Mario Sciolla
Con questo articolo Mario Sciolla ci parla degli aspetti più notevoli della produzione letteraria di Cicittu Masala. E’ una sintesi della relazione svolta al seminario di studi “Francesco Masala. L’uomo, il pensiero politico-morale, gli aspetti letterari, il “problema linguistico”, il critico d’arte”, promosso dalla S.O.I.M.S. a Iglesias il 17 maggio 2014, da cui è stata tratta la pubblicazione (attualmente in fase di revisione) dal titolo “Francesco Masala. Un intellettuale contro”.
Due componenti fondamentali delle opere di Masala, spesso necessariamente connesse tra loro, hanno indotto il suo editor G. Porcu ad usare l’espressione “sistema-Masala”: da un lato si ha il ricorrere frequente di temi lirici e narrativi e dall’altro la frequenza di alcune idee-guida. Altri (Marci) hanno sagacemente definito l’autore “essenzialmente iterativo”, dato il ricorrere frequente di grumi tematici. Ma dice giustamente Salvatore Tola che “E’ errato pensare che ci ritroviamo sempre di fronte agli stessi componimenti; vi è un’elaborazione progressiva, nell’officina di Masala”. Cito velocemente alcuni di questi temi ricorrenti: il carrasegare; le figure dei mammutones e degli insocadores con relativa spiegazione dell’origine sociale delle due maschere; l’emigrato sardo che in Germania trova lavoro in un “circo equestre senza cavalli” ove, vestito da orso, esegue un numero buffo, per il divertimento degli spettatori tedeschi; miti, storie, figurazioni tipiche del paese (Maria Filonzana, madre del sole; la via lattea che nell’immaginario collettivo popolare è la traccia lasciata dal ladro di paglia che aveva un sacco mal cucito etc.); la metafora dell’aratro e del solco, ad indicare l’accoppiamento sessuale; la spavalderia del maschio che, all’ingresso delle donne in chiesa, ne indica una e ne vanta la conquista affermando che “a messa possono andare donne meglio vestite, ma non certo meglio soddisfatte di lei”; le “parole proibite” tramandate per generazioni in alcune famiglie, con cui si fanno sortilegi, magie, cure segrete. Sono temi ricorrenti che costituiscono gran parte del canovaccio su cui Masala tesse la trama delle sue opere.
Le idee-guida del Masala non solo scrittore, ma anche polemista e protagonista politico possono ridursi a questi nuclei:1) La storia tradizionalmente intesa è una falsa storia, basata sugli archivi che narrano e attestano atti e fatti dei dominatori, dei vincitori. La vera storia è quella fatta dai vinti e non ha archivi né trattati. Per questo la “storia” ufficiale ha buon gioco a sopravanzarla, a non farla emergere.
2) La cultura militante deve usare il linguaggio dei vinti e valorizzarne i modi di agire e di pensare, per dare loro lo spazio sinora ad essi sottratto.
3) Sardi “vinti, ma non convinti”: la vera storia della Sardegna è stata cancellata da dominazioni provenienti dall’esterno Ma la consapevolezza di ciò da parte dei sardi deve rendere possibile il recupero della propria cultura e del proprio linguaggio.
4) Questo recupero sarà completo solo dando nuovamente dignità alla “lingua dei vinti”, sia utilizzandola direttamente nelle proprie opere, sia portando avanti una battaglia politica per un riconoscimento istituzionale (stato, regione) della dignità della lingua sarda.
5) Una parte dei sardi e della cultura sarda, invece di ribellarsi, si adegua alla realtà dominante, ne acquisisce atteggiamenti e linguaggio, asservendosi di fatto a chi, proveniente dall’esterno, impone il dominio economico e culturale. Masala definisce questi esponenti pisciatinteris (= piscia-inchiostro), canes de isterzu (= cani leccapiatti dei padroni), migas (qui egli riprende un’espressione appositamente coniata da Michelangelo Pira).
6) Progressiva amara constatazione che, nel mutare di situazioni vicende ed epoche, le contrapposizioni fondamentali (potenti-sottomessi; ricchi-poveri) ancora non mutano: da quella originaria del paese matimannos vs laribiancos a quella più generale tra dominatori e subalterni.La produzione di Masala, ampia e versatile, combina questi temi e queste idee-guida spaziando in vari campi: versificazione, narrativa, saggistica, teatro, interventi da polemista (da non trascurare, peraltro, i suoi interventi di critico dell’arte figurativa, teatrale e letteraria). E’ noto che Masala attribuiva il valore più rilevante alla sua produzione in versi. Desiderava essere ricordato soprattutto per le sue poesie. Aveva pensato a un epitaffio da porre sulla propria tomba: «Mi naro Franziscu Masala. Faghia su poeta. Cantaia sos laribiancos de bidda mia». Dalla prima raccolta (“Pane nero”) già si delinea chiaramente l’intento poetico fondamentale: cantare le sofferenze degli umili, utilizzandone linguaggio, espressioni, figure abituali. Le raccolte successive riprenderanno e amplieranno i temi, portando infine a coronamento (con le “Poesias in duas limbas”) anche l’aspirazione persistente di dare al sardo pari dignità letteraria rispetto alle altre lingue.
La narrativa, comunque, è quella che ha dato a Masala la maggiore notorietà, in particolare con “Quelli dalle labbra bianche”, romanzo che, attraverso i ricordi di Culobianco, unico sopravvissuto del paese (“Arasolè”, cioè Nughedu San Nicolò) a conclusione della campagna di Russia, offre una lettura della guerra e delle sue vicende dal punto di vista dei sottomessi, degli umili. Peraltro “Quelli dalle labbra bianche” e “Riso sardonico” sono le opere in cui meglio si esprime una delle caratteristiche del miglior Masala: l’ironia. Ne ricordo fugacemente qualche esempio tratto da entrambe le opere: il pezzo grosso del fascismo, venuto in paese in occasione della battaglia del grano, che tiene un solenne discorso fatto di “parole così grandi e così belle che nessuno di noi le capì”; il generale che scriveva con orgoglio della Brigata Sassari “regina delle battaglie” e che, zeppo di medaglie, sarebbe “morto, novantenne, nel proprio eroico letto”; la storia dei tre orinali, ciascuno utilizzato per esprimere il massimo disprezzo per qualcuno, facendo i propri bisogni sulla sua immagine (inizia la regina Maria Clotilde, “esule” in Sardegna per l’occupazione napoleonica, che fa raffigurare l’usurpatore sul fondo del proprio orinale; segue la ragazza Mariarosa, costretta a soccombere alla prepotenza del segretario del fascio, che piscia sulla foto “con dedica” da lui offertale alla fine dell’impresa; si conclude con l’ex operaio di Rovelli, poi disoccupato, che fa fare pipì a tutti i figli sulla foto del petroliere).
Forse meno felice l’esito dell’altro romanzo di Masala - “Il dio petrolio” (successivamente intitolato “Il parroco di Arasolé”) - in cui, nel vivere i momenti di un’eclisse effettivamente accaduta, un prete (don Adamo), attraverso una sorta di anamnesi-diario espone motivi di forti polemiche contro lo stravolgimento dell’economia sarda con la petrolchimica, contro gerarchie ecclesiastiche che giudicano positivamente i nuovi insediamenti industriali, contro le storture derivanti da metodi educativi del clero che giungono a ingenerare turbe da cui il protagonista non riesce a liberarsi. Non mancano passi di schietta poesia (ad esempio, la passeggiata dei bimbi sui prati di Sarrok, prima che vi sorgesse la raffineria), ma in quest’opera emerge di Masala, più che la felice ironia, il risentito sarcasmo.
Almeno un cenno meritano anche le due opere prosastiche in lingua sarda: S’Istoria (Condaghe in limba sarda), implementata poi con la pubblicazione de Sa limba est s’istoria de su mundu. Le due opere riprendono e rielaborano tanta parte dei temi già trattati dallo scrittore in precedenza. Su di esse è decisamente appropriato il giudizio di Giuseppe Marci, che le definisce di “notevole qualità”. Va aggiunto che con esse Masala raggiunge compiutamente il suo obiettivo di riconoscere e dare piena e pari dignità letteraria alla lingua sarda: obiettivo raggiunto per la versificazione con le “Poesias in duas limbas” e che giunge ora anche per le opere in prosa. In “Sa limba est s’istoria de su mundu”, poi, Masala non si lascia sfuggire l’occasione di descrivere con ironia e maestria la vicenda relativa alla Proposta di legge nazionale di iniziativa popolare per il riconoscimento del bilinguismo (Masala era il Presidente del Comitato promotore), riservandosi questa pur piccola rivalsa rispetto all’esito dell’iniziativa: consegnata il 13 luglio 1978 alla presidenza del Consiglio Regionale della Sardegna, la proposta di legge non aveva avuto seguito.
Il tenace attaccamento di Masala ai temi della Sardegna, del recupero della sua autentica storia, del diritto alla piena parità linguistica a tutti i livelli portarono lo scrittore all’insistente ripresa di questi temi un po’ in tutta la sua opera. Consapevole delle possibili accuse di provincialismo, lo scrittore, con la benevola ironia dei suoi momenti migliori, le preveniva con queste parole: “Qualcuno potrebbe chiedermi: «Ma, tu, non fai altro che parlare del villaggio?» Bene, gli risponderò che Tolstoj, Leone Tolstoj, mi ha detto all’orecchio: «Descrivi il tuo villaggio e diventerai universale; se cerchi di descrivere Parigi, diventerai provinciale».
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