Ad un anno dal referendum riflessioni sul futuro del Comitato

24 Dicembre 2017
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Andrea Pubusa

Dalla storica vittoria referendaria del 4 dicembre 2016 è passato giusto un anno. Allora ero propenso a credere che fosse meglio cessare l’attività del Comitato. Raggiunto brillantemente il suo scopo, credevo fosse meglio che quella enorme energia si organizzasse in strutture più stabili e sperimentate. L’ANPI mi pareva l’associazione, per storia e finalitò, più adeguata al caso. In fondo l’Associazione dei partigiani era quella che con la ferma e autorevole guida di Carlo Smuraglia ci aveva coperto le spalle per un anno intero dagli attacchi vigliacchi e denigratori sopratutto di Renzi e della Boschi. Nell’entusiasmo della vittoria prevalse l’orientamento contrario. Perché disperdere l’enorme forza espressa dai comitati? Perché interrompere i tanti legami che, nel fuoco della campagna referendaria, si erano creati? Insomma, il “rompiamo le righe” sembrava una soluzione rinunciataria e irresponsabile.
E così abbiamo deciso di continuare. Eppure non sono scomparsi i pericoli che quella decisione recava in sé. Innanzitutto la fisiologica riduzione della mobilitazione in assenza della scadenza referendaria. Cessato l’allarme per l’attacco alla Costituzione, che tanti democratici aveva indotto a scendere in campo, era difficile mantenere vivo un impegno alto. Era prevedibile un calo di tensione e un lento ridimensionamento dei comitati. Inoltre, come sempre è accaduto in passato, c’è chi pensa di trasferire nell’agone elettorale la forza espressa nelle grandi mobilitazioni dei movimenti. E così, manco a dirlo,  subito Anna Falcone e Tomaso Montanari mettono su una sigla con la pretesa di divenire il soggetto federatore della sinistra in funzione elettorale. Altri non lo dicono così espressamente, ma lo pensano. Che senso ha l’idea di formare coordinamenti regionali di comitati con la pretesa di creare una gerarchia e una direzione? E’ la forma partitica che surrettiziamente si sostituisce ai comitati, che per loro natura sono collettivi fondati sulla condivisione più che sulla fedeltà o la disciplina, sul piacere di stare insieme per obiettivi comuni.
E queste iniziative non hanno mancato di dare i loro frutti avvelenati. Falcone e Montanaeri hanno dissolto il loro prezioso impegno nel Comitato nazionale indebolendolo e creando confusione, senza, peraltro, imporsi sul piano politico.
Anche in Sardegna la pretesa di un Comitato regionale, anziché rafforzare l’azione dei comitati locali, com’era fin troppo facile prevedere, l’ha frazionata e indebolita. L’enorme forza dei Comitati in tutto il 2016 è stata la loro spontaneità ed autonomia. Il coordinamento con Roma e in sede locale nasceva su singole iniziative partendo dallo scopo comune e generale di salvare la Carta. Nessuna sovrapposizione, confusione o concorrenza.   La pretesa di coordinamento ha invece già  prodotto l’improvvida idea di organizzare iniziative a Cagliari senza coinvolgere fin dall’ideazione il Comitato cittadino. Al piacere di sapere altri nuclei impegnati altrove con cui, all’occasione, fare liberamente cose insieme, si e’ sostituito il fastidio di avvertire una innaturale pretesa concorrenziale.
Non per sollevare inutili polemiche, ma al fine di salvaguardare l’azione dei Comitati, mi pare utile ribadire che la loro forza è connessa alla loro informalità e libertà, individuale e collettiva, d’azione. Quindi uno stile di lavoro aperto, accogliente, non settario, ma al tempo stesso rispettoso delle decisioni del collettivo. Millimetrica aderenza alle finalità, strettamente legate all’attuazione e allo sviluppo della Costituzione e dello Statuto sardo. Nessuna commistione con le forze e i processi in atto nella sinistra o in altri movimenti politici. Sia ben chiaro, ognuno è libero di sostenere e votare chi vuole, ci mancherebbe!, ma questa non è materia che interessa il Comitato. Molti già sono impegnati nelle varie formazioni della sinistra e lo fanno con correttezza. E’ necessario che lo facciamo tutti con altrettanta linearità, nella consapevolezza che il giorno in cui ci misurassimo su temi politico-elettorali il Comitato si sciogliebbe ipso facto. Nel Comitato, per la sua libertà e per le sue finalità, prevale l’ascolto, la dispomibilità ad accogliere le proposte e le opinioni altrui. In politica è diverso, diventa assorbente la linea e la competizione.
In questo anno abbiamo vissuto l’effetto negativo della mancanza di una scadenza e di un obiettivo preciso come è stato il referendum nel 2016. Eppure abbiamo fatto cose importanti. abbiamo mantenuto viva l’attenzione sulla legge elettorale nazionale e regionale e sui temi della democrazia in genere. A Cagliari poi abbiamo messo in piedi un Convegno sul Lavoro, frutto di mesi di impegno nella preparazione. Ed ora ci accingiamo a dare sviluppo a queste inziative per immettere nel dibattito pubblico sardo temi che altrimenti ne rimarrebbero fuori. Però, attenzione! Ora entriamo in un anno e mezzo di campagna elettorale fino alle regionali del 2019. Mantenere alto l’impegno nel Comitato non sarà facile. Distinguere le propensioni politico-elettorali di ciascuno dalla battaglia per le finalità generali del Comitato non sarà semplice. Ci vuole molta consapevolezza e saggezza. Però, dev’esser chiaro a tutti e a ciscuno che se il Comitato non ce la facesse ad uscire indenne da queste prove, per la democrazia sarebbe un impoverimento. Sarebbe un segno dell’incapacità dei democratici di stare uniti.
Nell’augurare a tutti buon Natale e buone feste, auspico che in noi prevalga l’intento positivo di continuare insieme la battaglia democratica. Non ne abbiamo bisogno noi, ne ha bisogno il Paese e la nostra isola.

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