La scuola non è mercato, ma luogo del sapere e della formazione

9 Novembre 2017
4 Commenti


Gianna Lai

 

  C’è in Italia un pensiero della meritocrazia e della competizione a oltranza, e profondamente familista, che auspica una progressiva riduzione della dimensione pubblica della scuola, a vantaggio della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie, a vantaggio della progressiva liberalizzazione di tutte le relazioni interne ed esterne al sistema scuola.
E sarebbe questo un vero e proprio ‘biglietto da visita per entrare e mantenersi nel ristretto club delle ‘Società basate sulla conoscenza’, quelle destinate a garantire prosperità e occupazione. Ma anche uguaglianza di opportunità e inclusione sociale, insomma le magnifiche sorti e progressive dell’Italia, sotto gli auspici dei governi Berlusconi prima, Renzi poi.
Nel ventennio berlusconiano l’ideologia individualista ha permeato di sé l’idea stessa di società, liberismo senza limiti,  meritocrazia e competizione, nella cornice delle ben note logiche aziendali, ‘che contagiano ormai la scuola fino alla retorica dell’eccellenza’, ‘la nuova impostura ricattatoria delle eccellenze, che esaltano i geni e dimenticano tutti gli altri’, come denuncia il prof. Piergaetano Marchetti, docente di diritto commerciale e ora professore emerito della Università Bocconi di Milano. Mentre intanto, nella scuola media superiore, avanza la dispersione.
La scuola non è mercato, nè luogo di compravendita ma, se  vengono  meno gli artt. 33 e 34 della nostra Carta, quale potrà essere  il destino dell’istruzione stessa in Italia? Perché non è solo questione di soldi e di spesa pubblica e di finanziamenti, è questione, appunto, di un’idea di scuola legata a precise scelte politiche. Sopratutto quando ci si scaglia contro i ‘pedagogismi’, come li chiamava Berlusconi e i suoi ministri, alludendo agli studi della Pedagogia moderna e alle esperienze di innovazione metodologico-didattica, la didattica cooperativa e laboratoriale, praticate in tantissime scuole e del tutto condivise dal movimento dei docenti democratici. Per giungere, ai nostri giorni, alla rimessa in discussione degli stessi organismi della scuola, Consigli di classe e Collegio dei docenti e, di conseguenza, alla loro programmazione sulle attività curricolari. Da sostituirsi direttamente con l’intervento massiccio delle agenzie ministeriali, valga per tutti l’Invalsi. Ma dell’intera burocrazia ministeriale, come  ulteriore  burocratizzazione del lavoro dei maestri e dei professori, oberati di inutili pratiche compilative e, sempre più, volutamente distolti dalla funzione docente. La burocrazia del riempire moduli, stilare bilanci delle competenze, definire persino la predisposizione naturale all’imprenditoria in un bambino di Terza media. E se di demenzialità si deve riferire, ad esempio nel ’settore vessazione  docenti’, in primis quella dei quizzoni, per le prime scremature degli insegnanti che devono partecipare ai Concorsi, umilianti, come le domande clessidra del Concorso2016. E quelle sulla loro formazione, le costose iscrizioni per i tirocini formativi, e la FIT, e i 24 CFU sulla didattica disciplinare, che sostituiscono i Tfa, e i Pas, e prima le SSIS. Si sprecano gli acronimi con la burocrazia dei Rav sulla valutazione, il Ptof dopo il Pof, il Pai e i Bes, e l’Adhd, e il Dop e il Dos e il Fil. E, a corredo, un liguaggio vano, improbabile, fuori da ogni cultura della Scuola, ora ci sono anche ‘le competenze di imbilding’, ora si possono anche ‘insegnare le competenze umane, quelle che sono le competenze di vita per gli studenti’.
E poi gli strumenti della privatizzazione della scuola, i Progetti, sostitutivi dei contenuti curricolari,  ancora le agenzie ministeriali su tutti, ma anche i carabinieri e le forze dell’ordine, che parlano di educazione alla legalità, sostituendosi alla lettura e allo studio della Costituzione, da svolgere invece nell’attività curricolare quotidiana. E di bullismo, sostituendosi alla  pedagogia dell’educazione sessuale, dell’educazione ai sentimenti, la cui mancanza proprio genera bullismo tra i giovani, futuri adulti irrisolti e disorientati dall’assordante  bombardamento dei media. E intanto la dispersione avanza. Insieme alla scuola ascensore sociale e dell’emancipazione, si perde anche la scuola del sapere disinteressato e volto alla formazione del cittadino?
Sennò può sembrare  che questa Società della Conoscenza, fondata sull’innovazione,  abbia piuttosto bisogno di cittadini poco acculturati e deresponsabilizzati, e che la nuova fabbrica abbia bisogno di lavoratori obbedienti e  ancora più flessibili, secondo il pensiero unico del mercato e della finanza, quello del capitale umano, delle risorse umane, delle riserve umane. Specie dopo il massacro degli Istituti Tecnici e dei Professionali, che l’intera Europa ci invidiava, a favore, in questi ultimi, di un sistema di partecipazione scuola-agenzie di formazione, che sfocia nell’apprendistato a 15 anni, un anno di scuola equivalente a un anno di avviamento al lavoro. E nel mentre la dispersione avanza.

Ma la scuola della Costituzione e tutti i processi di scolarizzazione di massa, avviati negli scorsi decenni, possono essere così facilmente messi in crisi e travolti? Può l’istruzione professionale che impone 20 variabili, una per ogni Regione,  mettere gravemente  in forse lo stesso Sistema Nazionale dell’Istruzione?
Se l’educazione del cittadino non si vuole più fondata sulla relazione e sul processo di insegnamento apprendimento, così come invece deve essere, sulla scuola aperta a tutti, che si prende cura di tutti e, in particolare.  dei piu deboli, come essa è stata  e vuole continuare ad essere, basta davvero  introdurre semplicemente in aula le nuove tecnologie e i nuovi saperi professionalizzanti, e poi un pò di Scuola- Lavoro (così come il Governo la intende),  per affrontare i problemi dell’istruzione in Italia, primo fra tutti, il più grave, la dispersione ? La risposta crediamo debba essere negativa. Ma lo hanno  ben chiarito anche gli studenti nel recente sciopero di ottobre, in tuta blù a Viale Trastevere, di fronte al Ministero dell’Istruzione, ponendo in primo piano, oltre a una ridiscussione dell’alternanza Scuola-lavoro, una seria politica di diritto allo studio, che riporti tutti i giovani a scuola e li sottragga alla vergogna dei NET, né studio, né lavoro, tra i 15 e i 25 anni.

4 commenti

  • 1 Oggi giovedì 9 novembre 2017 | Aladin Pensiero
    9 Novembre 2017 - 09:23

    […] La scuola non è mercato, ma luogo del sapere e della formazione 9 Novembre 2017 Gianna Lai su Democraziaoggi. —————————————- […]

  • 2 Carla Cossu
    10 Novembre 2017 - 19:27

    Bravissima, Gianna, condivido in toto! Carla Cossu

  • 3 Ivana Pisola
    13 Novembre 2017 - 19:22

    L’articolo di Gianna mette bene in evidenza come si neutralizza la funzione sociale della scuola pubblica, e a proposito della burocratizzazione che sta soffocando la scuola, il recente D. Lgs. del 13 aprile 2017, n. 61 nel rivedere per l’ennesima volta i percorsi dell’istruzione professionale che ora devono raccordarsi con la formazione professionale, impone al Consiglio di classe la redazione, entro il 31 gennaio del primo anno di frequenza, del Progetto formativo individuale che deve basarsi su un bilancio personale che evidenzia i saperi e le competenze acquisiti da ciascuno/a studente anche in modo non formale e informale al fine di motivare ed orientare nella progressiva costruzione del percorso formativo e lavorativo, nonché la nomina di un tutor, all’interno dello stesso Consiglio, per sostenere le/gli studenti nell’attuazione e nello sviluppo di questo progetto.!!!

  • 4 Maria Antonietta Pilia
    15 Novembre 2017 - 09:41

    Condivido in pieno. Ottimo articolo

Lascia un commento