Macron, niente più che un’illusione

11 Settembre 2017
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Gianfranco Sabattini



All’indomani della vittoria di Emmanuel Macron nelle ultime elezioni presidenziali francesi, tutti in casa nostra, da destra a sinistra, hanno inneggiato alla vittoria del bene contro il male, salvo in parte ricredersi, non appena il neopresidente si è insediato all’Eliseo.
Se si può capire l’entusiasmo degli establishment francese ed europei per lo scampato pericolo di vedere in parte ridimensionati i loro progetti, nel caso di una vittoria della destra autarchica e xenofoba, è difficile aprirsi alle ragioni con le quali, in Italia, molti tra coloro che vorrebbero il bene del Paese e dell’Europa hanno inneggiato al successo del movimento “En Marche” e del suo leader Macron.
“Siamo tutti francesi” è stato il grido di esultanza di molti politici nostrani, con un’inaspettata competizioni tra quelli che aspirano ad “incarnarne” il ruolo nel nostro Paese, dimentichi però del come il movimento “En Marche” è nato e della natura degli interessi dei quali Macron è portatore. Si è anche assistito all’assurda pretesa dell’ex capo del governo italiano, Matteo Renzi, di voler acquisire il nome del movimento francese, nella sua ridicola versione italiana di “Marciamo insieme”, sebbene, a differenza di Macron, liberale dichiarato, egli abbia sempre preteso d’essere di sinistra.
Il professore di politica europea all’University College di Londra, Philippe Marlière, ha affermato che Emmanuel Macron è come Silvio Berlusconi, nel senso la Francia nelle recenti elezioni presidenziali ha vissuto quello che in Italia è accaduto con l’avvento di Forza Italia e la conseguente “cancellazione” del vecchio sistema di potere, per aver perso, come in Francia, ogni credibilità presso gli elettori. Macron, come lo è stato Berlusconi, è lontano da posizioni socialdemocratiche; egli, infatti - a parere di Marlière - è un Tony Blair della “terza via”, mentre il suo modo di fare politica evoca quello di Matteo Renzi, in quanto, come lui, Macron ha preso il “meglio” da destra e da sinistra, senza alcuna onsiderazione delle ideologie tradizionali; l’unico aspetto che differenzia Renzi da Macron è il fatto che l’ex capo del governo italiano ha scelto di appartenere a un partito, mentre Macron, come Berlusconi, ha scelto di crearne uno nuovo, per ora solo nella forma di movimento.
Nella sua breve campagna elettorale, Macron, pur professandosi liberale, non ha mai detto cosa ciò oggi significhi per lui. Poiché il liberalismo – a parere di Marlière - non fa parte della tradizione francese, il liberale Macron dovrebbe derivare dal pensiero della sinistra i valori progressisti in campo sociale, rompendo con la tradizione della destra conservatrice e religiosa; mentre dovrebbe acquisire dal pensiero della destra alcuni valori economici. In conseguenza di ciò, egli, in realtà, non sarà né di sinistra, né di destra, per cui all’inizio della sua presidenza, prevedere quale sarà la sua futura azione politica interna costituisce un vero enigma.
Un altro dilemma è la previsione della sua politica estera, in particolare quella verso l’Europa; se dovesse aprirsi nei confronti delle aspirazioni dei francesi, egli dovrebbe tener conto del fatto che essi vogliono un’Europa che cerchi di recare beneficio alla gente normale, non alle élite; la gente normale cerca lavoro, protezione e pace e per rispondere a queste aspirazioni dei francesi Macron dovrà disattendere le pressioni della potente classe capitalistica francese che l’ha espresso, protesa a cercare un accordo con la Germania per realizzare un’Europa consona ai poteri forti che la stanno modellando in funzione della logica di funzionamento dell’economia globale.
Malgrado le buone intenzioni dichiarate in campagna elettorale, Macron non avrebbe nulla di sinistra. Rossana Rossanda, ad esempio, in un tagliente giudizio espresso su “Huffington Post”, ha “stroncato” il neopresidente francese, affermando che è un uomo di centro-destra e che non ha nulla della cultura di sinistra, essendo totalmente allineato rispetto agli interessi dell’Europa di Bruxelles. Ma il giudizio più negativo sul neopresidente francese è quello espresso da Laurent Joffrin, direttore di “Liberation”, in “La rivoluzione centrista di Macron” (MicroMega, n. 5/2017). Joffrin afferma che, con Macron, il Paese che ha inventato la distinzione destra-sinistra, l’ha vista cancellazione nell’arco di un mese; aggiunge anche che, con l’elezione di Macron, “il Paese più politico del mondo ha votato contro la politica; il Paese che dileggiava le vecchie élite ricche e laureate ha messo al potere un’élite, sì, nuova ma sempre ricca e laureata; il Paese che disprezzava il centro ha premiato un partito al 100 per cento centrista; il Paese che guardava con sospetto al liberismo ha eletto il presedente più liberista degli ultimi lustri; il Pese che sceglieva presidenti provati da lunghe battaglie ha indicato un capo di Stato che solo due anni fa nessuno sapeva chi fosse, il più giovane che la Francia abbia conosciuto da Bonaparte in poi”. En Marche il movimento che intende imprimere una spinta riformatrice al paese, sarà in realtà lo “strumento di una rivoluzione”.
Secondo il direttore di “Liberation”, per descrivere l’esito dell’elezione di Macron ci si può infatti ispirare al filosofo della lotta di classe, Karl Marx: “minacciata da una rivolta elettorale che spingeva in avanti due partiti populisti sostenuti da una maggioranza di operai e contadini, la borghesia francese è riuscita a mantenere il potere rimpiazzando i suoi rappresentanti tradizionali con un personale interamente rinnovato ma altrettanto vicino ai suoi interessi”. Chi è realmente Macron?
Secondo Joffrin, Macron è frutto della meritocrazia tradizionale e deve le sue fortune politiche al fatto che Manuel Valls, a capo del governo della presidenza di François Hollande, lo aveva scelto come ministro dell’economia per la realizzazione delle sue idee socialiste. Sennonché, appena nominato, il neoministro ha dato segno di quali fossero le sue idee politiche, muovendosi subito autonomamente, “calpestando sfrontatamente i totem e i tabù della sinistra ortodossa”, mostrandosi “ostile alle 35 ore, alla tassa sul patrimonio, deciso a liberalizzare forzatamente i settori economici ai suoi occhi troppo regolamentati”; inoltre, operando al fine di fare “brillare la sua stella” all’interno di una classe di governo divenuta sempre più impopolare.
Facendo leva sul suo ambiente d’origine, la finanza, applicando i metodi del privato alla vita politica, come l’Italia aveva avuto modo di sperimentare dopo la “discesa in campo” di Berlusconi, Macron ha costituito – afferma Joffrin – “una task force di giovani ambiziosi devoti alla sua persona” che in qualche mese partendo da zero hanno costruito una rete nazionale di sostegno fatta di delusi della sinistra e della destra; egli si è collocato al centro di questa rete, attirando su di sé i favori elettorali dei moderati di destra e di sinistra, promettendo l’attuazione di un “progetto di modernizzazione insieme nuovo e prudente”, al fine di “raddrizzare il Paese”, combattendo i blocchi corporativistici, “un po’ alla maniera di un Blair o di un Clinton, o ancora di Matteo Renzi o Justin Trudeau, all’incrocio di liberismo economico e liberalismo culturale”.
Un anno prima delle elezioni, Macron, dimettendosi dal governo, ha lanciato il suo movimento e sfruttato lo spazio politico di centro-sinsitra, liberato dalla rinuncia di Hollande a ricandidarsi, e scavalcando Manuel Valls, che si pensava destinato ad occupare la vecchia “nicchia progressista e realista”. Alla fine del 2016, lo scenario elettorale ha assunto una sua definitiva configurazione, con François Fillon schierato a destra e all’estrema destra Marine Le Pen; mentre a sinistra sono risultati schierati Valls e Macron e all’estrema sinistra Jean-Luc Mélanchon. A questo punto – nota Joffrin – si è passati da “Karl Marx ai fratelli Marx”.
Manuel Valls, dopo una campagna elettorale poco incisiva, è stato eliminato alle primarie della sinistra di governo da Benoît Hammon; Fillon è stato indebolito nella competizione elettorale da un “pasticcio” politico-finanziario di natura familiare; Mélanchon, pur salendo nei sondaggi e pur ricuperando i voti della sinistra “immune al fascino di En Marche”, è rimasto ai margini delle intenzioni di voto; Marine Le Pen, a parere di Joffrin, si è autoesclusa con una campagna elettorale condotta in modo fiacco. Alla fine Fillon è stato sconfitto; “Hamon schiacciato, Mèlanchon e Le Pen delusi. Al secondo turno Macron, che ha resistito vittoriosamente, nell’ultimo dibattito della campagna, agli attacchi maldestri di Marine Le Pen”, ha trionfato, con “più del 60 per cento dei voti. Vittoria un anno prima impensabile, raddoppiata dalla conferma delle elezioni legislative” che hanno dato a “En Marche” una maggioranza netta all’Assemblea.
Nella storia delle ultime elezioni presidenziali francesi hanno giocato un ruolo importante gli errori e le “giravolte” dei protagonisti; in ogni caso a parere del direttore di “Liberation”, occorre distinguere gli esiti degli errori individuali dallo scenario socio-politico che, pur avendoli in qualche modo “causati”, era esso stesso “in piena trasformazione”; l’evoluzione dello scenario, sia pure a posteriori, suggerisce alcune lezioni delle quali la sinistra socialdemocratica e riformista dovrà tener conto, se non vorrà essere totalmente rimossa dagli scenari politici del futuro.
La prima lezione da considerare è che, in Francia, e sicuramente non solo lì, i vecchi partiti, espressione dei tradizionali establishment, “erano molto più marci” di quanto si potesse pensare. Essi, infatti, con l’elezione di Macron, sono crollati, sin quasi a sparire, com’è capitato al partito socialista; ciò, perché “gli usi e costumi della classe politica, senza che ne fossero coscienti, sono diventati insopportabili agli elettori”; questi, scegliendo Macron per la presidenza della Repubblica, hanno condiviso la “sua idea di rinnovamento profondo delle pratiche politiche”. Resta da vedere come il neoeletto presidente metterà “in accordo i suoi principi con i suoi atti”.
Un’altra lezione, la più importante, che l’elezione di Macron rappresenta per la socialdemocrazia della Francia e per quella di altri Paesi dell’Europa, è espressa dal fatto che ciò che è accaduto in occasione delle elezioni presidenziali francesi costringe i partiti socialisti a vivere una crisi profonda. Questi, per evitare di finire come ricordo di “un glorioso passato”, devono ritrovare le loro basi intellettuali, modificare radicalmente il loro programma politico, rinnovare quadri e leader. E’ assai limitato il tempo che i partiti socialisti di Francia e degli altri Paesi europei hanno a disposizione per elaborare un programma ed una politica adatti al mondo di oggi.
In un mondo che continua “ad essere afflitto da ingiustizie sociali e dalla spoliazione dei cittadini a vantaggio delle feudalità economiche – conclude Joffrin - l’idea socialista conserva tutta la sua validità”, a patto però che si riesca ad immaginare “una società differente” e a definire “le tappe che possono condurci ad essa”. Questa è la speranza.
Questa speranza può “riscaldare i cuori” di chi ancora crede nella possibilità di realizzare una “società giusta”; a patto però che coloro che gestiscono ora i vecchi partiti socialisti respingano, sì, “la rottamazione delle esperienze” in pro del “trionfo del nuovismo”, ma si impegnino anche a privilegiare l’elaborazione di un progetto in luogo di una continua ricerca di possibili alleanze pur di rimanere nell’area di governo.

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