Catalogna: il giorno del giudizio

10 Ottobre 2017
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Andrea Pubusa

In Spagna siamo già alle minacce. Il premier spagnolo Mariano Rajoy, davanti alla direzione Pp: il governo “farà tutto il necessario” . “Impediremo l’indipendenza della Catalogna”. Il vice-segretario all’informazione del Partido Popular Pablo Casado rincara la dose: “prenderemo per impedirlo le misure necessarie. La separazione della Catalogna non si produrrà”.
Non è da meno la vicepremier di Madrid Soraya Saenz de Santamaria: una dichiarazione di indipendenza domani in parlamento del presidente catalano Carles Puigdemont “non rimarrà senza risposta” da parte dello stato spagnolo.
Segnali anche dagli uffici giudiziari. Il presidente del Tribunale superiore di giustizia (Tsjc) in Catalogna Jesus Maria Barrientos ha affidato la responsabilità della sicurezza del Palazzo di Giustizia alla polizia spagnola, togliendola ai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. La mossa è significativa. Il Tsjc è titolare dei procedimenti avviati dalla giustizia spagnola contro le autorità catalane per il referendum di indipendenza. C’è in vista l’arresto del presidente catalano Carles Puigdemont?
Non è un’ipotesi peregrina. Il vicesegretario del Pp Pablo Casado ha lanciato un duro monito al presidente catalano, avvertendolo che, se dichiara l’indipendenza, rischia di finire in carcere come il suo predecessore Lluis Companys che tentò di proclamarla nel 1934. “Speriamo che domani non dichiari nulla, ha detto Casado, perché rischia di finire come chi lo ha fatto 34 anni fa”.
Purtoppo quel precedente non è di buon auspicio.
La sera del 6 ottobre del 1934 il presidente catalano, accompagnato da tutti i ministri, si affaccia al balcone del Palazzo della Generalità in Piazza Sant Jaume e grida alla folla: “In questa ora solenne, in nome del popolo e del parlamento, il governo che presiedo assume tutto il potere in Catalogna. Proclamo la Repubblica Catalana”.  La Spagna era diventata una repubblica da tre anni, dopo la cacciata di Alfonso XII in uscita dalla dittatura di Miguel Primo de Rivera. E nella Catalogna in fermento rivoluzionario il partito indipendentista della Sinistra Repubblicana Catalana (Erc), lo stesso al potere oggi con il vicepresidente Oriol Junqueras, aveva appena vinto le elezioni. Companys era il nuovo presidente. I rapporti con Madrid erano tesi. Il governo spagnolo aveva chiesto e ottenuto dalla Corte costituzionale l’annullamento della profonda riforma agraria catalana, che ridistribuiva le terre dei latifondisti fra i piccoli agricoltori. Così il 6 ottobre, dal bancone della Generalità, Companys annunciava al popolo catalano la proclamazione della repubblica indipendente. C’era però un temperamento: voleva la Catalogna inserita in una ‘federazione delle repubbliche ispaniche’. Uno stato federale insomma. La risposta di Madrid fu decisa. Fu proclamato lo stato di guerra. Il premier spagnolo Alejandro Lerroux diede ordine al comandante delle forze spagnole in Catalogna, il generale Domingo Batet, di arrestare Companys e i suoi ministri. A Barcellona si eressero barricate per fermare i soldati. Il palazzo del governo venne difeso da un centinaio di Mossos de Escuadra, la polizia catalana. Furono messi in campo anche i cannoni, puntati contro il palazzo della Generalità. Ci furono scontri, ma la battaglia era impari. Alle sei del mattino del 7 ottobre Companys annunciava la resa. Alle sette le truppe spagnole entravano nel palazzo del governo catalano e arrestavano presidente e ministri, come pure il presidente del parlamento e diversi deputati.
Tragico il conto delle vittime: 46 morti, 38 civili e 8 militari. La repressione fu ampia: tremila persone finirono in carcere. L’autonomia catalana venne sospesa “a tempo indefinito”. Sulla Catalogna si scatenò una dura repressione. Companys e i suoi ministri furono condannati a 30 anni per ‘ribellione’ dalla Corte Costituzionale.
E oggi? Per ora siamo alle manifestazioni d’intenzioni. I tempi sono diversi, c’è l’Europa, c’è l’ONU, ma quando la situazione sfugge di mano i meccanismi delle guerre interne sono spietati e inarrestabili. Jugoslavia docet e anche in Russia non si è scherzato. Il fatto è che i catalani sono molto divisi come hanno provato le contrapposte manifestazioni e, bisogna ammetterlo, la procedura degli indipendentisti è una furbata: un referendum senza quorum costitutivo per una questione così importante è indaguato e anche imprudente. Col 38% dei sì il governo catalano non può mettere sul tavolo un’ampia legittimazione sociale e politica. Un’indipendenza decisa “a minoranza” è debole in partenza. E questo, oltre alla procedura anticostituzionale, è in fatto una obiettiva difficoltà. Forse c’è ancora spazio per riprendere l’idea di Companys del ‘34: creare una ‘federazione delle repubbliche ispaniche’. Una proposta di questo tipo oggi avrebbe molti sostenitori, dentro e fuori la Catalogna, qualche possibilità di successo e varrebbe a volgere in positivo un impasse pericolosa.

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