Fernando Codonesu
Una tassa sui robot? Dopo il primo intervento, continua la riflessione sulla rivolusione del nostro tempo: dalla meccanizzazione alla cibernetica, dai mainframe all’informatica distribuita e alle reti, dal silicio alle reti neurali e ai computer quantici, dall’intelligenza artificiale alla robotica nel tempo di internet degli oggetti.
La realtà che vediamo oggi, caratterizzata da un uso sistematico delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni in ogni ambito della vita economica e sociale, con i riflessi ampiamente osservabili nell’organizzazione del lavoro che conduce milioni di persone al di fuori dei processi produttivi, solo in parte rimpiazzati dai nuovi lavori creati dalle medesime tecnologie e dai nuovi bisogni indotti, era stata ampiamente prevista fin dai primi anni ’60 del secolo scorso, quando erano già evidenti alcuni passaggi epocali giunti in questi ultimi anni pienamente a compimento.
Ci si riferisce qui ad un documento di gruppo di lavoro creato dall’Amministrazione americana di J.F. Kennedy noto come “Ad Hoc Committee” che aveva il compito di valutare gli effetti delle tre rivoluzioni allora in atto, nell’ordine: la rivoluzione cibernetica, la rivoluzione degli armamenti atomici e quella dei diritti umani.
A proposito della rivoluzione cibernetica, i firmatari del documento presentato nel 1964 al presidente Lyndon Johnson, subentrato a Kennedy a seguito del suo omicidio a Dallas, coscienti che la ricchezza creata dal lavoro delle macchine è ricchezza alla pari di quella generata dal lavoro umano, suggerivano all’Amministrazione statunitense alcune azioni da compiere nel periodo transitorio per evitare gli effetti più tragici rilevabili nel corso del tempo. Tra le varie azioni suggerite per incrementare l’occupazione se ne riportano alcune perché le ritengo più attuali che mai: una sorta di “reddito di cittadinanza”# per tutti coloro che erano rimasti o avrebbero potuto rimanere fuori dai cicli di produzione per poter beneficiare del benessere creato dalle macchine; un grande intervento nel settore educativo per colmare lo svantaggio di competenze delle persone che non conoscevano il funzionamento dei computer; un piano di opere pubbliche finalizzato alla realizzazione di infrastrutture; un grande programma di edilizia popolare per i meno abbienti; lo sviluppo e finanziamento di efficienti sistemi di mobilità urbana a causa dei fenomeni di inurbamento; una revisione del sistema fiscale con un prelievo progressivo in base al reddito per poter finanziare i bisogni dei più disagiati, ecc.
Sembra un programma di stampo socialista, ma quelli non erano socialisti, erano scienziati1, giornalisti, scrittori, imprenditori, ecc., rappresentativi della società americana del tempo.
Ma torniamo ai progressi dei dispositivi elettronici e dei loro settori applicativi a partire dall’industria dei computer. Ben presto dai transistor si ottennero varie famiglie di porte logiche con i primi circuiti integrati e da qui si passò rapidamente dalla logica cablata alla logica programmata.
Infatti dal gruppo guidato da Shockley verso la fine degli anni ’50 si staccò un gruppo costituito da 8 ingegneri che costruirono il primo circuito integrato e fondarono la Fairchild Semiconductors, un’impresa notevole in quegli anni che ebbe anche il ruolo di incubatore per altre imprese come la Intel fondata nel 1968 da Gordon Moore.
Si osserva in questa sede che uno dei fisici protagonisti dello sviluppo della microelettronica e dell’informatica è stato Federico Faggin2, giovane fisico padovano che emigrò negli USA e fece parte di un gruppo della Intel diretto da Ted Hoff che costruì il primo microprocessore nel 1971, il 4004, un chip programmabile in un’unica piastrina di silicio che faceva tutte le operazioni di un computer.
Tra i tanti da ricordare, qui si fa cenno ad alcune figure di primo piano, vere e proprie pietre miliari dello sviluppo del settore/settori di cui ci occupiamo in questi interventi, come Norbert Wiener che nel 1948 pubblica Cybernetics presso la MIT press, Claude Shannon che nello stesso anno pubblica A Mathematical Theory of Communication, John von Newmann e il suo The Computer and the Brain e successivamente John R. Pierce con il suo Signals, Symbols and Noise, Harper Modern Science Series, 1961, che sistematizza la ormai matura teoria dell’informazione. Si tratta di protagonisti che nel giro di poco tempo, con le loro opere, hanno sviluppato la cibernetica, la scienza dell’informazione e quindi l’informatica e l’ingegneria dell’informazione, con le variegate articolazioni degli studi nelle università ed enti di ricerca di tutto il mondo.
Con i fondamenti della cibernetica mirabilmente proposti da Wiener si sono poste le basi per la comunicazione uomo-macchina a partire dal paradigma della retroazione negativa come regola aurea nello studio della stabilità dei sistemi nel dominio del tempo e della frequenza, diffusi in poco tempo in ogni campo del sapere. Con Shannon si hanno le basi per la trasformazione in digitale di ogni tipo di funzione e in ultimo con la teoria dell’informazione si è compreso ancora meglio il concetto di entropia, si sono aperte le porte ad altri strumenti di comprensione della teoria delle comunicazioni, teoria dei sistemi, dei controlli automatici, della fisica, ancora della cibernetica, dell’arte, della musica, ecc.
In appena un decennio o poco più si è capito che ogni fenomeno, parte del mondo reale o del tutto (inteso come dominio conosciuto in cui agiscono diverse entità reali) è informazione e può essere studiato, modellizzato e gestito in termini di informazione, simboli e numeri. In quanto tale può essere manipolata e gestita da una macchina, un automa derivante dalle macchine regolari3, un computer, un robot.
Dal 1971 i progressi furono continui e strabilianti al punto che si cita spesso un’osservazione sul trend di sviluppo dell’industria elettronica e dei computer nota come “legge di Moore” per cui ogni anno poteva essere sviluppato un microprocessore con una potenza di calcolo doppia e un costo di produzione pari alla metà del precedente: nessun settore produttivo ha conosciuto uno sviluppo di tale portata. In effetti la cosiddetta legge di Moore consente ampie verifiche in un arco di tempo che va dal 1970 al 2015 in diversi ambiti valutativi del settore, come il costo degli hard disk in termini di gigabyte per dollaro, la capacità di download dai server centrali in Kilobytes al secondo, l’efficienza energetica dei supercomputer espressa in FLOPS4 su watt e ancora in termini di velocità dei supercomputer espressa in numero di FLOPS, ad oggi pari a circa un milione di miliardi di operazioni in virgola mobile per secondo.
Note
“… We urge, therefore, that society, through its appropriate legal and governmental institutions, undertake an unqualified commitment to provide every individual and every family with an adequate income as a matter of right. … We regard it as the only policy by which the quarter of the nation now dispossessed and soon-to-be dispossessed by lack of employment can be brought within the abundant society. The unqualified right to an income would take the place of the patchwork of welfare measures – from unemployment insurance to relief – designed to ensure that no citizen or resident of the United States actually starves.
La primogenitura di tale proposta, come si vede, non appartiene a nessuna delle forze politiche oggi in campo in Italia
Tra i firmatari c’erano i premi Nobel Linus Pauling e Gunnar Myrdal
2 In Italia pochi, se non nessuno, sanno chi sia
3 Le macchine regolari sono strette parenti delle grammatiche generative di Noam Chomsky
4. Floating Point Operations per Second (Operazioni in Virgola Mobile per Secondo)
2 commenti
1 Oggi lunedì 3 aprile 2017 | Aladin Pensiero
3 Aprile 2017 - 20:36
[…] Oggi su Democraziaoggi. Computer, robot, occupazione, reddito di cittadinanza. di Fernando Codonesu […]
2 Gavinu Dettori
7 Aprile 2017 - 17:10
Le dotte ed esaurienti comunicazioni di Fernando Codonesu, sollecitano tanti altri pensieri sul versante contiguo del lavoro, al quale son rivolte le attenzioni delle conclusioni.
Sembra tanto strano che l’uomo, molto avanti in campo scientifico e tecnologico, abbia trascurato il versante delle scienze sociali, sul modo di convivere delle persone, di cui il lavoro è l’elemento più significativo e qualitativo dello stare insieme, attraverso il quale ogni cittadino si realizza socialmente , con la coscienza di sentirsi uno della comunità che contribuisce attivamente allo sviluppo della stessa ….
Ed è proprio il ruolo dell’uomo sociale, in riguardo alla mancata sua occupazione sul lavoro che viene mortificato, per effetto, ( sembra una contraddizione) delle scienze applicate al progresso tecnologico, mirante all’aumento della reddittività, pur con il sollevamento dello stesso dalla fatica.
I termini dello sviamento si possono intravedere, nella forma di sfruttamento, da sempre attuata, del lavoro umano, lavoro,che resta sempre indispensabile, almeno nella fase iniziale di qualsiasi processo produttivo, e possiamo ipotizzare, anche della produzione e gestione della più avanzata intelligenza artificiale.
Ma è anche la deformazione della cultura sociale, che vede primeggiare l’intelligenza umana se rivolta all’accrescimento del benesere individuale, con l’esaltazione della persona, estremizzando fino a riconoscere in esso il motore del progresso e della civiltà dell’umanità.
Ora questo atteggiamento positivo, ed esclusivo, verso le libere capacità e intraprese dell’individuo, è entrato in crisi, proprio a causa del progresso sopravvenuto, che ha mirato all’aumento dell’efficienza produttiva, senza tenere nel dovuto conto delle inevitabili conseguenze da esso derivanti, in particolar modo della liberazione dei posti di lavoro, se non anche, in seconda battuta, della presa di coscienza della limitatezza delle risorse naturali, delle tecniche di sfruttamento, senza dare tanto peso alle modifiche ambientali ed ai disastri prodotti, conseguenti allo sfruttamento indiscriminato senza la tutela dall’inquinamento sia terrestre che atmosferico, quest’ultimo ancora più grave.
Non è il progresso tecnologico o scientifico che deve cambiare, ma l’atteggiamento culturale del lavoro, che è poi quello del cittadino, anche lavoratore, nella cui coscienza deve primeggiare il “ benessere sociale”, con il riconoscimento del proprio lavoro e della persona da parte degli altri, che è poi il motivo principale della nostra esistenza e della nostra felicità.
Questo è il “ motore principale” della società: non la misura della felicità in funzione del benessere e della ricchezza personale, ma il riconoscimento umano della società per l’apporto che ogni cittadino può e deve dare per il suo progresso scientifico, tecnologico e umano in primis.
Il detto moderno è: “sentirsi felice in una società di felici”, o creare forme di solidarietà interesata, come dice Luigi Manconi…. …anche se dare solidarietà è già il riconoscimento di malessere sociale….
Sembra accertato che tutto il prodotto mondiale sia suficiente per far vivere degnamente tutta l’umanità, ma di tale beneficio neanche tutti i lavoratori che vi contribuiscono, sono degnamente remunerati.
Il problema è quindi di misura dei benfici derivanti dal lavoro; benefici mal distribuiti che creano improprie e spropositate ricchezze, che creano le crisi economiche che penalizzano anche coloro che materialmente contribuisconon alla produzione delle stesse, lasciando altri nell’indigenza.
Non si vuole esaltare la povertà per raggiungere la felicità ( già il Cristo, S. Francesco ed altri, per scelta poveri, erano anche felici… ma anche chi raggiunge un certo medio benessere, si sente libero e felice di solidarizzare ( volontariato) offrendo il proprio impegno per dare aiuto ad altri….. ) si vuol dire che è il riconoscimento verso di noi, del nostro prossimo che ci fa felici.
Per stare terra terra, e definire il metro di misura dell’incentivo alla creazione, possiamo considerare lo spirito che animava gli scienziati dell’Unione Sovietica, degli anni ’60 del secolo scorso, che concorrevano e primeggiavano rispetto agli scienziati americani nelle scoperte delle esplorazioni spaziali, pur operando in un regime di economia socialista, credendo di contribuire al benessere sociale e della patria….
E qual’è lo spirito che alimenta la competizione degli scienziati della Corea del nord governati da un regime dittatoriale? Lo scienziato si dice, non pensa ai compensi: la ricerca lo appaga del suo lavoro…. ma la coscienza gli morderà pensando all’uso criminoso e violento, che viene fatto politicamente, delle sue ricerche,…
Sebbene si possa pensare che “ i redditi di cittadinanza o altro che si possa dire” siano un riconoscimento sociale della disparità di distribuzione del reddito nazionale o mondiale,… … non sembra pagante e riconoscente della mancata dignità umana del sentirsi a pieno titolo cittadino della nazione o del mondo, quale cosciente contribuente della loro crescita.
Non si capirà pienamente perchè il sistema politico, economico-sociale abbia indagato questa possibilità, prima ancora di pensare ad una più equa o equilibrata distribuzione del lavoro, riducendo l’orario giornaliero per tutti, magari compensando il ridotto orario lavorativo con ore di studio e formazione ai vari settori lavorativi in maniera da avere cittadini sempre preparati sia civilmente che tecnologicamente,..
Sembra che torni davvero attuale il motto, “ LAVORARE MENO , LAVORARE TUTTI “, coniugato negli anni della protesta sessantottina del secolo scorso……..
Ma il sistema capitalista farà diventare conveniente e competitivo un tale riconoscimento, quando anche i recenti studi sociologici e sperimentazioni isolate, dimostrano che eliminando lo stress di lavoro, si ha una maggior resa nella quantità e nella qualità?
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