Catalogna: nel ‘34 tragedia, oggi farsa?

18 Ottobre 2017
2 Commenti


 Andrea Pubusa

Due grandi amiconi barbuti, che la sapevano lunga, dissero che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia si presentano, per così dire, due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Sembra così anche per la Catalogna. Nel 1934 la dichiarazione di indipendenza si concluse in modo tragico.  La sera del 6 ottobre del 1934 il presidente catalano, accompagnato da tutti i ministri, si affaccia al balcone del Palazzo della Generalità in Piazza Sant Jaume e grida alla folla: “In questa ora solenne, in nome del popolo e del parlamento, il governo che presiedo assume tutto il potere in Catalogna. Proclamo la Repubblica Catalana”.  La Spagna era diventata una repubblica da tre anni, dopo la cacciata di Alfonso XII in uscita dalla dittatura di Miguel Primo de Rivera. E nella Catalogna in fermento rivoluzionario il partito indipendentista della Sinistra Repubblicana Catalana (Erc), lo stesso al potere oggi con il vicepresidente Oriol Junqueras, aveva appena vinto le elezioni. Companys era il nuovo presidente. I rapporti con Madrid erano tesi. Il governo spagnolo aveva chiesto e ottenuto dalla Corte costituzionale l’annullamento della profonda riforma agraria catalana, che ridistribuiva le terre dei latifondisti fra i piccoli agricoltori. Così il 6 ottobre, dal balcone della Generalità, Companys annunciava al popolo catalano la proclamazione della repubblica indipendente. C’era però un temperamento: voleva la Catalogna inserita in una ‘federazione delle repubbliche ispaniche’. Uno stato federale insomma. La risposta di Madrid fu decisa. Fu proclamato lo stato di guerra. Il premier spagnolo Alejandro Lerroux diede ordine al comandante delle forze spagnole in Catalogna, il generale Domingo Batet, di arrestare Companys e i suoi ministri. A Barcellona si eressero barricate per fermare i soldati. Il palazzo del governo venne difeso da un centinaio di Mossos de Escuadra, la polizia catalana. Furono messi in campo anche i cannoni, puntati contro il palazzo della Generalità. Ci furono scontri, ma la battaglia era impari. Alle sei del mattino del 7 ottobre Companys annunciava la resa. Alle sette le truppe spagnole entravano nel palazzo del governo catalano e arrestavano presidente e ministri, come pure il presidente del parlamento e diversi deputati.
Tragico il conto delle vittime: 46 morti, 38 civili e 8 militari. La repressione fu ampia: tremila persone finirono in carcere. L’autonomia catalana venne sospesa “a tempo indefinito”. Sulla Catalogna si scatenò una dura repressione. Companys e i suoi ministri furono condannati a 30 anni per ‘ribellione’ dalla Corte Costituzionale. Nel Companys 1940 fu fucilato dai franchisti.
Tragedia dunque la prima volta. Ora la replica con Carles Puigdemont sembra sempre più una farsa. Prima indice un referendum balzano, inadeguato allo scopo. Come si fa sull’indipendenza a fare un referendum senza quorum di validità? E se votassero in tre, si dichiara l’indipendenza 2 a 1? Certo non è andata così, ma il 38% dei sì col 60% dei catalani che ha disertato le urne quale legittimazione dà al Presidente per dichiarare la secessione? Anche ammettendo che le Costituzioni come prodotto della storia non siano immodificabili, non si può negare che Puigdemontn in questo caso con la Generalitat abbia forzato la situazione. E’ avventato “a minoranza” pretendere di vulnerare un principio costituzionale fondamentale come l’indissolubilità dello Stato. L’ha buttata sul piano della politica e della legittimazione popolare. Ragione in più per munirsi di un consenso anche elettorale ampio, indiscutibile. Ma il 38% offre questa legittimazione? E l’altro 62% dei catalani? Può la Generalitat in questa condizione sentirsi legittimata non sul piano costituzionale, ma su quello politico e di fatto a proclamare l’indipendenza? Pare proprio di no. E questo pensiero dev’essere passato per la testa anche delle autorità catalane se, dopo aver minacciato fuoco e fiamme, nei giorni scorsi hanno, nello stesso momento, dichiarato e negato l’indipendenza.
Hanno fatto il gioco di Rayoj che ora sembra un gatto che gioca col topo, prima di sbranarlo. Lo ha interpellato e gli ha dato un termine. O retromarcia o scioglimento della Generalitat, col pericolo che
Carles Puigdemont finisca in galera, come già alcuni dirigenti del movimento indipendentista. Che possa resistere mi pare difficile perché la piazza è divisa, ma Rayoj ha dalla sua la Costituzione, l’esercito, la finanza e le imprese nonché almeno il 50% della popolazione catalana e molto più di quella spagnola. A livello internazionale i rapporti di forza non sono diversi.
Insomma, pare che la vicenda si stia trasformando in farsa, per l’insipienza di Puigdemont e dei suoi, che hanno sottovalutato la portata della partita e l’hanno mal impostata. Con più pazienza forse quell’ipotesi di una Catalogna inserita in una ‘federazione delle repubbliche ispaniche’, auspicata dallo sfortunato Companys nel 1934, può diventare un obiettivo realistico. Chi vivrà, vedrà.

2 commenti

  • 1 Oggi mercoledì 18 ottobre 2017 | Aladin Pensiero
    18 Ottobre 2017 - 07:51

    […] Catalogna: nel ‘34 tragedia, oggi farsa? 18 Ottobre 2017 Andrea Pubusa su Democraziaoggi. Due grandi amiconi barbuti, che la sapevano lunga, dissero che tutti i grandi avvenimenti e i […]

  • 2 Emanuele Pes
    21 Ottobre 2017 - 13:36

    In realtà il principio dell’indissolubilità dello Stato se è stato vulnerato, è stato vulnerato solo a parole, e con prese di posizione politica. E naturalmente non mancheranno le conseguenze per gli arresti fatti sulla base di parole e posizioni politiche, conseguenze che non mancheranno neanche per gli arresti che si faranno in futuro. Ma se la Fiscalía dice oggi, e lo dice oggi, che presenterà una denuncia per ribellione nei confronti di Puigdemont se dichiarerà l’indipendenza (tra l’altro dicono che non è un ostacolo a perseguire Puigdemont il fatto che il delitto di ribellione si compie con l’uso della violenza, perché gli si può dare un senso ampio: allora… figuriamoci!), vuol dire che l’indipendenza non c’è. La bandiera spagnola ha sempre sventolato sul palazzo della Generalitat. La parola d’ordine della repubblica federale si può porre come obbiettivo solo grazie al movimento democratico catalano per l’indipendenza e non in virtù di una sua sconfitta. Segnalo, en passant, che il rappresentante del governo spagnolo in Castiglia-La Mancha ha chiesto l’applicazione dell’art. 155 anche per questa comunità autonoma, governata da PSOE e Podemos, giusto per dare un’idea della sostanza di cui è fatta la legalità costituzionale di Rajoy

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