Andrea Pubusa
Poche chiacchiere! I partiti indipendentisti catalani hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi alle elezioni locali che si sono tenute oggi, anche se non quella assoluta dei voti. Junts per Catalunya (JxCat, la lista dell’ex presidente Carles Puigdemont, indipendentista), Esquerra Republicana (ERC, sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, attualmente in carcere) e la CUP (sinistra radicale indipendentista) hanno ottenuto in totale 70 seggi, due in più di quelli necessari per assicurarsi la maggioranza in Parlamento; in termini di voti assoluti, però, il blocco indipendentista si è fermato a poco meno del 48 per cento, un risultato vicino a quello ottenuto alle ultime elezioni, tenute nel 2015.
Alla luce dei risultati, in fondo, non ha tutti i torti Rajoy quando dice: «Nessuno può parlare a nome della Catalogna se non contempla tutta la Catalogna. Ciò che è evidente dopo il voto è che la Catalogna non è monolitica ma è plurale».
Tutto vero, ma questo vuol dire che non è con l’arroganza che il premier spagnolo può affrontare la situazione. Discorso analogo vale per i separatisti. Se si vuole evitare il disastro bisogna dialogare. E il dialogo, per essere vero, richiede disponiblità all’ascolto e al compromesso. e questo vale anche per Puigdemont e gli altri separatisti.
Intanto c’è un’anomalia da cancellare subito, se si vuole alleggerire la situazione. Sono incriminati 17 deputati su 135. Il 12,6% dei membri del nuovo parlamento catalano (17 deputati su 135) è incriminato dalla giustizia spagnola, tre neo-onorevoli sono in carcere e tre in esilio in seguiti da mandato di arresto. Tutti sono accusati di “ribellione” per la dichiarazione d’indipendenza e rischiano 30 anni di carcere. Il più autorevole candidato alla presidenza catalana, Carles Puigdemont, è “in esilio” in Belgio, il probabile vicepresidente Oriol Junquerqas è in carcere a Madrid.
E’ una situazione surreale in un paese europeo.
Ricondurre la situazione sul piano politico, accantonando la via giudiziaria, è il primo ineludibile passo da fare. Poi bisogna stabilire se si può credibilmente fare l’indipendenza con due seggi di scarto e senza la maggioranza assoluta dei voti in Catalogna e in larga minoranza nel Paese. Dall’altra parte, occorre tener conto del risultato elettorale che legittima le forze indipendentiste al governo della regione.
In questa situazione di equilibrio e di stallo forse iscrivere la questione catalana in un orizzonte federalista, come sosteneva lo sfortunato Lluis Companys nel ‘34, sembra l’ipotesi più ragionevole. Insomma, il risultato elettorale ripropone tutte le questioni dell’ottobre scorso. Allora Puigdemont ha fatto l’avventurista e Rajoy il provocatore. C’è da sperare che non replichino. In fondo le elezioni qualcosa hanno detto. Non è tutto come prima per Madrid e per Barcellona.
2 commenti
1 Roberto Porrà
23 Dicembre 2017 - 12:42
Le elezioni di fatto sono state un referendum sull’indipendenza. Questa opzione non raggiunge neppure la metà più uno degli elettori, che sono gli unici a dover decidere su una questione così importante e grave. Già sarebbe “imprudente” basare una decisione così esiziale su una maggioranza risicata, figuriamoci in questa situazione!
2 Oggi sabato 23 dicembre 2017 | Aladin Pensiero
23 Dicembre 2017 - 18:03
[…] Per Madrid e Barcellona non è tutto come prima 23 Dicembre 2017 Andrea Pubusa su Democraziaoggi. […]
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