Gianna Lai
8 milioni e 600mila studenti, 800mila insegnanti di nuovo a scuola a partire da ieri in tutta Italia.
205.500 gli studenti in Sardegna. Dove si continua a tagliare esattamente come negli anni precedenti, cento posti, quest’anno, nell’organico degli insegnanti, e dove si registra la più alta percentuale di giovani che non studiano e non lavorano, la percentuale più bassa di diplomati e laureati, la percentuale tra le peggiori della dispersione. Un disastro, se pensiamo che è l’istruzione pubblica ad essere determinante nei processi di integrazione sociale, e che è la relazione educativa a dare risalto e valore alle differenze, beni imprescindibili per la crescita di ogni comunità civile. Eppure in Italia il nostro sistema scolastico si è visto impegnato durante tutti gli anni Sessanta e Settanta a realizzare il mandato dell’art. 3, della Repubblica che rimuove gli ostacoli, quando grande era anche l’impegno dei movimenti democratici nella difesa della Scuola pubblica, ‘aperta a tutti’, la scuola del diritto allo studio. Oggi invece la società fortemente gerarchizzata rimanda a una scuola azienda, che mima le regole dell’impresa, e quindi autoritaria, con presidi che reclutano il personale a chiamata, e che impongono ai docenti rapporti di pura subalternità, come nei migliori auspici di Berlusconi, Moratti e Gelmini. E intanto, debiti, crediti e Invalsi mettono fine all’esperienza del curricolo e della programmazione cooperativa nel Consiglio di classe, espressione di quel “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” dell’art. 33. Questa norma rimanda al significato più profondo del giuramento sulla Costituzione, in uso in quegli anni, essendo l’etica della nostra Carta fondata prima di tutto sulla lotta per la libertà. Partire dai bambini, si dice. Ma se un bambino su tre in Italia risulta povero, cosa vuol dire che i bambini sono i futuri cittadini? Come se la Costituzione ponesse un termine di inizio e di fine all’età della cittadinanza. Ma non è proprio a causa di tutti quei costosi e bei progettini antidispersione che si produce e si rafforza invece la dispersione, modi nuovi e pensati fuori dalla scuola per privatizzare l’istruzione, in contrasto diretto con l’insegnamento curricolare, pensato e costruito invece nel Consiglio di classe? A causa di tutta quella “emergenza sicurezza” contrapposta alle attività curricolari, quelle finalizzate invece alla formazione del cittadino? Non è proprio con tutta quella rimessa in discussione di saperi e di discipline, fino alla modifica dell’intero quadro orario, che anche l’istruzione diviene povera in Italia e l’alternanza scuola-lavoro occasione di sfruttamento degli studenti da parte dell’impresa?
La vera novità è il precariato per gli insegnanti e meno scuola per tutti, lo chiamano obbligo a 16 anni, ma già a 15 incombe l’apprendistato, e poi i tagli alla scuola pubblica e i finanziamenti alle private, per un disegno di scuola orientato su percorsi di formazione chiusi e differenziati fin dai 14 anni, adatti a certificare l’appartenenza socio culturale di provenienza, a sbandierare propagandisticamente la scuola dell’eccellenza. Così la selezione riprende massicciamente, la prima causa naturale della dispersione, in aumento massiccio il numero dei ragazzi che non frequentano più dopo la Terza media. Così l’istruzione diviene nuovamente privilegio, la più iniqua delle diseguaglianze e responsabile dell’impoverimento non solo del sapere e della scuola ma dell’intero Paese, se una parte consistente di esso ne viene escluso. Questa è vera emergenza democratica in Italia.
Decostituzionalizzare la scuola secondo la denuncia di Stiglitz, Nobel per l’economia, è la banca mondiale che chiede ai paesi più poveri di bloccare i loro stanziamenti per l’istruzione di base e degli adulti, se vogliono accedere ai suoi prestiti. Privatizzazione e diritti ridotti a beneficienza, secondo l’ ideologia dei vaucher, dei bonus, dell’una tantum, contro il lavoro e i veri diritti in busta paga. Fino alle collette di 2 euro per le scuole del terremoto.
Lo Stato si defila e in Sardegna la Regione chiude le scuole dei piccoli paesi, responsabile prima, essa stessa, del processo di dispersione, per poi finanziare progetti Iscola contro la dispersione, che ci mantiene sempre agli ultimi posti in graduatoria. E la dispersione aumenta paurosamente in città, perchè spezzare la cultura della scuola significa anche allontanare gli studenti dal centro abitato, e così Cagliari, un tempo vera città educativa, aperta alla frequenza di migliaia e migliaia di studenti delle Superiori, oggi ospita esclusivamente i Licei. Tecnici e Professionali son da anni dispersi nella periferia dei non luogo, in sedi spezzettate e lontane dalla città, dalla stazione ferroviaria, oltre la periferia stessa, e così difficili da raggiungere per i pendolari, già gravati dal prezzo di costosissimi biglietti e abbonamenti sui mezzi pubblici. L’Artistico, il Martini, il Pertini, lo Scano, Regione e Provincia disperdono la scuola, il Comune non muove un dito, e si cancella in città il diritto allo studio per quei capaci e meritevoli dell’art. 34, proprio quando la crisi aveva rinvigorito le iscrizioni nei Tecnici e nei Professionali, ad opera dei meno abbienti che non potevano permettersi l’Università. Quella formazione un tempo tra le prime in Europa, che oggi sta venendo meno pur nei così propagandati Poli Tecnologici che accorpano i Tecnici, dove vengono meno i laboratori e si riduce per tutti l’orario scolastico di lezione. E dice che bisogna preparare i giovani all’ingresso nel mondo del lavoro tecnologicamente avanzato, nel mondo dei robot, se mai la funzione della scuola dovesse risolversi in questo, come pretenderebbero mercato e buon parte della stampa in Italia!
In realtà, ad essere in ballo è direttamente la formazione del cittadino, così come emerge dalle proteste degli studenti e dei docenti durante gli ultimi anni e allora, come lo stesso esito del Referendum di dicembre è lì a dimostrare, bisogna attuare la nostra Costituzione e combattere per la scuola pubblica. Tra diritto all’istruzione per tutti e democrazia esiste infatti il legame inscindibile del non uno di meno, espressione cara a tutto il movimento democratico degli insegnanti, nella legalità costituzionale ritrovare il bene pubblico, sempre nella direzione e a favore dei più deboli. Perchè questa crisi nasce dal non aver dato senso e identità alle nuove generazioni, ma è la condizione giovanile a portare il cambiamento, senza il quale l’intera società civile viene meno e decade del tutto.
E i nostri centri storici tornino ad essere luoghi della città educativa, in cui il diritto allo studio si coniughi davvero alla relazione col territorio, luoghi della partecipazione e dello sviluppo della vita democratica.
1 commento
1 Martedì 12 settembre 2017 | Aladin Pensiero
12 Settembre 2017 - 08:17
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