Andrea Pubusa
Caro Umberto,
certo l’autonomia deve stare in cima ai nostri pensieri, anche in questo difficile passaggio elettorale. Come lo è stato negli ormai quasi quattro decenni del nostro comune lavoro scientifico e impegno sociale e politico. Abbiamo sempre lavorato ad un’autonomia capace di spezzare insieme la soffocante eredità dello Stato accentrato e l’imbarazzante neocentralismo regionale. Abbiamo così fatto leva sul continuum assembleare, dalla circoscrizione comunale all’Assemblea regionale. Abbiamo sempre concepito il Parlamento come la sede per l’esercizio di alcune funzioni di rilevo nazionale e internazionale e per la tessitura di una trama unitaria di principi. Ma il resto lo abbiamo sempre pensato come attribuzione diretta delle autonomie locali. E qui non abbiamo certamente atteso le suggestioni comunitarie per affermare il principio di sussidiarietà tanto enunciato quanto avvilito. Tu già lo enucleasti in quell’indimenticato saggio sui comitati di quartiere e io – seguendo la tua lezione – lo trasfusi nella monografia sulle autonomie locali, espressione di una nuova sovranità, non statuale ma popolare, appunto come vuole l’art. 1 della Costituzione. Una sovranità dal basso, che s’irradia dalle autonomie allo Stato, come poi ha recepito il legislatore Costituzionale nel riscrivere l’art. 114 Cost. Insomma - come già disse mirabillmente Antonio Pigliaru - un ordinamento che si fonda e si legittima sui cittadini.
Poi il tuo libro sull’amministrazione democratica ha aperto su scala nazionale una prospettiva su cui la cultura giuspubblicistica ha scavato per almeno un quindicennio. Ed anch’io – col tuo consiglio – mi sono cimentato sul tema, coi lavori sul procedimento amministrativo.
Bene, molti credono che le riforme nascano dal grembo di Giove. Ma tutta la disciplina sarda sulla pubblicità degli atti amministrativi, sui referendum (con la previsione di quelli propositivi, su atti amministrativi generali e quelli zonali) e poi la disciplina sul procedimento nascono da quella temperie culturale, quando chi scrive, divenuto consigliere regionale nel Partito comunista, le trasfuse in proposte di legge, come Presidente della prima Commissione. E sempre in quel clima un altro tuo allievo, Tonino Dessì, divenuto responsabile della Commissione ambiente del PCI, predispose lo schema della legge urbanistica generale. Ci fu ovviamente il concorso delle maggiori forze della sinistra e dei sardisti, nonché, ad onor del vero, anche dei settori più avanzati della DC. Cosicché nel corso della Giunta Melis (di sinistra e sardista) fu delineato il corpo centrale della democrazia amministrativa e della tutela del territorio in Sardegna. E in questo tu hai pochi meriti operativi, ma certamente porti quelli ben più importanti e decisivi di aver gettato i semi e di averci sempre dato alimento scientifico e culturale in quelle difficili battaglie.
Ora, come si colloca Soru rispetto a tutto questo? La sua giunta ha ripreso il cammino di riforma democratica dopo la paralisi e la palude del centrodestra? O ha imboccato un’altra strada? Bene, credo, senza paura di smentita, di poter dire che è andato decisamente in controtendenza. Tutti gli umori ademocratici e le suggestioni monocratiche, maturati nel clima neoliberista degli anni ’90, sono stati trasfusi nella sua azione politica. Anzitutto, sul piano istituzionale col maniacale inseguimento di un iperpresidenzialismo che sopprime la giunta e mette il Consiglio in balia del Presidente, con l’umiliazione delle autonomie locali, ridotte – secondo il vecchio modello statalistico – ad appendici della Regione. Nell’amministrazione poi alla democratizzazione, su cui tu hai illuminato la giuspubblicistica italiana, ha sostituito le imperscrutabilità di un tempo (decide il governatore, vigile e occhiuto) e ad una dirigenza forte e autorevole ha preferito la fidelizzazione più rigorosa al capo. L’emarginazione ha colpito il fior fiore dei funzionari democratici, persone di grande professionalità, comuni amici e compagni, di cui ora tralascio i nomi.
Dirai, e il PPR? Ben sai che anche questi piani furono approvati all’inizio degli anni ’90 ed annullati dal Giudice amministrativo a seguito di un improvvido ricorso di un’associazione ambientalistica. Ci fu poi una bizzarra e sospetta sentenza del Consiglio di Stato interamente demolitoria di questi atti, mentre invece l’annullamento ben poteva limitarsi ad una parte soltanto di essi. Si creò così il vuoto totale. Comunque, è vero: Soru li ha riadottati, colmando una inerzia dolosa delle Giunte di centrodestra. Tuttavia non li ha inventati, né ha inventato la tutela territoriale che, nel suo impianto, rimane quella del 1989-1993 (Giunte Melis-Cabras). Ciò che invece si deve certamente a lui è la logica rigidamente e occhiutamente accentratrice. Si conferisce al Presidente un potere di deroga, che toglie alla disciplina qualunque certezza, in violazione dei più elementari canoni dello Stato di diritto e del principio di legalità. Ed è inutile ch’io dica a te, che mi sei maestro, che le deroghe non si fanno coi deboli, ma coi forti. Ed allora cosa rimane? Una disciplina severissima fin nell’agro, ma nella disponibilità del Presidente sulle questioni grosse. Il contrario di ciò per cui – da giuristi e non solo– ci siamo battuti per una vita intera.
Uno sfascio, anzitutto morale del sistema autonomistico e dell’amministrazione, proprio perché privati di ogni componente partecipativa.
Ma non è neppure vero che vi sia stato un risanamento finanziario. Corre la leggenda metropolitana, che è giunta fino a te, a Firenze, secondo cui “Il debito totale del bilancio regionale è stato ridotto, in 4 anni, di oltre 2400 milioni di euro”. Ma sono sbagliati i conti. La gestione finanziaria dell’esercizio 2004 presentava un disavanzo di euro 180.031.464,47 che, sommato al disavanzo finanziario dell’esercizio 2003, pari a euro 2.918.566.314,19, determinava un disavanzo finanziario, alla fine dell’esercizio 2004, pari a euro 3.098.597.774,34 (dato registrato nel Rendiconto generale della Regione per l’esercizio finanziario 2004 approvato, previa parificazione da parte della Corte dei Conti, con legge regionale 30 novembre 2005, n. 19). Il disegno di legge finanziaria per il 2009 presentato dalla Giunta Soru ha stimato in euro 1.413.000.000 il disavanzo presunto esistente al 31 dicembre 2008. Ma il disavanzo al 31 dicembre 2008 non è di 1.413.000.000 ma di 2.413.000.000, perché bisogna aggiungerci il miliardo magico derivante dalle anticipazioni sulle future entrate disposta con le leggi finanziarie del 2007 (500 milioni) e del 2008 (500 milioni). Ergo, negli ultimi cinque anni si è registrata una riduzione del disavanzo pari a euro 685.597.774. Ma sai a cos’è dovuto questo risultato? Alla differenza tra il disavanzo registrato a consuntivo nell’esercizio 2004, pari a euro 3.098.597.774, e quello presunto al 31 dicembre 2008, pari a 2.413.000.000, così come risulterebbe dalla corretta applicazione dei principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 213/2008. E perché tutto questo? Perché la Regione, regnante Soru, non è riuscita a spendere i soldi stanziati dalle diverse finanziarie. E sai ancora perché? Sembra un paradosso, ma la logica dell’uomo solo al comando non favorisce l’attuazione dei programmi. I “risparmi” sono dunque solo minori spese, conseguenti alla mancata attuazione delle politiche approvate nella legge finanziaria 2008. I risultati mirabolanti di questi risparmi? L’incremento della povertà e della disoccupazione. Vuoi la riprova? Prendi il telefono e chiama don Borotzu della Pastorale regionale del lavoro, o il tuo amico Canavera e chiedi loro di quanto è aumentata l’assistenza della Caritas. E senti cosa ti dicono. E da don Borotzu fatti inviare i dati sulla disoccupazione, e vedrai.
Ed allora, caro Umberto, credi che nascondere questa realtà serva a qualcosa? Pensi che, se anche noi lo facessimo, i cittadini interessati non vedrebbero i fatti che li preoccupano? Pensi che sia sufficiente mettersi ridicolmente la divisa da sardo (vestito di vellutino e maglione a collo alto o camicia chiusa senza cravatta) per convincere i sardi in sofferenza di essere autonomi e di andare a votare? Perché, vedi, il competitor di Soru non è Cappellacci, candidato perfino imbarazzante, tanto è scialbo, inconsistente e deferente verso il Cavaliere. Fra i due non c’è partita. Il vero nemico di Soru è lui stesso. La sua solitudine. L’aver rotto, senza ragione, tanti ponti, l’aver chiuso la porta a muso duro contro ogni istanza partecipativa. L’essere indagato e in conflitto d’interessi. E qui consentimi, tu sottovaluti lo scioglimento anticipato, che è avvenuto per scansare le primarie e la probabile udienza preliminare su Saatchi.
Ad ogni modo, Soru si è autocandidato. Non ha accettato, come fecero a suo tempo Prodi e poi Veltroni, di sottoporsi al voto dei democratici sardi. E sai perché ha potuto compiere questo gesto arrogante? Perché ha un patrimonio che gli consente di farsi la campagna elettorale da sé, senza bisogno di sostegno (anche finanziario) popolare. In questo, ammetti, assomiglia a Berlusconi (e non solo in questo) e si distacca dalle tradizioni delle formazioni democratiche. E poi persone ragionevoli possono credere alla foglia di fico del fiduciario? Ci abbiamo creduto e ci crediamo per Berlusconi?
Ed allora certo è bene che Berlusconi venga battuto e duramente. Ancorché - se ben rifletti - pure con Soru la vocazione del Caimano verso una repubblica iperpresidenzialista e fondata sul danaro e sull’impresa prevale comunque. In ogni caso la decisione non è – come fu in passato (almeno parzialmente) - nelle nostre mani. Siamo stati espropriati della politica e, se mi permetti, non ci acconciamo al ruolo di supporter (come sono in gran parte oggi i soriani). Del resto, a chi ha la nostra storia non si può chiedere di appoggiare una politica sempre combattuta. D’altronde, sui temi della democrazia partecipata, che abbiamo sollevato in tempi non sospetti, Soru non ha fatto alcuna apertura. Anzi, la contrasta con tutte le sue forze. Evidentemente non gli interessa il nostro sostegno. Che possiamo fare dunque? Diciamo le nostre verità e attendiamo, angosciati, gli esiti comunque terrificanti di queste elezioni. Aspettiamo solo di sapere quale sarà la percentuale degli astenuti. Perché, come in tutte le postdemocrazie, non sarà la cittadinanza attiva a decidere, ma quella che se ne sta a casa. Ma in questo caso - bisogna ammetterlo - è attiva anch’essa.
2 commenti
1 Massimo Marini
29 Gennaio 2009 - 09:02
“Perché, vedi, il competitor di Soru non è Cappellacci, candidato perfino imbarazzante, tanto è scialbo, inconsistente e deferente verso il Cavaliere”
Il competitore di Soru è Ugo Cappellacci. Se non vince Soru, vince Cappellacci. Pur condividendo gran parte dell’impianto dell’intervento (specie per quanto concerne i numeri, e soprattutto per la sottolineatura a doppio tratto della deriva ademocratica di Renato Soru), credo fermamente che non si possa mettere in mano a Silvio Berlusconi la nostra regione, il nostro futuro. Se con la vittoria di Soru lo scenario futuro può apparire problematico e per certi aspetti preoccupante, con la vittoria di Cappellacci la cosa diventa terrificante, si potrebbe arrivare ad un punto di non ritorno devastante, specie in tema ambientale e in materia di tipologia e qualità dell’occupazione. Votare Soru dunque, magari sostenendo le liste e i candidati meno accecati dal suo “fascino”, vigilare con tutti i mezzi possibili sull’operato, ed iniziare a costruire il dopo Soru. Forse è quello che si auspica (e che farà) anche Lei Dott. Pubusa: “Ed allora certo è bene che Berlusconi venga battuto e duramente…”
Massimo Marini
2 Quesada
29 Gennaio 2009 - 17:33
Ma se vincesse Soru, quale dopo Soru si potrebbe costruire ?
Casomai si potrebbe costruire un dopo PD.
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