Fernando Codonesu
Pubblichiamo il quarto ed ultimo intervento di Fernando Codonesu sul passaggio dalla meccanizzazione alla cibernetica e i sui riflessi sociali. Chi vuole può unire i quatrro articoli, formando così un saggio breve sul tema.
I tempi sono maturi per riconoscere che solo con la collaborazione uomo-macchina si può progettare un futuro vivibile e sostenibile per gli esseri umani su questo pianeta.
Va riconosciuto che grazie ai computer sempre più sofisticati e potenti, alle reti, ai robot e alla loro massiccia utilizzazione in ogni settore produttivo è stato creato maggior valore con meno lavoro. Ma qui sta anche il rovescio della medaglia. Proviamo ad analizzare la situazione da due angoli visuale del tutto diversi.
Quando si confronta un lavoratore con una macchina il confronto è impari perché dal punto di vista economico, in tale confronto, perde sempre il lavoratore, mai la macchina. Un esempio può essere illuminante. Se il lavoro prodotto da un operaio in un’ora (si pensi al classico caso di un tornitore) può essere svolto da un tornio a controllo numerico programmato e gestito in remoto magari non da un tecnico umano, ma da un altro computer che funge da “capo”, e lo stesso lavoro viene prodotto con un costo di appena un euro, se si dà retta solo all’economia o peggio ad un semplice calcolo ragionieristico, se ne deduce che la paga oraria del nostro tornitore dovrà essere immediatamente allineata al costo del prodotto della macchina.
D’altronde vale anche la considerazione che nel libero mercato (quello ideale dove esisterebbe la libera concorrenza di beni e servizi) o il lavoratore accetta la paga oraria della macchina, cioè un euro, altrimenti deve trovarsi un’altra occupazione. Di contro, vale anche il ragionamento secondo cui se una persona riesce a trovare/creare qualche nuova applicazione che interessa almeno un milione di clienti che usano le tecnologie digitali, allora può guadagnare un milione di volte quanto guadagnerebbe nel caso di un rapporto produttore/cliente uno a uno. Naturalmente l’esperienza ci dice che le cose non vanno simultaneamente in questo modo. Ciò che si può sicuramente dire è che lo sviluppo della tecnologia, con particolare enfasi su quelle digitali, sta riallocando la ricchezza, i guadagni e il benessere come non mai, purtroppo con un evidente ulteriore aumento delle diseguaglianze economiche e sociali. La ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di poche persone e il numero di questi super ricchi tende a ridursi all’aumentare delle ricchezze possedute. Negli ultimi trent’anni, aziende come Microsoft, Apple, Amazon, Google, Facebook, Alibaba, (e i loro proprietari/azionisti) hanno totalmente cambiato la concentrazione della ricchezza che un tempo era in capo alle aziende del manifatturiero, dell’oil and gas, dell’automotive, dell’avionica, della nautica, dell’industria militare ecc., ecc.
Con l’ulteriore elemento di cambiamento/innovazione dovuto alla modificazione sostanziale di tutti i processi produttivi degli altri settori di interesse economico e sociale: le tecnologie digitali sono pervasive e invasive!
Si è passati dall’automazione dei primi processi produttivi (per esempio la verniciatura delle auto) all’uso dell’informatica distribuita, alla creazione di sofisticate reti aziendali, all’uso massiccio della robotica a partire da un settore come la costruzione delle auto fino alla totale automazione dei grandi magazzini della vendita on line. Al riguardo, quando facciamo un acquisto su internet solo qualche passo della procedura vede un controllo umano, quasi tutto è svolto in maniera automatica fino all’individuazione nel magazzino del prodotto desiderato, alla sua scelta, lo scarico dallo scaffale e il suo posizionamento su un nastro trasportatore, il confezionamento e la spedizione. Tutto o quasi è gestito e controllato dalle macchine: tutto può essere gestito dalle macchine, tutto sarà gestito dalle macchine.
Per tornare all’intelligenza artificiale, bisogna riconoscere che già Marvin Minky1 era dell’avviso che la robotica potesse sostituire l’uomo in tutti i lavori e in tutti i processi ingegnerizzabili, ovvero in cui i diversi passi del processo fossero rappresentabili con simboli, numeri e/o loro combinazioni con sequenze temporali definibili.
I robot odierni più avanzati hanno sensori che simulano il funzionamento degli organi motori e sensoriali periferici degli esseri umani, ancorché non così sofisticati (per ora): si muovono in spazi determinati, vedono con speciali telecamere, comandano il movimento di braccia e/o gambe alla stregua di un essere umano. Al momento la memoria e l’intelligenza sono ancora prevalentemente interni ai microprocessori tradizionali, quelli al silicio, per intenderci. Le nuove tecnologie robotiche, però, stanno già lavorando a prototipi con potenze di due o tre ordini di grandezza più alte, con ulteriori prestazioni grazie a nuovi materiali, tecnologie hardware, nanotecnologie, reti neurali e nuovi paradigmi alla base dei software, come la logica fuzzy (che supera la logica binaria attualmente utilizzata).
Insomma stiamo vivendo in un periodo di grandi cambiamenti e sconvolgimenti con ripercussioni planetarie, ma con le contraddizioni di sempre. Accanto alle aziende più tecnologiche del nostro tempo come, per citarne qualcuna, Google, Apple, Microsoft, Facebook, due miliardi di persone non hanno accesso all’acqua corrente e all’energia elettrica.
Da almeno un decennio siamo all’interno di una spirale terribile, al punto che il problema rischia di diventare drammatico dal punto di vista economico sociale, se non si interviene in tempi rapidi e con adeguate politiche.
Le macchine sono state introdotte nella produzione a partire dall’esigenza di diminuire i costi di produzione. Si è constatato, e questo è incontrovertibile, che le macchine liberano l’uomo dal lavoro ripetitivo e noioso e potrebbero nel volgere di pochi decenni liberarlo del tutto dalla gran parte del lavoro. Il problema a questo punto per l’uomo è cosa fare e come utilizzare il tempo liberato.
In questo processo si sono persi e si perderanno decine di milioni di posti di lavoro. Si calcola che entro 40 anni almeno il 60% dei lavori che facciamo oggi non ci saranno più, ma questo non ci dovrebbe spaventare.
Come si può intervenire da un punto di vista politico per uscire vincenti da questa spirale che sembra avviluppare tutta la società umana?
A me pare che si possa e si debbano percorrere le vie già indicate in precedenza con un programma che preveda come assi principali due strade possibili, con la definizione di piani, individuando risorse, indicando alcune fasi temporali e preparando già le opportune norme legislative con validità nazionale e sovranazionale.
La prima riguarda il fatto che dobbiamo costruire una società in cui la stragrande maggioranza delle persone in età lavorativa continui ad essere occupata. Se si è in grado di produrre la stessa ricchezza nell’unità di tempo con meno lavoratori, la soluzione è quella di diminuire il tempo di lavoro per tutti, aumentando la quantità di tempo libero e tempo liberato dal lavoro che gli individui potranno dedicare a se stessi, ai loro interessi culturali e materiali, alle loro relazioni affettive.
Una parte, e questa dovrà essere la più piccola possibile, sarà comunque fuori dai processi produttivi. Per queste persone va pensato un reddito sociale (cittadinanza, inclusione, di lavoro virtuale, di consumo, chiamiamolo come vogliamo) come già suggerito mezzo secolo fa in modo da garantire anche a loro un ruolo utile all’interno della società.
Il finanziamento di tale reddito, da operare con politiche necessariamente sovranazionali e possibilmente su scala planetaria, dovrà avvenire necessariamente mediante mirate politiche di redistribuzione della ricchezza, proprio perché la ricchezza è, e sarà sempre di più, generata principalmente dalle macchine.
1 commento
1 Oggi lunedì 10 aprile 2017 | Aladin Pensiero
10 Aprile 2017 - 07:53
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