Giustizia: Maninchedda e Uras vedono tutto, salvo il malaffare

19 Febbraio 2018
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Andrea Pubusa

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Si è aperto su L’Unione Sarda un dibattito interessante su giustizia e politica. L’elemento curioso è che i primi due interventi di Paolo Maninchedda e del senatore (ancora per poco, sembra) Luciano Uras, si elidono nella parte sulla giustizia, divergono quanto al bersaglio e poi coincidono nelle omissioni.
Sulla giustizia, come già ho scritto, Paolo sembra ossessionato dalla procure. Immaginatevi se lo è lui, che è persona per bene e scrupolasa, come saranno gli altri, che sono spesso disattenti in entrata (si parla di pecunia), scrupolosi in uscita e di scarso rigore etico! Paolo se la prende con le procure e cita una serie di casi clamorosi più che di mala giustizia di male procure o meglio procuratori, posto che i processi si son conclusi con assoluzioni.
Nulla di nuovo sotto il sole, le inchieste a teorema rientrano nello stile di molti magistrati. E’ una modalità come le altre, solo chè è nefasta. Esiste da quando esiste il mondo. Prima gli inquirenti si fanno un’idea di come sono andate le cose, chi è il malandrino e chi sono i complici, e poi scartano  tutto ciò che inficia la loro tesi e prendono e forzano quanto a loro pare che le comnprovi. Ho ricordato a Paolo un fatto eclatante realmente accaduto. Ora gliene racconto un altro. Tanto tempo fa, sempre agli inizi degli anni.70, un PM tenne in carcere due valenti avvocati la cui unica responsabilità era quella di darsi del tu con alcuni anarchici, arrestati col sospetto d’essere sovversivi. Ma siccome il gruppetto era male in arnese, il PM pensò che alla testa ci dovesse essere un “grande vecchio”, una mente scaltra e diabolica, capace di mimetizzarsi nella società civile. Due insospattebil, insommai. E siccome chi vive al Palazzo di giustizia non vede al di fuori di esso. Chi potevano essere i capi? Naturalmente avvocati! E siccome, di solito, i legali si fanno dare del lei dai clienti e talora li intimoriscono e li mettono in mutante senza misericordia, che insuperabile indizio era quel “tu” nell’interlocuzione e la difesa gratuita, segni evidenti di comunanza di idee politiche e di azioni. Poi gli anarchici, per ringraziare della difesa gratuita, avevano fatto lavoretti nello studio dei due generosi professionisti, tipo mettere tende o altro. Che indizio! Anzi che prova! Morale della favola, ordine di cattura, uno o due anni a Buoncammino, fino all’assoluzione! Tralascio il proseguo…
Questo dovrebbe insegnare a Paolo, che è un politico fine e colto, che non si fa di tutta l’erba un fascio. La Magistratura si difende per principio come ordine, perché la Costituzione ne fa il presidio dei nostri diritti e delle nostre libertà. Bisogna preservarne l’indipendenza, perché la dipendenza è il più grave dei mali. Ma non si difendono per principio i singoli magistrati, le procedure vanno sempre seguite e lette puntigliosamente, con molto rigore critico, senza sconti per nessuno, anche per i magistrati generalmente prudenti e giusti (che, per fortuna, sono la grande maggioranza!).
Luciano, che di Paolo è meno fine e colto, invece è più propenso ad una difesa in blocco dei magistrati: anche quando sbagliano, sono in buona fede, dice. D’accordo, ma essere in buona fede non vuol dire fare le istruttorie bene. Certo, fra quelli che fanno danni, ci sono talora persone di tenue eticità professionale, di scarsa applicazione e impegno, ma i magistrati adusi al teorema sono tanto più pericolosi e disastrosi quanto più sono in buona fede! Spesso sono zelantissimi, e quanto più lo sono tanto più danni fanno, perché è il metodo d’indagine, il teorema a condurre a risultati disastrosi. E’ il pre-giudizio, obiettivamente e di per sè, a far male, la verità ex ante, conosciuta prima di fare completamente le indagini reca in sè l’errore, a prescindere dall’elemento piscologico dell’inquirente, che,  generalmente (ha ragione Uras) è in buona fede.  Ma il risultato è devastante, non incidendo in esso minimamente o poco la buona o mala fede.
Luciano si scaglia invece sui media. Anche qui niente di nuovo sotto il sole. Come ci sono magistrati che non cercano e  controllano scrupolosamente le prove, così ci sono giornalisti che non verificanio le fonti. Anche qui gli esempi si sprecano. Una volta un giornalista montò un grave scandalo di corruzione nei cimiteri e alle mie contestazioni rispose: così mi ha detto il P.M. Così i vizi dell’inquirente e dell’istruttoria si scaricano sui giornali e diventano verità per i poveri malcapitati, messi alla gogna fino a che la Corte non li assolva.
Ecco qui è percepibilee una differenza di costume rispetto al passato. Quando ero giovane avvocato, la stampa era tutta o quasi garantista e faceva le pulci alle procure. Prima di scrivere sentiva tutte le campane, poneva quesiti e se l’indagine non era convincente, faceva campagne critiche, anche molto dure. Ricordo tante vicende giudiaizarie degli anni ‘70, in cui i vari Giorgio Melis, Giacomo Mameli,… facevano da contraltare alla Procura e l’opinione pubblica si schierava dalla parte delle vittime di inchieste scellerate o disinvolte.
Tuttavia anche a Luciano chiedo: non è che questo calo di rigore dei giornalisti (salve sempre alcune belle eccezioni) non sia l’altra faccia della medaglia del degrado della politica? Pessimi politici, indulgenti alle opacità, alla prevaricazione e al malaffare, piccolo e grande, hanno necessità di piccoli giornalisti. E - come spesso accade - la serpe, che hanno allevato nel loro seno, si rivolta contro loro stessi. La mancanza di critica politica, di continuo controllo delle minoranze dà via libera a complicità, a innaturali sinergie affaristiche fra gruppi apparentemente schierati su versanti opposti.
In definitiva, se Paolo vede uno spiccho delle criticità in materia di giustizia, Luciano coglie un’altra parte della questione; nessuno dei due  fa un esame a tutto tondo, perché, guardando a 360 gradi dovrebbero considerare anche il fattore fondamentale di questo fenomeno, il malaffare politico, o, anche al di là del codice penale, il venir meno dell’etica pubblica. Esercitare le cariche pubbliche “con onore e disciplina“, come dice l’art. 54 della Costituzione. Questa è la soluzione di gran parte dei mali, perché indurrebbe al rigore anche gli altri protagonisti: i magistrati inquirenti e i giornalisti. Ma su questo Paolo e Luciano non vedono, non sentono, non parlano. Chissà perché? Sembrano prigionieri di una ferrea autoreferenzialita’ della politica.

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