle paure. Avendo studiato il Piano Energetico Regionale, per conto della federazione dei Verdi, ho un’idea abbastanza definita di quale sia la configurazione delle centrali e delle reti sull’isola.
    I progetti menzionati nell’accordo EDF – ENEL riguardano quattro centrali da 1600MW, cioè dire un potenziale nettamente superiore a quelle che sono le attuali necessità dell’isola di “carico di base”.
    In sostanza una centrale di questo tipo, ammesso ma non concesso che possa avere una giustificazione economica sul territorio continentale, non troverebbe sull’Isola alcuna giustificazione.
    In Sardegna il 30% del carico di base é già assolto dalla produzione della SARLUX, l’impianto di produzione della Saras dove si bruciano gli scarti di lavorazione del petrolio. Oltre a questa esistono delle centrali termiche a Fiumesanto e Portovesme altrettanto potenti.
    Il PEARS é stato modificato a novembre del 2008 con una triplicazione della quota di eolico (da 550 a 1500) e, la mia percezione del mercato mi porta umilmente a ritenere che, il fotovoltaico potrà arrivare a un paio di centinaio di MW entro qualche anno. Si aggiungano inoltre due centrali di solare termodinamico da realizzare a Ottana e Macchiareddu (queste contrariamente alle altre FERS assolvono al carico di base, nel senso che producono energia anche in assenza di sole grazie alla conservazione di una buona quota dell’energia prodotta nelle ore di insolazione) e quelle eventuali piccole centrali a biomasse che saranno realizzate.
    Non vedo quindi come potrà essere giustificata la progettazione di una centrale atomica sul territorio isolano.
    Io penso però che ci sia ancora molto da fare e che questo lavoro debba essere fatto anche con l’aiuto di tutti.
    La precedente Giunta sta lasciando una normativa molto vincolistica ma anche confusa, quella che autorevoli giuristi definirebbero una “normativa enigmistica”, troppo soggetta a interpretazioni e “intese”.
    Occorrerebbe pianificare un sistema energetico a rete, con piccoli nodi di produzione, equilibrato e supportato da reti intelligenti e più leggere di nuova concezione, che consenta di distribuire anche il reddito derivato dalle produzioni.
    Starà a noi far si che questo avvenga e che la Sardegna si porti all’avanguardia nelle politiche di settore, cosa che sino a oggi non é avvenuta, punto.

  • 6 Daniela
    26 Febbraio 2009 - 19:49

    Sul nucleare in Italia c’è stato un referendum. Qualcuno mi sa dire se gli esiti dei referendum hanno una scadenza?Non è che tra un po’ andiamo a rivotare tra monarchiia e repubblica???

  • 7 Sergio Ravaioli
    26 Febbraio 2009 - 20:41

    Premetto che sono contrario al nucleare in Sardegna (sia produzione che scorie) non in base alla furba regola NIMBY ma perché rispetto al conto energetico nazionale la Sardegna ha già dato: con la SARAS, con il gasdotto in costruzione e con il carbone (impianti e sperimentazione per gassificazione e captazione CO2).
    Ciò detto, ritengo che l’energia costituisca, insieme a trasporti e sicurezza, uno dei debiti che la sinistra ha nei confronti dei ceti popolari e che hanno spinto molti lavoratori a cercare soluzioni a destra. A cercare soluzioni a livello individuale e non politico. Anche cadendo facile preda di pifferai magici o capi popolo violenti. Esperienze sconosciute ai ceti medi beneficiari di una qualche rendita, capaci di pagare personalmente ciò che lo Stato non dà e quindi in grado di permettersi il lusso di restare di sinistra (e … saldi nei propri principi!).
    26 centesimi per ogni KWh (comprensivo di tasse varie, pari a 7,2 cent. per MJoule) è un prezzo che non ha riscontro in nessun altro paese europeo, e quindi sempre più famiglie italiane devono scegliere se scaldarsi o mangiare. La sinistra, in tutte le sue gradazioni, se vuole tornare a farsi ascoltare dai ceti popolari deve smetterla di predicare benaltrismo e cominciare a SPORCARSI LE MANI con proposte di soluzioni, in questo ed in altri campi.
    Energia nucleare: tutti i modi di produzione di energia presentano problemi; tecnologie tipo “Carosello-Mulino Bianco” non esistono. Il dibattito – polemica viene sempre alimentato citando i problemi della tecnologia di cui si parla e tacendo delle altre. Ogni tecnologia ha le sue lobby ed i suoi cadaveri nell’armadio, per cui i pareri tecnici, ed anche gli stessi numeri, vanno sempre presi con le pinze. Diciamola così: non esiste un algoritmo che matematicamente ti dica cosa è meglio, la politica deve fare le sue scelte e prendersi le sue responsabilità, così come fece nel 1987 quando, sull’onda del disastro di Chernobyl, indisse un referendum dal risultato scontato.
    Nello specifico solo un paio di osservazioni che ritengo importanti. I costi del nucleare sono in massima parte costi interni, che vanno ad alimentare occupazione qualificata nazionale e non sceicchi. I danni sono eventuali ed evitabili come dimostra il numero di morti di incidenti nucleari causati dai 59 impianti presenti in Francia, pari a zero. Far sempre riferimento a Chernobyl è come parlare di automobili facendo riferimento alla famigerata Trabant.
    Viceversa i danni da energia fossile, cioè da CO2, sono certi e irreversibili perché – come sempre nel caso dei guasti prodotti da accumulo – quando si manifestano è troppo tardi per intervenire. Ed all’accumulo di CO2 contribuiscono non solo gli impianti di condizionamento di Wall Street, ma anche il fuoco a legna dei poveracci nel Bangladesh che preparano il loro misero pasto e che non potranno mai permettersi un impianto nucleare.
    Come diceva il ben noto Chicco Testa, la vera alternativa al nucleare è il carbone. Ed investire nel nucleare non deve voler dire smettere di investire nelle energie rinnovabili e nelle politiche di risparmio energetico.

  • 8 franco
    27 Febbraio 2009 - 11:04

    Per Daniela, i risultati di un referendum non hanno scadenza temporale , cosi è affermato dalla corte costituzionale con sentenze specifiche : 468/90 , 32/93. in sostanza dicono che essendo il risultato del referendum unico ed irripetibile dovrebbe essere lo stesso popolo chiamato ad un nuovo referendum per eventualmente ribaltare la precedente decisione,
    ancorpiu’ afferma che il legislatore che puo solo modificare nel senso della decisione scaturita dal referendum la parte della legge richiamata per adeguarla alla volonta del popolo,non puo fare delle nuove leggi su quell’argomento e non puo emettere leggi che varino la durata temporale delle decisioni scaturite. Ora scappatoie comunque le trovano sempre, prendi esempio sul referendum sul finanziamento pubblico ai partiti, oppure sull’aborto.
    Per tornare al nucleare, è vero che i ministri o simili non pagan dazio per le decisioni prese durante il loro mandato , comunque si posson sempre denunciare ed eventualmente pubblicamente sbuggiardare per il loro operato chiaramente anticostituzionale , certamente ci sono dei costituzionalisti di belle speranze ed in cerca di visibilità ma son sempre legati alle aperture di visibilita a cui vengono relegati, la speranza che senza dover andare a Berlino un giudice giusto si trovi comunque.

  • 9 Alessandro Baldussi
    27 Febbraio 2009 - 11:44

    Ovviamente non esistono tecnologie o sistemi finiti che siano, nel loro ciclo di vita, ad impatto zero. Ma criteri per cercare di scegliere, si.
    Vi propongo questo articolo di Ugo Bardi di Aspo-Italia - http://www.aspoitalia.it/blog/nte/

    Nuove tecnologie energetiche: come giudicare?

    Sembra passato da un pezzo il tempo in cui - solo pochi anni fa - se parlavi di un “problema energetico” ti guardavano un po’ strano. Adesso, stiamo addirittura esagerando: ti arrivano addosso le proposte più strane; ognuno ha la sua soluzione, dal nucleare alla “enhanced recovery” dai pozzi esistenti. Spesso, chi propugna una certa soluzione si preoccupa di denigrare più che può tutte le altre.

    Allora, in questo primo post del nuovo blog, vediamo di stabilire un po’ di regole per permettere a tutti di valutare. Come si suol dire, non è tutta ortica quella che punge, ma un po’ di discriminazione ci vuole sia per evitare le bufale che per entusiasmarsi troppo anche di cose valide. Ho pensato di suddividere la valutazione delle tecnologie energetiche in tre “principi”, ispirandomi alla termodinamica. Questi sono, in un certo ordine logico

    1. Produttività - la tecnologia deve essere in grado di produrre una quantità significativa di energia

    2. Resa energetica (EROI o EROEI) - la tecnologia deve produrre molta più energia di quanta non ne richieda

    3. Sostenibilità - la tecnologia deve essere in grado di produrre per tempi molto lunghi senza fare danni ad altre attività e agli esseri umani.

    Noterete per prima cosa che non ho parlato di costi monetari. Questo è perché sono inclusi nei tre principi: una tecnologia che produce in abbondanza, rende bene e non fa danni deve necessariamente essere vantaggiosa dal punto di vista economico. Ma i costi reali delle tecnologie sono modificati e stravolti sia da fattori di mercato sia dai pesanti interventi dei governi a favore di questa o quell’altra tecnologia. Quindi, è meglio basarsi sui principi della fisica dove, perlomeno, i governi non possono mettere bocca. Adesso, andiamo un po’ più in dettaglio nella faccenda.

    Il primo principio, produttività, dice che una nuova tecnologia energetica deve comunque produrre qualcosa. Questo sembra ovvio, ma non è sempre vero. Ci sono svariate tecnologie che vanno contro i principi della fisica e che non sono in grado di produrre alcunchè; per esempio le varie energie orgoniche, il tubo di tucker, il motore ad acqua, il magnegas e altre fesserie del genere che, comunque, impazzano su internet. Ci sono poi tecnologie che non vanno contro le leggi dell’universo, ma che comunque sono ridicole in termini della quantità di energia che si può produrre. Viene in mente - per esempio - l’idea di fare biocombustibili dal grasso da liposuzione oppure di fare energia elettrica dai movimenti di quelli che ballano in discoteca. In entrambi i casi, si vedono i limiti delle possibilità fisiche umane: anche fare energia dalle cyclette non darebbe un contributo significativo alle necessità globali. C’è poi l’energia prodotta dal recupero della combustione dei rifiuti, i cosiddetti “termovalorizzatori”. Anche qui, la quantità producibile è troppo piccola per avere un impatto significativo. Infine, il primo principio raffredda molto l’entusiasmo per tecnologie che sono, magari promettenti, ma che al momento non esistono in pratica e quindi non possono produrre niente, come la fusione nucleare e i biocombustibili di “seconda generazione”

    Il secondo principio, resa energetica (EROI o EROEI, dalle iniziali di energy return for energy invested), segue logicamente dal primo. Non basta che una tecnologia produca energia; bisogna che ne produca una quantità superiore a quella necessaria per costruire gli impianti, manutenzionarli, alimentarli e poi, alla fine, smantellarli. Se il rapporto fra energia prodotta e energia investita (EROEI) è minore di uno, ovviamente, è un’impresa inutile. Non solo, ma occorre che questo EROEI sia molto maggiore di uno perché la cosa abbia un senso pratico. Secondo Charles Hall, dovrebbe essere almeno maggiore di 5, probabilmente deve essere almeno intorno a 10. Questa necessità elimina un buon numero di tecnologie che hanno EROEI bassi: l’etanolo da mais, per esempio, ha EROEI vicino, o forse inferiore, a uno. I biocombustibili da semi oleosi hanno EROEI troppo bassi, intorno a 3-4. Anche i termovalorizzatori hanno EROEI molto basse e sono poco proponibili come tecnologie per la produzione di energia. Lo stesso vale per altre cose come gli scisti bituminosi e, probabilmente, per la liquefazione del carbone. Infine, l’idrogeno, pur non essendo una “fonte” energetica, riduce enormemente l’EROEI delle fonti usate per produrlo e quindi è - in pratica - eliminato come tecnologia utilizzabile.

    Il terzo principio, quello della sostenibilità, pone un’ulteriore discriminante: non basta che una tecnologia produca energia in abbondanza; bisogna che lo faccia per tempi molto lunghi e senza far danni ad altre cose. Questa condizione elimina un buon numero di tecnologie andanti: per esempio i combustibili fossili, sia perché sono una risorsa limitata, sia perché è limitata la capacità dell’atmosfera di assorbire i prodotti della combustione. Pone anche il problema della sostenibilità della fissione nucleare secondo la tecnologia corrente che fa uso, anche quella, di una risorsa limitata, l’uranio fissile, ovvero l’isotopo 235, la cui disponibilità sul mercato comincia già oggi a essere difficile. Inoltre, il fatto di lasciare scorie radioattive a decadimento molto lungo è un’ulteriore problema per il nucleare. Anche molti biocombustibili sono in difficoltà a soddisfare questo principio: teoricamente sono risorse rinnovabili ma, a parte che nella pratica rovinano il suolo, c’è il problema che se dovessimo sfruttarli per soddisfare le nostre esigenze energetiche, non potremmo soddisfare quelle alimentari. Questo è un problema che sta già cominciando a porsi.

    Dopo tutto questo ragionamento, uno si può anche scoraggiare. Esistono delle tecnologie energetiche che soddisfano questi tre principi draconiani? La risposta è si; esistono e sono anche quelle più comuni e più diffuse. Eolico, fotovoltaico e idroelettrico, sono tutte tecnologie che producono energia in abbondanza e con EROI che vanno dall’accettabile (fotovoltaico, EROEI intorno a 8-10) al buono (eolico a torre, EROEI intorno a 20-30) all’eccellente (idroelettrico a bacino, EROEI oltre 50). Anche il geotermico, dove possibile, ha buoni valori dell’EROEI. Tutte queste tecnologie sono sostenibili in quanto non usano materiali inquinanti o rari, occupano una piccola frazione di suolo e non fanno danni all’atmosfera o ai sistemi planetari. Quindi, abbiamo effettivamente buone possibilità di risolvere il “problema energetico” posto che a) ci decidiamo a investirci sopra e b) non ci perdiamo dietro alle follie e alle fesserie.
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    Nota aggiunta posteriormente: nei commenti a questo post sono stati sollevati i problemi dell’intermittenza delle fonti rinnovabili e la loro scalabilità che non erano stati menzionati esplicitamente per brevita. Entrambi i punti, tuttavia, sono assimilabili ai tre principi. Ovvero, la scalabilità, ovvero la possibilità di espandere la produzione fino a coprire gran parte delle necessità energetiche mondiali, fa parte di quello che ho chiamato “produttività”. Delle tecnologie che ho citato, eolico è fotovoltaico sono scalabili a questi livelli e anche superiori. Questo sarebbe più difficile da ottenere con il geotermico e l’idroelettrico, ma anche qui ci sono ampi margini. Per quanto riguarda il problema dell’intermittenza, si può considerare anche quella in termini di EROEI. Per un impianto “stand-alone” lo dimezza circa. Se l’impianto è inserito in una rete intelligente, tuttavia, l’EROEI non varia in modo significativo.

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