Crisi: basta misure placebo!

30 Gennaio 2009
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Cristian Ribichesu

È incredibile, ma nel nostro Paese non si sa più dove sbattere la testa. Da mesi alla radio, alla televisione, nei giornali non si fa altro che parlare della grave crisi che sta attanagliando l’Italia, e che soffocherà sempre più i cittadini. Ormai si confabula e si ipotizzano manovre che, usando un termine inflazionato in questo periodo, forse perché presagisce qualcosa di brutto, dovrebbero aggredire la crisi, ma che in realtà, diversamente da una, doverosa, azione forte, sembrano e sono solo palliativi nei confronti d’un calo dell’occupazione, tragico.
Purtroppo l’effetto placebo di certe manovre, come la social card (ma quanti soldi si spendono per creare materialmente queste carte? Chi le paga?), non ha la stessa efficacia dell’acqua zuccherata somministrata, come medicina, al malato immaginario, primo perché, quando si vive al di sotto della soglia economica della sussistenza, il problema non è immaginario, secondo perché di fronte alla perdita di un lavoro, dato che saranno in tanti a perderlo nel 2009, con la social card non ci mantieni una famiglia. Evidentemente il famoso effetto placebo, le misure palliativo, che in alcuni casi ha un suo valore positivo, in questo caso non è commisurato al problema.
Però, la situazione veramente incredibile è data dal contesto di generale miopia, voluta o non, di una classe politica che gioca ancora al mantenimento del privilegio senza accorgersi che l’emergenza è incalzante e che, davanti al bisogno, occorre adottare misure d’urgenza. E si, perché se chi ci amministra non lo capisce, quando una famiglia di due anziani, che ritirano mille euro di pensione, arriva a pagare settecentocinquanta euro di affitto, in una casa in cui inizialmente si pagava trentamila lire, è evidente che c’è un’emergenza; come se si perderanno migliaia di posti di lavoro, è evidente che c’è un’emergenza, e che non può essere l’agevolazione sul mutuo per l’acquisto della prima casa a risolvere il problema, dato che se sei disoccupato non ti compri neanche le gomme americane, e non sono le ruote delle auto!
Giustamente alcune persone più acute si chiedono per quanti mesi ancora si possa parlare della crisi senza affrontare il vero problema: creare occupazione. Non è neanche ammissibile, in un contesto simile, che il Governo tagli posti nel pubblico impiego, come del resto non è possibile ritardare, se non bloccare, l’inserimento dei giovani, fascia tra i venticinque e i trentacinque anni, nel mondo del lavoro, perché se per battere la crisi serve, anche, maggiore circolazione monetaria, data dall’aumento del consumo, non vedo come questo possa aumentare se l’età media del lavoratore italiano diventa sempre più grande, se non altro perché non mi immagino gli anziani facendo shopping sfrenato.
Ma a questo punto la crisi è in atto, lo ha detto anche il Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno, e bisogna reagire. Bisogna creare posti di lavoro e trovare i soldi per sostenere questi stipendi, e siccome in Italia c’è chi nel 2009 non gode di quel diritto fondamentale che è il lavoro, un diritto fondamentale che completa la dignità dell’individuo, a tal punto che dà un senso alla vita di molte persone, perché non iniziare a tagliare negli sprechi, ma anche perché non diminuire gli stipendi dei politici, dei dirigenti, dei presentatori della televisione pubblica, delle classi più avvantaggiate, perché non diminuire l’accumulo delle cariche politiche, amministrative o dirigenziali, perché non aumentare maggiormente le tasse a chi è più benestante?
I più acuti si chiedono se fra sei mesi si possa ancora parlare della crisi senza avere affrontato azioni concrete per la sua soluzione, ma cosa succederà fra due anni se nel frattempo, da subito, non s’incrementerà l’occupazione?

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