Riprendere la lotta in vista delle elezioni di primavera

19 Febbraio 2009
4 Commenti


Francesco Cocco

Proseguiamo il dibattito sul risultato elettorale e la prospettiva politica con un intervento di Francesco Cocco.

Già comincia a fiorire la leggenda metropolitana di una sconfitta della sinistra organizzata dagli oligarchi del P.D. Possono esservi stati singoli atti, ma non certo tali da giustificare le dimensioni della debacle. Diffondere simili notizie/leggenda è un modo per rifiutare l’analisi. La conseguenza sarà che non si ricercheranno a fondo le cause di quel che è successo, ed il berlusconismo continuerà a plasmare in negativo la nostra società per molti lustri.
Non si è voluto capire che anche questa campagna elettorale veniva condotta a sinistra secondo schemi berlusconiani, che poi sono la personalizzazione, il rifiuto della decisione collettiva, il comando individuale. Si è erroneamente pensato che tutto fosse riducibile ad uno scontro tra “campioni” (come nei tornei medievali), trascurando una realtà molto più variegata, che trova la sua sintesi nella volontà della gente di essere partecipe, di contare, e non semplice supporter di un “campione”.
Mancano solo pochi mesi alla tornata elettorale di primavera. Margini di tempo esigui però sufficienti per dare almeno qualche tangibile segno di un’inversione di rotta, di un’ azione politica non solo mediatica, più legata a modelli di vera e sostanziale partecipazione democratica. Se di questo la sinistra sarà capace non mancheranno i risultati positivi anche sul piano elettorale. Un primo segno in tale direzione potrebbero essere le avvenute dimissioni di Veltroni. Questo non perché la sua conduzione del PD sia stata ispirata a modelli di rigido decisionismo, quanto perché la sostanziale debolezza, derivante dalla natura stessa della nascita di quel partito, ha finito per favorire situazioni di potere personale a livello periferico.
Anche di qui la necessità di prendere il più presto possibile consapevolezza delle conseguenze nefaste di un modello di lotta politica non più ispirato ad una dignitosa militanza, ma piuttosto alla accettazione di un ruolo di passiva obbedienza ad un leader. Il movimento dei lavoratori ha conosciuto la figura del “capo”, che nasceva abitualmente da processi di rigida selezione, e quando non era il risultato di processi di degenerazione politica ed istituzionale (lo stalinismo nelle sue diverse forme) si fondava su sperimentate capacità e sulla fedeltà alle idealità. Era oltretutto un ruolo che imponeva di dare permanente dimostrazione di abnegazione e coerenza con gli interessi del movimento.
Oggi una tale formula organizzativa appare del tutto al di fuori dell’attuale contesto storico. Oltretutto significherebbe ignorare certi suoi aspetti degenerativi. Infatti ha funzionato finché nei partiti del movimento dei lavoratori hanno operato dirigenze formatesi nella dura lotta al fascismo. Poi, a partire dalla fine degli anni Settanta, è servita a creare la blindatura dei gruppi dirigenti, che se ne sono spesso serviti per la propria conservazione.
Se questa formula organizzativa viene qui richiamata è solo per evidenziare l’involuzione rappresentata dagli odierni sistemi dell’auto-proclamazione e dell’auto-candidatura, che poi impongono di elevare a virtù persino i limiti del candidato (ad esempio l’esaltazione della testardaggine anziché della tenacia, insomma dei difetti anziché delle virtù). Tutto questo finisce per frastornare i potenziali militanti ed alla fine gli elettori.
A sinistra, per risalire la china, non abbiamo certo bisogno di “partititi azienda” o di “partiti personali”, ma di democrazia partecipata. La necessità non nasce soltanto dall’ involuzione autoritaria nella gestione della nostra autonomia e dai modelli di cesarismo ai quali sempre più frequentemente sembra ispirarsi il berlusconismo. Nasce piuttosto dalle difficoltà della situazione economica di cui stiamo cominciando ad avvertire le drammatiche conseguenze.
La grave crisi economica che comincia a palesarsi nei suoi effetti devastanti, può essere portatrice di grave involuzione democratica. La deriva populista è dietro l’angolo. Ecco perché occorre ritrovare al più presto una dimensione del far politica fondata su una reale partecipazione della gente. Quindi non più adesione passiva e non più affidamento ad un qualche “capo” più o meno improvvisato.
Bisogna riscoprire la dignità della militanza. Essa implica la possibilità di partecipare alle scelte e non già l’accettazione di programmi e metodi imposti. Questa è la prima condizione per evitare il degrado della lotta politica. Il leaderismo ha come sua conseguenza l’impoverimento della vita politica, delle relative strutture organizzative e della capacità di opporsi ai complessivi processi di sfaldamento.
Il cammino che ci attende non è percorribile con metodi e programmi del passato. Bisogna cimentarsi nella sperimentazione di nuovi percorsi, tenendo ben presente che vi è un patrimonio d’ idealità e di valori ai quali ancorarsi. Senza di essi si diventa facile preda degli avventurismi. Di qui la necessità di resistere alla tentazione che vi siano strade agevoli e che la salvezza possa venire da un qualche “capo esterno” ad un sistema di valori nati dalla lotta di chi ci ha preceduti. Ecco perché è necessario riprendere la ricerca e l’analisi collettiva per ripristinare la consuetudine di un’azione e di una lotta politica collettiva.

4 commenti

  • 1 Quesada
    19 Febbraio 2009 - 10:13

    Belle parole!
    Per prima cosa il PD dovrebbe imparare a non tenersi la merda in casa per anni e anni. E poi, arrivato il momento delle elezioni, spacciarci quella robaccia per cioccolata!

  • 2 Benedetto Ballero
    19 Febbraio 2009 - 11:44

    Analisi in gran parte condivisibile. Non bisogna dimenticare però che la degenerazione leaderistica nei partiti di Berlusconiana derivazione è oggi avallata da scelte istituzionali, derivate dai referendum di Segni dei primi anni 90 che hanno creato stabilità, senza però garantire partecipazione e democrazia e senza contrappesi.
    Il centro sinistra ha avallato le scelte dell’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regioni e di Province, azzerando il ruolo delle assemblee elettive, un tempo fucina di formazione di classi dirigenti preparate, senza saper costruire i contrappesi adeguati.
    Occorre ripartire da ruoli autorevoli e non dipendenti dal capo di tutte le Assemblee elettive, i soli organi capaci di garantire scelte progressiste.
    La mancanza di contrappesi ha inquinato anche il sistema costituzionale (sono divenute inattuali ora le maggioranze qualificate previste per l’elezione di Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, CSM, per la modifica della Costituzione etc) che si è poi anche cercato, fortunatamente senza successo, di “ratificare” prima con la Bicamerale, e poi con la proposta Berlusconianana bocciata dal referendm.
    Occorre un reale e profondo rinnovamento nella cultura istituzionale, a cominciare da quella del centro sinistra.
    La mancanza di questa cultura è ciò che ha affondato elettoralmente Soru, e con lui Veltroni colpevole non solo di aver asservito in modo mai visto il PD in Sardegna a Soru, ma ancor prima di aver snaturato il sistema di alleanze per le politiche “costruendo” un inesisternte Di Pietro, affossando i socialisti (i soli nel PSE) e rompendo con tutta la sinistra.
    Il dissolvimento del centro sinistra in Sardegna (ma ha ancora senso oggi parlare di centro sinistra ?) non può essere superato se non ripartendo dalla costruzione di una nuova aggregazione autonomista, riformista e progressista che superari tutte quelle oggi esistenti, PD compreso, con un rinnovamento reale che sappia coinvolgere tutte quelle culture, rafforzando il ruolo di giovani e donne.
    E’ certo che non si può partire dai vecchi leader sconfitti. Occorre imparare dalla democrazie di tutto il mondo. Non vi sono persone buone per tutte le stagioni.

  • 3 Sergio Ravaioli
    19 Febbraio 2009 - 14:47

    Anche io, come Ballero, sono profondamente indignato per il trattamento che il PD romano ha riservato al PD sardo, e contento di non avervi mai aderito pur condividendo, in linea di massima, il suo progetto politico, ma sono rimasto bloccato dalla governance che di fatto si è costituita in Sardegna, a cominciare dal peso che in ogni caso vi aveva il governatore ed il suo seguito.
    Oltre che con la diagnosi, concordo con Ballero anche nella terapia proposta:
    UNA NUOVA AGGREGAZIONE AUTONOMISTA, RIFORMISTA E PROGRESSISTA CHE SUPERI TUTTE QUELLE OGGI ESISTENTI.
    Personalmente non sono più disponibile a spendere energie per rifondare il testé abortito PD, né per partecipare agli infiniti dibattiti, convegni e seminari che si annunciano sul tema RICOMPOSIZIONE DELLA SINISTRA.
    Diciamo che non sono disponibile, perché li ritengo perdite di tempo, a progetti salvifici che si pongano obiettivi universalistici da attuare nell’arco del prossimo cinquantennio, i quali in pratica si riducono a garantire una poltrona a qualcuno più furbo degli altri.
    Dopo cinque anni in cui mi è stato presentato come di sinistra il signor Renato Soru ed il suo modo di governare, mi infastidisce anche sentir parlare di destra e sinistra. E mi irrita chi, come dice Quesada, pretende di spacciare merda per cioccolato, in base alla tesi (anzi: assioma) per cui dall’altra parte è peggio!
    Il valore che mi sembra ancora attuale e politicamente spendibile è quello dell’ Autonomia, con gli indispensabili corollari di riformismo e progressismo, che giustamente Ballero non dimentica (altrimenti saremmo la Lega).

  • 4 Sergio Ravaioli
    19 Febbraio 2009 - 17:32

    Segnalo che una molto interessante - e assonante - riflessione su questi temi da parte di Paolo Maninchedda, ed un altrettanto interessante dibattito, sono presenti in questa pagina Web:
    http://www.sardegnaeliberta.it/?p=1454#more-1454

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