Giuratoman
Dal nostro inviato al Festival di Sanremo
Sto uscendo di casa, un po’ in fretta, quando squilla il telefono fisso.
-Sì?
-Buonasera. Sono della Ipsos: accetta di rispondere ad un’intervista di 2 minuti?
- Sono in ritardo. Si tratta di 2 minuti 2?
- Sì, 2 minuti.
- Va bene.
La domanda decisiva è la 5a: “Lei è stata sorteggiata per fare il giurato al festival di Sanremo: accetta?” E’ la prima volta nella storia del festival che i giurati sono all’interno del mitico Teatro Ariston. Non vi si decideranno le sorti della nostra galassia, però la curiosità è forte: poter vedere dal vivo un fenomeno di costume importante della nostra società, uno dei biglietti da visita, nel bene e nel male, della cultura italiana presso l’orbe terracqueo. Fu così che, manzonianamente, lo sventurato rispose. “Va bene, accetto”. E mi sono ritrovato con altri 29 concittadini (più la guida) all’alba di ieri all’aeroporto. Un faticoso transfer via Roma, l’albergo a Genova, una rapida doccia defatigante e via in pullman per Sanremo (km 140). Eravamo stati avvertiti che al casello di ingresso in autostrada saremmo stati presi in consegna dalla polizia, che ci avrebbe scortato fin dentro l’Ariston, perché non dovevamo parlare con nessuno, per evitare possibili influenze sul voto. Però, quando abbiamo visto che la polizia interessata era quella penitenziaria, anche i più integerrimi fra noi hanno sentito un brivido lungo la schiena, qualcuno ha buttato la mano sul cellulare (il telefono, non il mezzo dei poliziotti) per controllare di avere in rubrica il numero di un avvocato, anche se non quello di fiducia. Poi però le cose sono andate bene ed i poliziotti hanno fatto solo la scorta. E abbiamo apprezzato la loro presenza, abbiamo capito che era giusto così, perché il Paese può tollerare che un individuo che si è fatto corrompere venga condannato a 4 anni e sei mesi, mentre chi è accusato di essere stato il suo corruttore utilizzi il lodo Alfano per non essere processato; ma sul festival di Sanremo non si scherza, è una cosa seria! Il resto del Paese può anche essere seriamente malato, ma a Sanremo non mi bastano neanche le migliori cure, voglio la prevenzione! Lì abbiamo capito il nostro ruolo pilota, l’ingresso nella storia dalla porta principale: abbiamo partecipato alla prefigurazione di un modello di legalità che presto, lo intuiamo, si diffonderà allo Zecchino d’oro e da lì al Festival di Venezia per poi spandersi inesorabilmente su tutta l’Italia. Abbiamo raggiunto la riviera dei fiori percorrendo un’autostrada che in certi punti superava i centri abitati mediante viadotti posti proprio sopra di essi, con i piloni che si facevano spazio a fatica fra le case, a breve distanza dal mare e fregandosene della loro eventuale vocazione turistica. Superata la periferia abbastanza degradata di Sanremo (e i fiori?), siamo finalmente arrivati alla nostra meta e siamo entrati nel tempio della musica italiana: dal vivo è più un tempietto, perché le dimensioni sono molto inferiori rispetto a quanto sembravano in Tv. Ci vengono consegnati i telecomandi e ripetiamo più volte le prove di votazione; viene fuori Bonolis in T-shirt a caricarci ed invitarci a dare sfogo alla nostra voglia di divertirci (anche ballare e cantare). Poi giù nel sottopiano per un buffet freddo che somiglia più che altro ad una rissa per il pane fra sfollati di guerra. Per fortuna al caffè la fila è accettabile: me ne faccio uno doppio, io che non ne bevo mai, perché c’è da tenere gli occhi aperti fino a tardi e la stanchezza ha già cominciato a farsi sentire. Finalmente la risalita in sala, gli ultimi ritocchi alla preparazione e lo spettacolo ha inizio. La scenografia è sontuosa e ti senti avvolto dalle luci multicolori e dalla musica: è ben altra cosa che vederselo da casa e poi la voce immensa di Mina fa accapponare la pelle. Inizia la competizione, ci sono anche canzoni gradevoli alternate ad altre che non mi piacciono molto (e qualcuna per niente). E’ il turno di Benigni che, come altre volte alterna i suoi fuochi d’artificio (in particolare invita Berlusconi a copiare da Mina e diventare un mito andando lontano e rifiutando di farsi più vedere in giro) con parti serie d’impegno civile, questa volta sull’amore e sull’omosessualità. A tratti lo spettacolo fila meno liscio (il povero presidente dell’assemblea dell’ONU, messo dentro un po’ a forza, alcuni sketch del duo Bonolis-Laurenti poco spontanei, la coppia di belloni che sembra obbligatorio farli apparire decerebrati ed anche la polemica sull’omosessualità). Complessivamente, comunque, lo spettacolo regge; basta tenere presente che si è a Sanremo e non ai Grammy Awards. Le nuove proposte, ascoltate intorno all’una, in fase precomatosa, mi sembrano complessivamente di livello medio superiore rispetto alle performances dei big. Alla fine, mi sembra che lo spettacolo sia stato come mi aspettavo (“sono solo canzonette” direbbe Edoardo Bennato). Alle 2 mi avvio al guardaroba dando un’occhiata di superiorità ai vigili del fuoco che salgono sul palco per farsi fare, a turno e tutti insieme le foto con la bellona: vuoi mettere con l’importanza di fare il giurato? E vado stoicamente incontro alla mezz’ora di fila per riavere il cappotto e all’ora e quaranta di viaggio per Genova. Alle 4,15 guadagno finalmente il letto: mi ci butto e prima di arrivarci a contatto ho già raggiunto il sonno dei giusti.
3 commenti
1 giuratawoman
20 Febbraio 2009 - 19:31
Complimenti per il reportage fedele e salace!!! Io aggiungerei che era martedì e che, come il carnevale in tempi difficili, Sanremo ci è servito ad annegare il dolore per il naufragio elettorale e del nostro maggior partito di sinistra (?); con anche una piccola soddisfazione: esser riusciti ad eliminare, almeno dal Festival, una parlamentare europea del PdL col suo brano trash, che Benigni ha irresistibilmente messo alla berlina!
2 giuratawoman 2 (the second)
25 Febbraio 2009 - 20:35
aggiungo ai complimenti per il reportage un caro saluto all’ideatore e un commento sul pre e post festival:
“son contenta di essere stata scelta, proprio io e non un altro, farò parte del grande avvenimento che da 59 anni si svolge ogni anno e che finora mi ha coinvilta solo visivamente. Attendo ansiosa l’evento, anche se non lo do a vedere. Una volta dentro, mi butto, canto, ballo, mi agito…, insomma faccio la mia parte…e, che dire dei miei compagni d’avventura?!?! Anche loro, come me mostrano i segni dell’ansia pre festival e…come? chi dalla scelta del colore della cravatta di un bel celeste , tipo fiocco seconda elementare; chi scende in campo con un completino tutto panna, compresi accessori e presumibilmente intimo. Per non parlare poi del disinvolto riporto di indescrivibile fattura di un giurato barese che faceva invidia al più ben noto parrucchino di polvere di pelo del nostro caro silvio. Anch’io con la mia mise severa ho voluto sdrammatizzare l’ansia con una visibilissima spilla di vero oro, la più bella che possiedo! E con queste persone per un intero giorno mi sono ritrovata a discutere di canzoni e di qualità vocali o meno dei cantanti e sulla vetustà di alcuni. Come sempre però il festival è vinto da chi ci è piaciuto di meno… come succede in politica! E poiché, in fondo, siamo abituati, anche la scelta dei vincitori è accettata perché sappiamo che al mattino ci sveglieremo cantando masini o alexia o povia o , chissà, anche albano che avevamo reputato troppo vecchio per la manifestazione… Ringrazio i miei compagni di avventura per avermi fatto arrivare alla conclusione che la storia siamo anche noi e non solo chi viene proposto e imposto e mal digerito!!!!”
3 giuratoboy
28 Febbraio 2009 - 22:03
bravo! È la terza volta che sento il tuo racconto, l’ho anche letto ad alta voce ad un pubblico famelico, ma ogni volta è sempre poesia…
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