La dittatura della paura

3 Maggio 2008
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Manuela Scroccu

Assediati e spaventati. Dal futuro, dalla fine del mese, dai debiti, dal rumeno appostato negli angoli bui con un coltello pronto a rapinare e stuprare.
A dominare l’orizzonte dell’informazione è l’industria della paura che trova, oggi, nell’immigrato, specie se clandestino, la figura ideale di capro espiatorio su cui far ricadere ogni allarme e timore sociale.
Si tratta di un mercato inesauribile. Chi gestisce la paura gestisce il potere, e vince le elezioni. Cavalcare gli istinti peggiori del proprio elettorato ha garantito, soprattutto in una fase storica così “liquida”, facili consensi per quella parte di ceto politico, ormai maggioranza del paese, che ha fatto della lotta senza se e senza ma all’immigrazione il proprio marchio di fabbrica. Dall’altra parte, le forze progressiste sono apparse troppo preoccupate di perdere consensi per esporsi con prese di posizione che si discostassero in maniera critica dai presunti umori della volubile “opinione pubblica”. Rinunciare al pensiero critico sembrava la strada migliore per raggiungere la tanto agognata semplificazione ma ha avuto un costo altissimo.
Un tempo i luoghi comuni, le “sparate di pancia”, erano destinati alle chiacchiere da bar oppure alle fermata dell’autobus o alla fila alle poste: ora sono argomentazioni comunemente accettate non solo nei dibattiti televisivi ma anche nelle aule parlamentari.
C’è voluto un po’ di tempo, 14 anni più o meno, e tutta la miopia della sinistra, ma alla fine i fatti sono scomparsi lasciando il posto alle opinioni e al chiacchiericcio inutile.
In questo contesto, ecco che lo stupro può ritornare ad essere delitto d’onore, se a compierlo è l’odiato rumeno. La donna, ancora una volta, sparisce, la violenza non è contro di lei ma contro l’onore della nazione assediata da un nemico subdolo e feroce. E nel tranello, più o meno consapevolmente, cadono in molti: Miriam Mafai, che dalle pagine di Repubblica finalmente plaude alla fine del buonismo contro gli immigrati o Sergio Cofferati, che propone le ronde con i manganelli.
Si tratta del gran rumore mediatico in cui vengono occultati i veri problemi: povertà, disoccupazione, disuguaglianza sociale, collusione tra politica e criminalità organizzata. Problemi che hanno responsabili concreti: una classe politica autoreferenziale e un capitalismo finanziario vorace. Responsabili concreti che creano, pertanto, dei  nemici da fiction televisiva come lo slavo cattivo o il clandestino islamico che vuole mettere in pericolo i valori cristiani. Tutto questo  è avvenuto grazie all’uso strumentale dei mezzi di informazione che, nel nostro paese, non sono un potere alternativo ma una succursale del potere politico a cui sono legati a doppio filo, nel caso della Rai, quando non ne sono diretta emanazione come nel caso di Mediaset.
In questo modo il problema della sicurezza viene facilmente confuso e sovrapposto al fenomeno dell’immigrazione. Così viene occultato, come in un gioco di prestigio, l’immenso potere economico raggiunto dalla mafia, dalla camorra e dalla n’drangheta, che costituiscono ormai la prima impresa italiana per fatturato, come non si stancano di ripetere, spesso inascoltati, i magistrati e gli intellettuali come Roberto Saviano. Potere economico che deriva dal controllo del territorio e dalla collusione, quando non sovrapposizione, con il potere politico.
Una società in cui accade questo è fortemente instabile, appare sull’orlo di una crisi irreversibile.
Non a caso, le indagini degli inquirenti scoperchiano una provincia corrotta e malsana, in cui non fa differenza vendere il proprio lavoro in nero o vendere il proprio corpo ai “padroncini” del nord est tutti lavoro, famiglia, chiesa.
Nel villaggio locale dominato dalla dittatura della paura ognuno pensa per se, al massimo per il suo nucleo familiare, per i suoi simili. Ognuno si attrezza a difendere la propria porzione di nulla. Sembra l’unica cosa sensata da fare. E allora vanno bene le ronde, vanno bene i manganelli e i braccialetti antistupro. Con l’assenso colpevole di buona parte di quella sinistra che si definisce riformista e che sembra essersi ormai arresa agli umori più neri della sua gente, che non riesce più a capire e tantomeno a rappresentare.

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