Andrea Pubusa
(Nuxis: murale di Francesco del Casino sulla rivolta di Palabanda)
Un tempo c’era la febbre del sabato sera, oggi c’è quella referendaria in versione indipendentista e dintorni. E’ un grande strumento mediatico in chiave propagandistico-elettorale. Che sia utile è un altro discorso. In Sardegna il tema viene declinato in direzione del riconoscimento costituzionale dello status di insularità. Il successo è assicurato dal clima di momentanea euforia indipendentista e dall’oggetto. Chi non vuole migliori trasporti, meno tasse e simili? Così, si sta per raggiungere il traguardo delle 30mila firme, ma si pensa di andare ben oltre, posto che la raccolta è in svolgimento ed ha sostenitori importanti come le associazioni imprenditoriali: Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Api Sarda, Confartigianato, Coldiretti e Confagricoltura. C’è anche l’Unione sarda in campo. L’editore Sergio Zuncheddu è della partita. “Aderisco volentieri all’iniziativa“, ha affermato. “Poiché lo Stato centrale mi sembra distratto…è con l’unione e la compattezza tra noi sulle questioni che riguardano la Sardegna che possiamo sperare di riuscire a conseguire l’obiettivo di contribuire alla sua indipendenza economica.”
Ora, è ben noto che le iniziative in materia istituzionale dei Riformatori sardi sono da prendere con le pinze. Annusano l’aria che tira e piazzano un referendum col vento in poppa, lucrano in termini elettorali le iniziative, ma fanno disastri. Come sulle province, dove hanno cavalcato l’ondata dell’antipolitica per dare origine a un processo folle, che solo la chiusura bisagliana dei manicomi ha evitato di concludere con l’internamento nella mitica Villa Clara.
Il professor Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale, nonché cittadino onorario dal 2012 del comune paterno di Villanova Monteleone, interpellato sulla questione, osserva correttamente che altra cosa rispetto alla proposta sarda sono le consultazioni lombarda e veneta, anch’esse propagandistiche, ma inserite nell’alveo dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Questo ha garantito l’ammissibilità dei quesiti. Quello veneto, molto semplice, ha chiesto ai cittadini se vogliono vedersi attribuite “ulteriori forme d’autonomia, come, appunto, previsto dalla Carta costituzionale“. Anche nel caso lombardo c’è un richiamo testuale alle possibilità date dalla Carta in termini di maggior autonomia. Questi referendum non sono necessari perché le rispettive Regioni - come sta facendo l’Emilia-Romagna - possono prendere l’iniziativa e cercare di raggiungere l’intesa con lo Stato. Il referendum consultivo può avere solo un significato politico di appoggio all’iniziativa.
In Sardegna invece si chiede la modifica dellla Costituzione per inserire il riconoscimento dell’insularità, come obiettiva situazione locale di svantaggio, anche rifacendosi a un indirizzo espresso dal Parlamento europeo. Ma, al di là del giudizio di merito, sul quale basterebbe richiamare la grave situazione dei collegamenti, c’è un ostacolo costituzionale. Le situazioni obiettive di svantaggio richiedono misure da adottare con leggi ordinarie. Non vi è la necessità di modifiche costituzionali. Ed ecco il punto: “chiedere di modificare la Costituzione - osserva Onida - fa correre il rischio che la Corte costituzionale giudichi illegittima la proposta di referendum. Questo invece è certamente possibile per chiedere allo Stato misure legislative, amministrative e finanziarie volte a compensare gli svantaggi dell’insularità“.
In proposito ricordo che proprio con Valerio Onida (all’epoca ero presidente della Prima Commissione del Consiglio regionale) impugnammo davanti alla Corte Costituzionale, alla fine degli anni ‘80, il provvedimento che dichiarò inammissibile il referendum regionale contro la permanenza della base USA a La Maddalena. Il giudice delle leggi rispose picche: invasione - disse - della sfera dei trattati internazionali riservati dalla Carta allo Stato.
Dunque c’è un ostacolo giuridico-formale. Ma ce n’è uno di carattere sostanziale che solo degli sconsiderati non possono vedere. La specialità storica delle regioni differenziate non gode di buona stampa. Durante la campagna referendaria anche i costituzionalisti contrari alla deforma Renzi-Boschi-Verdini erano favorevoli alla compressione della specialità, vista come un anacronistico privilegio. Morale della favola, se si avvia un processo di modifica della Costituzione, oggi con gli umori prevalenti, non si sà dove si può finire. Meglio lasciar stare. Del resto - come ha osservato Tonino Dessì, con l’abituale acutezza - la Sardegna ha già nello Statuto l’art. 13, che consente di pianificare qualsiasi misura di superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità. Ecco, forse più che ad una modifica bisogna pensare di “tornare allo Statuto“, mettendo in piedi un movimento per la sua piena attuazione, dall’art. 13, che si può riempire come si vuole, alla partecipazione del Presidente della Regione al Consiglio dei Ministri col rango di ministro, alconcorso con lo Stato alle decisioni sui collegamento con la Sardegna. Ma per far questo non basta la propaganda, ci vogliono idee e voglia di mettere in movimento i sardi. Troppo per i riformatori sardi e gli altri componenti delle consorterie politiche regionali.
1 commento
1 Oggi lunedì 6 novembre 2017 | Aladin Pensiero
6 Novembre 2017 - 09:25
[…] Andrea Pubusa su Democraziaoggi. ——————————————– oggi lun 6 nov 2017 aladinews […]
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