Un sogno a portata di mano

19 Febbraio 2009
1 Commento


Massimo Marini

Proseguiamo il dibattito sul risultato elettorale e la prospettiva politica con un intervento di Massimo Marini.

In queste ore che seguono la tremenda batosta subita in modo personale da Renato Soru e politico dal centrosinistra tutto, si è assistito in giro per la rete ma non solo, ad un rimpallo di accuse in particolare tra due fazioni che da sinistra sono state divise da una sottile ma sostanziale linea di demarcazione: i critici di Soru ma, e i critici di Soru senza se e senza ma. Ovvero tra coloro i quali pur non riconoscendo in Soru il nuovo Obama di Sanluri, gli hanno riconosciuto una sostanziale positività se non altro nella prospettiva politica portata avanti negli ultimi cinque anni e riproposta in questa campagna elettorale, e coloro i quali invece non hanno sopportato l’oggettiva a-democraticità del suo operato, oltreché naturalmente alcune criticità sostanziali nelle sue scelte di Governo. Tutto questo per un tot di ore, finché improvvisamente è arrivata la notizia delle dimissioni del Segretario del PD Walter Veltroni. A quel punto queste due fazioni sinistrose (e sinistrate in una certa misura) hanno smesso di lanciarsi le torte in faccia e tra l’incredulo e lo stupito hanno cominciato a guardarsi negli occhi, sgranandoli sempre più e accompagnando allo stupore un sorrisetto di speranza che come un raggio di sole ha portato un po’ di tepore in questo freddo pomeriggio di metà febbraio. La sensazione è stata istantanea, quasi empatica, per tutti: ci si è ritrovati improvvisamente davanti al classico “due piccioni con una fava” che con una spruzzata di “non tutti i mali vengono per nuocere” ha fatto sobbalzare il cuore di chi ora vede chiaramente la possibilità di prendere in contropiede quella temuta opera di restaurazione che probabilmente i vecchi cardinali del centrosinistra isolano stanno già preparando. L’occasione è unica, specie in vista di un Congresso che ora non sarà più solo regionale ma dovrà necessariamente riguardare a breve tutta l’organizzazione politica del Partito Democratico su scala nazionale. L’occasione per elaborare e proporre una visione veramente laica, moderna e riformista per il centrosinistra sardo e italiano, l’occasione di serrare le fila e trovare i numeri che ora possono veramente essere a portata di mano in quanto si ha la possibilità finalmente di attrarre ed intrigare una notevole fetta di elettorato di centrosinistra disgustato dall’imbarazzante incedere del PD in questi ultimo anno, proponendo la definitiva defenestrazione dell’attuale classe dirigente del Partito per manifesta incapacità nella gestione dell’eredità di Berlinguer e di Gramsci, di De Gasperi e di Aldo Moro. Si ha la possibilità unica di proporre in modo inequivocabile il ricambio dal basso, in modo esplicito e anche verbalmente forte. Si ha la possibilità di definire un manifesto chiaro e netto che riparta dal lavoro, dall’economia e dal potere d’acquisto, ma che ponga come condizione di nuovo sviluppo, il vincolo di sostenibilità e la necessità dell’istruzione e della ricerca; un manifesto capace di prendere posizioni nette sulle libertà personali di ogni tipo, compresa l’autodeterminazione dell’individuo; un manifesto che determini senza mezze misure ed eccezioni di sorta i paletti morali ed etici dell’agire di un Partito che si pone come alternativa alla destra affarista, piduista e anticostituzionale rappresentata oggi dal Pdl. Insomma una occasione probabilmente irripetibile di riappropriazione di un sogno di partito progressista moderno e laico, giovane (non solo di anagrafe) e di Governo, post-ideologico ma ricco di idealità e prospettiva, come deve essere il Partito Democratico. Un sogno che ci è stato scippato dai grigi ed ottusi leader ex-DL ed ex-DS, ma che ora è di nuovo qui, a portata di mano.

1 commento

  • 1 Antonello Murgia
    20 Febbraio 2009 - 01:12

    Caro sig. Marini,
    non riesco a ritrovarmi nella sua analisi delle 2 fazioni contrapposte di centro-sinistra che si lanciano le torte in faccia, per cominciare a sorridere una volta che oltre Soru è caduto anche Veltroni, né riesco a vedere come la caduta di quest’ultimo possa riuscire a frenare la risalita dei vecchi oligarchi. Potrei sbagliarmi, ma credo che commetta l’errore di subire quella personalizzazione della politica che tanti guasti ha prodotto negli ultimi tempi.
    Sono stato critico di Soru, come di Veltroni (e prima ancora dei vecchi oligarchi), ma sono convinto che né l’uno, né l’altro rappresentino il problema: essi sono solamente la conseguenza e l’epifenomeno del problema. Che è l’assenza dei partiti politici, ormai ridotti a comitati elettorali, così come accade da molto tempo negli USA. Il loro ruolo di analizzatori della realtà e di portatori di idealità e di interessi diffusi nella nostra società è venuto a mancare. I nostri leaders, a livello sia nazionale che locale, hanno certo la responsabilità di aver favorito questa che non riesco a definire come altro che una deriva autoritaria, perché li proteggeva da eventuali critiche e consentiva loro di decidere senza troppi lacci e lacciuoli. Commettendo il grave errore di considerare come lacci e lacciuoli uno dei requisiti più importanti della democrazia, e cioè la partecipazione. Quella partecipazione che era stata la carta vincente delle scorse elezioni, il cui slogan era “Sardegna insieme”: io fui fra le tante persone coinvolte e, con entusiasmo, lavorai per un mese alla parte sanitaria del programma. Le confesso che per la prima volta da quando voto ho avuto la sensazione, prima dello scrutinio, che questa volta avrei perso comunque, anche se avesse vinto il nostro candidato e la nostra coalizione. Perché oggi di quella parolina, insieme, non mi sembra sia rimasta traccia (pensiamo alla formazione delle liste e del programma). Mi sento pochi motivi per sorridere; ritengo che la soluzione del problema stia nel riavere partiti forti perché radicati nella società; e radicati nella società perché espressione di idealità ed interessi diffusi. Ma forse sono fuori dal mondo, perché per fare questo occorre rimotivare i cittadini alla partecipazione e la cosa appare molto in salita dopo le delusioni e la sfiducia di quest’ultimo periodo. Tutti noi, chi più, chi meno, credo abbiamo la nostra parte di colpa, i leaders, i loro consiglieri (spesso prezzolati o comunque interessati in modo molto materiale), noi cittadini che non siamo riusciti neppure a parlarci ed abbiamo preferito, per lo più, schierarci come tifoserie organizzate. Le dirò che non coltivo neppure le speranze che Lei ha nel PD, partito nato a tavolino da 2 componenti che nessuno ha mai tentato di amalgamare e che mantengono divisioni profonde che non si riscontrano nemmeno fra partiti diversi (almeno fra quelli della stessa coalizione): veda per esempio la vicenda del testamento biologico. Mi sembra che sarebbe molto più onesta e produttiva una ri-divisione che libererebbe molte energie ora paralizzate da veti incrociati, che rendono in questo momento perfino impossibile individuare una linea politica del partito.

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