Andrea Pubusa
Omar Chessa nel suo interessante post pone la questione della legge elettorale nei giusti binari statutari, come già ripetutamente e puntigliosamente ha fatto Tonino Dessì. E così ci ricorda che nel 2007, durante la presidenza Soru, venne approvata una legge statutaria che confermava il modello dell’elezione presidenziale diretta (previsto in via transitoria dalla legge costituzionale n. 2 del 2001), ma non fu confermata dalla consultazione referendaria, poiché non si raggiunse il quorum stabilito dalla legge. Una botta popolare anche per lui, come per Renzi e Pigliaru, da cui non si è mai ripreso. Sicché, a tutt’oggi, si applica il regime transitorio previsto dal legislatore nazionale.
È arrivato il momento, dunque, - ci ammonisce Omar Chessa - che pure in Sardegna, come già è accaduto nelle altre regioni da qualche anno, si prenda una decisione consapevole su quale debba essere il nostro modello istituzionale: se abbiamo la possibilità di scegliere la forma di governo, eventualmente adattando il modello vigente alle nostre esigenze, perché mai non dovremmo esercitare questa autonomia anziché continuare ad applicare le regole che altri hanno stabilito per noi?
Bando a quest’inerzia della politica regionale e via! Ma che fare? Il costituzionalista sassarese fa un’analisi molto accurata sul presidenzialismo, mostrando come esso anziché sbloccare la macchina, la imballi. Tonino Dessì ha parlato di “crisi compressa” per indicare il fenomeno: la crisi non può esserci perché, se si disarciona il presidente, si va tutti a casa, ma il motore è immobile. Chi scrive ha detto le stesse cose, ma sulla base di un’analisi empirica sull’oggi. Pigliaru ha una altissimo premio, ma non governa. Presidenzialismo uguale governabilità zero. Sulla stessa lunghezza d’onda Fernando Codonesu nei suoi acuti interventi.
E le alternative? Chessa mi pare per il ritorno al proporzionale secco, coi correttivi ch’esso consente: sfiducia costruttiva e simili. Tonino mi pare più dubbioso o problematico, Codonesu propende verso il proporzionale, ma in un’ottica di ricerca di soluzioni originali.. Per parte mia ho lanciato uno slogan che sembra un ossimoro: sistema presidenziale-proporzionale. Non sono così ingenuo da non capire le difficoltà di mettere insieme due sistemi normalmente antitetici o alternativi. Ma mi consola il sistema tedesco. Lì c’è un proporzionale, ma all’esito delle elezioni si sa chi sarà il cancelliere. E non ci sono ribaltoni. Nasce dalla prassi costituzionale e dal costume politico, privo di grandi alternative. In Italia non è così, ma si può tradurre in legge ciò che in Germania è rimesso alla consuetudine costituzionale? Forse sì. Il presidente e’ i l leader indicato come n. 1 della lista più votata della coalizione vincente. La criticità sta nell’ “indurre” le liste a dichiarare ex ante la coalizione. Ma è impossibile? Forse no. Si potrebbe giocare sugli sbarramenti: il 5% per chi non dichiara e il 2 per chi lo fa? O altri meccanismi incentivanti.
Da ultimo, ma non per importanza, il consigliere che cambia coalizione decade, secondo l’idea di Gustavo Zagrebelsky. In questo modo si può coniugare scelta diretta del presidente e proporzionale. Mi pare che l’elettorato si sia ormai abituato alla scelta diretta di sindaci e presidenti. Non so se sia gradito un ritorno indietro, all’elezione assembleare. Fra l’altro, ormai i partiti non esistono più, e le consorterie troverebbero maggior difficoltà ad accordarsi. Guardate cosa sta succedendo nel PD sardo. Da un anno le satrapie non si accordano sul segretario regionale. O ancora il caos che il PD ha esportato nell’ANCI regionale. Il sistema proporzionale-presidenziale potrebbe salvare capra e cavoli, fermo restando che politiche organiche di cambiamento sono rimesse alla qualita’ delle forze di governo. Il sistema elettorale pero’ puo’ aiutare. Riflettiamoci.
1 commento
1 Oggi lunedì 6 marzo 2017 | Aladin Pensiero
6 Marzo 2017 - 08:05
[…] Tra presidenziale e proporzionale c’è una terza via?. Andrea Pubusa su Democraziaoggi. Jesús Timoteo Álvarez: i pericoli della deriva populista. Ci può salvare l’Utopia? […]
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