Scuola-Lavoro, dovere scolastico o sfruttamento obbligato?

21 Dicembre 2017
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Gianna Lai

 
 
Se oggi si stenta a distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo, a causa di una precarietà selvaggia che ben poco si distingue dalla disoccupazione vera e propria, nonostante i 12 miliardi di incentivi alle imprese garantiti dal Jobs Act, allora bisogna impedire che anche il lavoro dell’Alternanza segua le stesse regole nella Scuola italiana. 
Che segua le regole dell’apprendistato a 15 anni, lavoro gratuito in officina, da far valere come obbligo scolastico. La  scuola può fare molto per il lavoro dei giovani, intanto, già da ora, intercettando quello in nero degli adolescenti, piaga vergognosa del nostro Paese, attraverso, appunto,  il controllo dell’obbligo a 16 anni, ma da estendere subito fino a 18, come nel resto d’Europa. Da svolgere a scuola e non in officina, non nell’apprendistato a 15 anni, non potendo essere lavoratori, per legge, i giovani  prima dei 16. Sennò  potremmo anche pensare che di  incentivo per l’abbandono della scuola si tratti, di incentivo per il lavoro nero, per nuove forme di dispersione, il vero grande problema della scuola italiana. E sarda.
Bisogna fin da  subito cancellare questa vera deregulation del lavoro, il lavoro ‘liquido’, che si travasa così direttamente dall’impresa all’istruzione, per imporne  il riconoscimento in termini di apprendimento, non di demenziali debiti e crediti perché, ricordiamoci, se la  Ministra lo dimentica, siamo sempre a scuola e la scuola deve continuare a svolgere la sua funzione di trasmettitrice di saperi e conoscenze. Anche nell’Alternanza scuola-lavoro che, vergognosamente, esclude spesso i docenti da ogni forma di controllo sull’andamento dei percorsi, persino sul calendario delle uscite dalla classe. E deve imparare a conoscere e a farsi carico, la scuola e la stessa ministra, delle ore sottratte allo studio per partecipare all’Alternanza, e della reale condizione  di tanti studenti dei Tecnici e dei Professionali, che si mantengono agli studi già lavorando, cui vien sottratto il tempo del lavoro vero, retribuito, a causa di un lavoro non retribuito nell’Alternanza stessa. Basta leggere gli esiti dell’indagine svolta dalla Rete studenti medi e dalla CGIL, che ha coinvolto 4mila ragazzi.  Ammontano a migliaia le ore di lavoro gratuito, non retribuito, per 1milione e mezzo di giovani coinvolti, dalla classe Terza delle scuole medie superiori fino alla Quinta: a dirlo, scandalizzata, anche la stampa accreditata, che denuncia come spesso, le famiglie stesse, debbano pagare direttamente l’Alternanza degli studenti. McDonald’s, Zara, ENI, Call center e Oratori parrocchiali e Diocesi  e ora FICO, nel Parco agroalimentare di Bologna, per 21mila studenti 300mila ore di lavoro. A gratis, una enormità!
Il  riconoscimento del lavoro in termini di apprendimento e di vero reddito, come una sorta di reddito di cittadinanza, a partire dai 16 anni, sennò è addestramemnto alla precarietà, all’obbedienza, a prestazioni senza diritti. Non si intende forse in Europa, per reddito di cittadinanza, ormai quasi dapertutto riconosciuto, il corrispettivo da assegnare ad  un lavoro che, i disoccupati, cui si riconosca una retribuzione, sono tenuti comunque a  svolgere? Se è vera Alternanza scuola-lavoro, e non semplice sfruttamento e sottrazione di tempo allo studio, che si regoli l’esperienza attraverso una vera retribuzione. Sennò si potrebbe pensare che di vera pagliacciata si tratti, quando i giovani, in maniera precaria e indistinta, vengono distribuiti qui e là, senza alcun costrutto, a vendere panini, a spostare ombrelloni sulle spiagge, a spostare pacchi, a fare la pulizia di fine giornata nel negozio. In aziende cui, le rispettive Camere di Commercio di appartenenza, corrispondono persino voucher destinati esclusivamente allo sfruttamento degli studenti.
Questa Alternanza va sospesa,  va rivista, prima di tutto coinvolgendo le parti sociali e la scuola e i docenti, alla luce di ciò che  gli stessi studenti hanno detto durante le manifestazioni di protesta e gli scioperi di questi mesi. Perchè non sia così gravoso l’impegno, e perchè sia garantito vero apprendimento in ogni momento dell’attività, ponendo al centro il Consiglio di classe, e favorendo l’incontro con tutti i  lavoratori, onde impedire ogni forma di competizione tra poveri. E’ questo il senso da dare all’innovazione nella scuola, altrimenti si potrebbe pensare che, se lo Stato continua a tagliare i finanziamenti, meno scuola e sempre più povera la formazione e l’istruzione, si voglia anche tagliar fuori il Paese dai processi di innovazione, per destinarlo a garantire, nella divisione internazionale del lavoro, formazione giovanile pronta all’emigrazione in Paesi ad alta tecnologia e industria avanzata. A noi, la nazione più povera, il lavoro più povero, che continua oggi a  produrre tre morti al giorno, secondo i dati Istat, anche e sopratutto a causa del Jobs Act. Dopo la deindustrializzazione massiccia, che colpisce in particolare il Meridione d’Italia,  resta per noi solo terziario, turismo, ristorazione, quelle aziende già nelle mani delle imprese multinazionali? E in Sardegna, 709 imprese in meno, come dice la CNA, meno 3 per cento, nel terzo trimestre 2017? Se i giovani arrivano al punto di non dichiarare espressamente  i titoli di studio e il loro curriculum, mancando nelle imprese le mansioni di un certo livello, non è  forse perché si son sentiti dire  in tutti questi anni ‘ma come, con questo bel curriculum, perché non vai fuori, in Francia, in Germania, in Inghilterra?’ Si, in effetti, qui in Italia  non resta ai giovani, se non la speranza,  di essere quell’uno su tre che fa un lavoro coerente al suo titolo di studio!
Dentro la  Scuola, ancora fattore centrale di crescita e di emancipazione popolare, il vero cambiamento deve garantire istruzione di massa e riempire di nuovo le aule con l’obbligo a 18 anni, come già avviene in tutta Europa. E garantire il diritto allo studio, a scuola e all’Università. Non dicano che non ci sono i soldi se è emersa, nella recente denuncia di  Sinistra Italiana, in Parlamento, la mancata applicazione, per mancanza di decreti attuativi, della norma 2013 che obbliga a destinare, a borse di studio per universitari, il 3 per cento dei soldi tolti ai clan mafiosi: se ne sarebbero avuti benefici, fino a questo momento, per 28-30 milioni di euro! Non ci sono espedienti o scappatoie che tengano, è attraverso  l’istruzione e il lavoro che ‘le idee e il sapere si fondono e si traducono in sviluppo e benessere sociale’, come  sostengono i precari del CNR, contestando la politica della Fedeli. Ma ci vuole una presa di coscienza molto forte e movimenti popolari organizzati, perché il processo di innovazione in atto sia decisamente orientato, caratterizzato, in direzione di contesti di pace e di giustizia sociale. Anche dentro il patto tra generazioni, che va rinsaldato, attualmente così in pericolo, se i giovani divengono sempre più poveri e, a causa degli alti tassi di disoccupazione, esclusi dai benefici della redistribuzione, Rapporto Istat sulla redistribuzione del reddito in Italia nel 2016. Del resto lavorare gratis non è mai stata la cura giusta contro la disoccupazione.

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Articoli precedenti sulla scuola di Gianna Lai, ecco i link:

https://www.democraziaoggi.it/?p=5205
https://www.democraziaoggi.it/?p=5167
https://www.democraziaoggi.it/?p=5113
https://www.democraziaoggi.it/?p=5079

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