Antonio Sgobba da Il Tascabile 19.12.2017
Il filosofo che aveva previsto Trump
Vent’anni fa, Richard Rorty aveva predetto il voto a ”un uomo forte” e la condizione della sinistra di questo secolo.
“Qualcosa si spezzerà. Gli elettori meno benestanti decideranno che il sistema è fallito e prenderanno a guardarsi intorno alla ricerca di un uomo forte per il quale votare – qualcuno disposto ad assicurare loro che, una volta eletto, a guidare le danze non saranno più i burocrati compiaciuti, gli avvocati astuti, le associazioni di venditori superpagati e i professori postmoderni. A quel punto potrebbe aprirsi uno scenario come quello del romanzo di Sinclair Lewis Da noi non può succedere. Perché una volta che quest’uomo forte sarà salito al potere, nessuno può predire quello che accadrà.”La citazione è tratta da un saggio scritto nel 1998. È tornata a galla un anno fa, subito dopo l’elezione di Trump. L’autore è un filosofo, Richard Rorty, morto nel 2007, il libro è Achieving Our Country (uscito in italiano l’anno dopo con il titolo Una sinistra per il prossimo secolo: L’eredità dei movimenti progressisti americani del Novecento per la traduzione di Luca Bagetto). Non capita spesso che un saggio filosofico vecchio di due decenni diventi virale, vada in pochi giorni esaurito su Amazon e costringa la casa editrice a una nuova imprevista edizione (in italiano però rimane fuori catalogo). Per il libro di Rorty è andata così. “Il filosofo che aveva previsto Trump”, è stato definito. Alla pubblicazione del libro, fu proprio la profezia sull’avvento dell’uomo forte a essere criticata, tanto che la recensione del New York Times la definì una forma di “bullismo intellettuale”. Col tempo si è rivelata una previsione accurata.
Achieving Our Country è un libro sul pensiero di sinistra nell’America del Ventesimo secolo, ed è un libro molto critico con la sinistra americana del ventesimo secolo. In particolare quella della fine del secolo scorso per Rorty ha un problema: non parla mai di soldi. O, in altre parole, da un certo punto in poi ha smesso di preoccuparsi delle diseguaglianze economiche. Com’è potuto accadere? Semplificando l’analisi di Rorty: nei primi due terzi del Novecento, fino agli anni Sessanta, la sinistra si era concentrata proprio sulle ingiustizie economiche. Aveva lottato per i diritti dei lavoratori mettendo in secondo piano altre ingiustizie: sperava che tutti i “maltrattamenti del debole da parte del forte”, in particolare “la discriminazione razziale”, fossero soltanto un sottoprodotto dell’ingiustizia economica. Diminuite le ingiustizie economiche, sarebbero diminuite anche tutte le discriminazioni – razziali, di genere, di orientamento sessuale. Per usare le parole di Rorty: “la Sinistra sperava di eliminare il sadismo della società eliminando l’egoismo”. Questa fiducia si è poi rivelata “malaccorta”. A partire dagli anni Sessanta la Sinistra capisce che il determinismo economico non era sufficiente a spiegare tutto. “Ci si rese conto che il sadismo aveva radici più profonde dell’insicurezza economica”, scrive Rorty:
Il delizioso piacere tratto dall’essere cattivi creando una classe di inferiori putativi e quindi umiliando i membri individuali di quella classe venne finalmente visto come lo vedeva Freud – era qualcosa che sarebbe stato apprezzato anche se fossero stati tutti ricchi.
Freud quindi prende il posto di Marx come fonte teorica; e il bersaglio non è più l’egoismo ma il sadismo. Da questa mossa nasce la sinistra culturale degli anni Sessanta. Una sinistra che pensa più alle “motivazioni psicosessuali profonde e nascoste” che al denaro. La sinistra intellettuale comincia così a disinteressarsi dei sindacati e a occuparsi di politiche dell’identità, della differenza, del riconoscimento. Rorty riconosce i successi ottenuti da questa che chiama “sinistra culturale”: a partire dagli anni Sessanta è costantemente diminuito il “sadismo socialmente accettato”. Cioè: si discriminano meno facilmente donne, neri, ebrei, omosessuali. Siamo disposti ad accettare meno violenza rispetto al passato. È senza dubbio un risultato positivo: “L’adozione di atteggiamenti ‘politicamente corretti’, di cui la destra sorride beffardamente, ha reso la società americana molto più civilizzata di trent’anni fa”. E specifica, per “società civilizzata” si intende “una società nella quale gli individui non si umiliano l’un l’altro” (ed è una definizione presa da Avishai Margalit, La società decente). Certo, non è la società perfetta, ma il progresso si misura “da quanto siamo divenuti migliori rispetto al passato, piuttosto che dalla nostra crescente prossimità a una meta”. Rorty critica la sinistra culturale post Sessantotto, ma non si risveglia neoconservatore, anzi:
Aver incoraggiato gli studenti a essere ciò che i sarcastici neoconservatori chiamano “politicamente corretti” ha reso migliore il Paese. Gli accademici di sinistra devono esserne molto orgogliosi. I loro critici conservatori, che non hanno alcun rimedio da proporre né per il sadismo né per l’egoismo americani, hanno al contrario molto di cui vergognarsi.
Tuttavia c’è un lato oscuro in questa storia:
Nello stesso periodo durante il quale il sadismo socialmente accettato è costantemente diminuito, l’ineguaglianza economica e la mancanza di sicurezza economica sono costantemente cresciute. È come se la Sinistra americana non potesse occuparsi di più di un’iniziativa per volta.
La tesi di Rorty è quindi che la sinistra – in particolare la sinistra culturale della fine del Novecento – si sia preoccupata di estendere i diritti senza preoccuparsi troppo dell’estensione delle diseguaglianze. “Quando la destra proclama che il socialismo è fallito e il capitalismo è l’unica alternativa, la Sinistra culturale non ha molto da replicare. Perché preferisce non parlare di soldi”, scrive il filosofo. Attenzione: Rorty non sostiene che la sinistra avrebbe dovuto occuparsi delle questioni economiche a scapito delle questioni sociali. Per Rorty il problema è che la sinistra non è stata capace di fare le due cose insieme.
La conseguenza di questo errore è che su questa crescente disparità ha speculato la destra più scurrile e demagogica. Rorty scrive nel 1998, cita Patrick Buchanan, l’allora campione del populismo reazionario. Buchanan si era presentato alle primarie dei Repubblicani nel 1992 e il 1996, ma non era mai andato oltre. Vent’anni dopo ci ritroviamo con Trump. Il risultato di un processo che ha avuto inizio proprio negli anni in cui scrive Rorty: “Oggi l’America sta proletarizzando la sua borghesia e questo processo promette di culminare in una rivolta populista dal basso, del tipo di quella che Buchanan spera di fomentare”. Il culmine è arrivato nel 2016. Ma di scomparsa della classe media si parla dagli anni Novanta. Rorty ne individua le cause:
A meno che non accada qualcosa del tutto inaspettato, in America la mancanza di sicurezza continuerà ad aumentare. Anzi, è facile immaginare che la situazione peggiorerà di molto – e molto velocemente. Questo perché la mancanza di sicurezza è dovuta in gran parte alla globalizzazione del mercato del lavoro – una tendenza che secondo previsioni ragionevoli accelererà a tempo indeterminato.
Le previsioni erano corrette. E non erano valide solo per gli Stati Uniti. Come tutte le considerazioni di Rorty:
Ciò che l’industrializzazione era per l’America alla fine del XIX secolo lo è la globalizzazione alla fine del XX. Il problema […] – come evitare che la schiavitù salariale distrugga le speranze di eguaglianza – fu in parte risolto dalle iniziative di sinistra del 1910-1965. Ma un nuovo problema […] ha preso il suo posto, e le misure che potrebbero farvi fronte sono state a malapena abbozzate. Il problema consiste nel fatto che i livelli salariali e le indennità sociali di cui godono i lavoratori in Europa, Giappone e Nord America non mantengono più alcuna relazione con il mercato del lavoro globale e con la sua nuova fluidità.
Una situazione confermata da tutti i dati sull’andamento delle diseguaglianza negli ultimi venti anni. E che hanno generato una sola classe di vincitori:
La globalizzazione consiste in un’economia mondiale nella quale un tentativo condotto da un qualsiasi paese di evitare l’impoverimento dei suoi lavoratori può concludersi solo con la perdita del loro impiego. Questa economia mondiale sarà presto in mano a un alto ceto cosmopolita che non avrà alcun senso di comunanza nei confronti di alcun lavoratore in alcuna parte del mondo, come non lo avevano i grandi capitalisti americani all’inizio del Novecento nei confronti degli immigrati che affollavano le loro fabbriche.
Questo cosmopolitismo economico che mette paura ha, come sottoprodotto, un gradevole cosmopolitismo culturale. Plotoni di vitali giovani imprenditori riempiono i posti di prima classe sui jet transoceanici, mentre i posti in classe economica sopportano il peso di panciuti professori come me, che sfrecciano verso le piacevoli località dove si organizzano conferenze interdisciplinari. Ma questo cosmopolitismo culturale di recente acquisizione è limitato al più ricco 25% degli americani. Il nuovo cosmopolitismo economico fa presagire un futuro nel quale il restante 75% degli americani vedrà il proprio standard di vita peggiorare costantemente.
Le cose sono andate così. E anche peggio di così. Quest’America figlia della globalizzazione, continuava Rorty, sarebbe stata guidata da una “overclass”, una classe “altamente istruita e costosamente formata”. E verso questa classe si sarebbe riversato l’odio degli esclusi.
Tutto ciò negli Usa è avvenuto nel disinteresse del Partito Democratico, che “sotto i presidenti Carter e Clinton”, si è allontanato dai sindacati e da ogni accenno alle redistribuzione, collocandosi in “un vuoto sterile chiamato ‘centro’’’, come lo definisce Rorty:
È come se la distribuzione del reddito fosse diventata un argomento troppo scottante anche solo da menzionare per ogni politico americano – anche se molto meno per ogni Presidente in carica. I politici temono che menzionare la distribuzione del reddito farebbe loro perdere voti tra gli unici americani su cui si può fare affidamento circa la loro partecipazione al voto: gli abitanti dei quartieri residenziali. Così la scelta tra i due maggiori partiti è scaduta a una scelta tra ciniche bugie e terrificanti silenzi.
E qui arriviamo ai giorni nostri, alla crisi dei partiti tradizionali di destra e sinistra, visibile in tutta Europa, e alla cosiddetta profezia:
Molti studiosi di politica socio-economica sono consapevoli che le vecchie democrazie industrializzate si stanno dirigendo verso un periodo affine alla Repubblica di Weimar, con movimenti populistici che sono prossimi a rovesciare i governi costituzionali.
Da queste premesse segue la rottura da cui siamo partiti:
I lavoratori non specializzati e non organizzati presto o tardi capiranno che il loro governo non cerca neanche di evitare che i salari scendano o che il lavoro venga trasferito all’estero. Nello stesso momento capiranno che i colletti bianchi dei quartieri residenziali – anch’essi terribilmente timorosi di venire ridimensionati – non hanno intenzione di farsi tassare per garantire benefici sociali per qualcun altro.A quel punto qualcosa si spezzerà.
E siamo a oggi. Qualcosa si è spezzato. Come si ripara? Come si rimette insieme?
Qui viene la parte più controversa del saggio di Rorty. La tesi di Achieving Our Country è che sia necessario per la sinistra un ritorno al patriottismo, all’orgoglio nazionale; dopo decenni in cui la stessa sinistra americana si è concentrata sull’autocritica degli Stati Uniti – un’opera iniziata all’incirca con la guerra del Vietnam. Secondo Rorty la sinistra non può limitarsi a far notare che cosa non va, a smascherare l’autoinganno della nazione, non può ritagliarsi il ruolo di “distaccato osservatore cosmopolita”. Per Rorty non ha senso sforzarsi di ricostruire una storia “obiettiva”; per il filosofo non c’è un modo “non mitologico e non ideologico” di raccontare la storia di un paese:
Coloro che sperano di persuadere una nazione a tentare un qualsiasi sforzo, devono ricordare al loro paese anche ciò di cui può essere orgoglioso, e non solo ciò che dovrebbe coprirlo di vergogna. Devono raccontare storie illuminanti su episodi e figure del passato della nazione – episodi e figure ai quali il paese deve rimanere fedele.
Sono tesi impegnative, hanno il loro fondamento filosofico nell’idealismo di Hegel, nel pragmatismo di Dewey. E nella visione della democrazia di Walt Whitman:
La logica e le prediche non convincono mai
La notte triste scava profonda la mia animaSolo ciò che si mostra a ogni uomo e a ogni donna vale
Solo ciò che nessuno nega vale.
E qui verrebbe da dire che oltre ad aver previsto Trump, Rorty in un qualche modo aveva anche auspicato Obama. Il quarantaquattresimo presidente forse era stato in grado di costruire quella sinistra basata sulla speranza. E la sua visione politica aveva avuto successo, almeno elettorale. Eppure non è bastato. Forse perché Obama alla fine ha commesso lo stesso errore di Carter e Clinton; non si è preoccupato abbastanza delle diseguaglianze economiche, ha pensato ai diritti delle minoranza, ma anche lui non ha saputo fare due cose alla volta. E soprattutto ha permesso che la sua eredità fosse raccolta da Hillary Clinton, incapace di offrire un mito e un’ideologia altrettanto efficaci. La candidata dei Democratici nel 2016 proponeva il mito e l’ideologia della competenza. Non poteva funzionare. Secondo Rorty per la sinistra è necessario “sostituire la speranza alla conoscenza”, mettere “i sogni utopici condivisi” al posto delle “Leggi della Storia o dei Fatti della Scienza”. Questo significa portare a compimento il proprio Paese.
Altrimenti il rischio è che oltre alla curva delle diseguaglianza, torni a salire un’altra curva, quella del “sadismo socialmente accettato”, che era calata grazie ai risultati ottenuti da quelle odiate élite. E allora ci si ritrova al punto di partenza:
Nel 1932, la maggior parte delle previsioni circa ciò che sarebbe accaduto se Hindenburg avesse nominato Hitler cancelliere furono esageratamente ottimistiche. Una cosa in particolare è molto probabile che accada: i miglioramenti registrati negli ultimi quarant’anni in America dalla comunità nera e dagli omosessuali, saranno annullati. Il disprezzo scherzoso per le donne tornerà di moda. I termini “negro” e “giudeo” torneranno a farsi sentire.
1 commento
1 Oggi venerdì 22 dicembre 2017 | Aladin Pensiero
22 Dicembre 2017 - 10:45
[…] Antonio Sgobba da Il Tascabile 19.12.2017, riproposto da Democraziaoggi. ————————– 22 dic 2017 ven aladinews aladin […]
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