Umberto Allegretti
Caro Andrea,
la vita politica sarda attraversa, in questa campagna elettorale, un momento di particolare delicatezza. Tale delicatezza non è solo legata alle difficoltà, ora superate, intervenute tra il Presidente della Regione e la sua maggioranza e che hanno provocato un leggero anticipo delle elezioni. E non dipende unicamente dalla contrapposizione radicale di programmi e di atteggiamento tra la maggioranza della legislatura appena conclusa e quella che, qualora le subentrasse, sovvertirebbe, come è del tutto chiaro, le realizzazioni della Giunta Soru nelle materie più essenziali della politica regionale: le realizzazioni in campo istituzionale, quelle in campo finanziario – che hanno fruttato il risanamento del bilancio e lo sviluppo delle risorse a disposizione della Sardegna – quelle in materia di cultura e di istruzione, in campo ambientale e urbanistico, come pure nelle politiche sanitarie, sociali ed economiche. In realtà, più che in una situazione delicata ci si trova di fronte, non senza un senso di vero e proprio sbigottimento, a una anomalia, sconcertante e assolutamente inedita: il dispiegarsi di settimana in settimana di una pressione indebita – indebita costituzionalmente e politicamente – che il presidente del consiglio, più che la coalizione che si è totalmente affidata a lui, sta esercitando su queste elezioni in un modo e con una intensità che non si è mai data in precedenza.
Da costituzionalista, parto dal primo punto. Talora non sono mancate in Italia, anche da parte di qualche governo nazionale di segno diverso dall’attuale, interferenze poco corrette su elezioni a livello regionale e locale. Ma esse non hanno mai avuto la violenza della pressione svolta in prima persona da Berlusconi con una continua presenza nella campagna elettorale sia in Sardegna che sulle stesse televisioni nazionali. Questo comportamento, rincarato anche rispetto a quello già da lui praticato in Abruzzo, non può che essere definito costituzionalmente illecito. Di fronte al ruolo delle Regioni nell’attuale sistema costituzionale, il presidente del consiglio deve infatti rigorosamente attenersi all’obbligo di osservanza dei confini tra le varie istituzioni e al dovere di imparzialità che la Legge sulla Presidenza del Consiglio gli richiede a tutela sia delle competenze dei poteri nazionali (che non si concentrano certo in decisioni sovrane del presidente del consiglio) che della libertà delle autonomie territoriali, ed è tenuto a osservare il rispetto dovuto all’autonomia che il pluralismo del nostro sistema costituzionale esige per mantenere effettiva la democrazia nel nostro paese.
Questo aspetto, di eccezionale rilievo per valutare la fedeltà o infedeltà del presidente del consiglio alla posizione che la Costituzione gli impone, potrebbe sfuggire all’elettorato interessato a una contesa che dovrebbe riguardare essenzialmente il governo della Regione (ma che avrà indubbi riflessi sul contesto nazionale, riflessi che Berlusconi, ad onta di ogni affermazione contraria, ha di mira, e che gli elettori non possono pertanto omettere di tenere in conto). Ma proprio questo è il punto: l’invadenza di Berlusconi sulla campagna elettorale regionale non è che una chiara dimostrazione di quanto questa campagna coinvolga direttamente la questione dell’autonomia sarda, del valore che le è proprio e della sua relazione col quadro nazionale. E’ l’autonomia che oggi è in gioco come non mai e gli elettori dovrebbero orientarsi in base al valore che intendono darle.
I sardi – come gli storici e gli uomini di cultura hanno tante volte messo in luce - hanno sempre avuto un senso acuto della propria autonomia e proprio quando questa meno è stata rispettata dall’esterno hanno sempre reagito affermandola. Così è accaduto nel glorioso sebbene breve periodo del primo dopoguerra e della fondazione del partito sardo d’azione, così nel secondo dopoguerra con l’affermarsi compatto della richiesta di dar vita a una regione a statuto speciale. Così anche nel primo periodo di funzionamento della regione, nel quale la pur tendenziale conformità dei governi sardi al colore di quelli nazionali si è accompagnata a un vivace atteggiamento di difesa delle competenze regionali risultanti dallo statuto contro gli atteggiamenti ostili del governo e della burocrazia statale. Il sentimento dell’autonomia si è ancora accentuato nel periodo della lotta per la conquista e la realizzazione del piano di rinascita, della quale, nonostante i difetti emersi nell’attuazione del piano, non può disconoscersi il valore che a suo tempo ebbe per l’Isola. Esso si è ripetuto nelle difficili traversie delle giunte di centrosinistra degli anni ottanta e novanta e poi più fortemente con la Giunta Soru, che ha saputo condurre quella riuscita azione di rivendicazione finanziaria, di salvaguardia ambientale, di valorizzazione dell’identità sarda e di ridimensionamento delle servitù militari che tutti conoscono.
Si vorrebbe oggi far a meno di questo patriottismo regionale? Il pericolo di compressione dell’autonomia, di resa all’invadenza governativa volta a rafforzare il potere della maggioranza sul piano nazionale, e di soddisfacimento di precisi interessi di dominio sulla Sardegna e di appropriazione dei pregi del suo territorio, non è mai stato così grave come col terzo governo Berlusconi e con l’azione messa in moto dal presidente del consiglio. Questi parla di valorizzazione dell’ambiente e del turismo, ma quale cessione del contesto naturale e paesistico sardo all’edificazione selvaggia sia da aspettarsi da una giunta che gli sarebbe eternamente ligia perché direttamente da lui insediata nel potere, ogni sardo che voglia guardare in faccia la realtà sa bene. L’accentramento finanziario, già praticato eminentemente verso la Sardegna dal governo Berlusconi della legislatura 2001-2006 è assolutamente vivo in questa legislatura malgrado i propositi, per ora puramente retorici, di federalismo fiscale. L’appoggio alla ricerca e agli studi superiori e universitari dato dalla Giunta Soru sarebbe inghiottito dalla politica contro la ricerca propria dell’attuale governo, che fa fuggire i giovani all’estero in cerca di una lavoro qualificato. E così via.
Dunque convinzione del valore dell’autonomia della Sardegna, non partigianeria politica – personalmente non ho mai fatto atti di adesione politica ma solo opera culturale – induce chi è sardo appassionato alla sua terra perché ne segue pur di lontano la vita, ad appoggiare la coalizione di centrosinistra e ad augurarsi che l’elettorato, sia quello di sinistra che quello moderato, sappia distinguere la coalizione che ha mostrato e dà fiducia di valorizzare l’autonomia speciale e l’identità particolare della Sardegna da un’altra la cui vittoria porterebbe a una fase di vera e propria colonizzazione dell’Isola. Grave errore sarebbe quello di coloro che – magari per rigorismo ideale o per insofferenza a una guida sentita come personale e decisionista, ma che ha praticato politiche appropriate allo sviluppo della nostra terra – cedesse a quel massimo di allontanamento dalle proprie responsabilità che sarebbe l’astensione: atto di voto indiretto alla conquista berlusconiana dell’Isola, un suicidio vero e proprio, che contribuirebbe ad affossarne l’autonomia, chissà, per una lunga fase.
7 commenti
1 antonio leoni jr.
29 Gennaio 2009 - 10:59
Caro professore, lei lancia un appello ad evitare, in queste elezioni, la tentazione di astenersi. Lo fa in nome di un richiamo al patriottismo regionale. E lo fa, mi pare, anche in nome di un patriottismo di schieramento politico nazionale. Temo che lei trascuri il fatto che entrambi questi valori sono stati per troppo tempo evocati al solo fine di ottenere consenso nel solo momento elettorale e poi totalmente messi da parte da chi questo consenso ha ottenuto. Temo anche che lei trascuri qualcosa di più profondo, in questo evidenziando una incomprensione delle principali ragioni della crisi della partecipazione al voto. Ammettiamo, per pura ipotesi e per semplificare la discussione, che tra i pretendenti in lizza ciascuno enunci, sui terreni dell’economia, dell’ambiente, dell’efficienza amministrativa, il programma più vicino ai nostri rispettivi convincimenti. Evitiamo, sempre per ridurre ogni complicazione, di avanzare qualsiasi rilievo sulla qualità e sui contenuti del programma più affine alle nostre aspirazioni. Ammettiamo persino che questo programma sia enunciato per convinzione personale e non per mera captatio del consenso. Consideriamo nel contempo che, così come è accaduto nella elaborazione di quel programma, anche al fine della sua realizzazione quel che ci viene chiesto è di rinunciare a ogni forma di condivisione delle relative decisioni, le quali resteranno esclusivamente in mano al proponente. Potremo aderirvi, a quelle decisioni, ma non prendere parte attiva alla loro assunzione. Il nostro ruolo è stato e sarà solo quello di esecutori o di spettatori. E’, mi pare, ciò che entrambi i maggiori schieramenti in campo ci stanno prospettando prima del voto. Ora, il fatto che in ciò vi sia un evidente e comune difetto di democrazia, incide o no sulla nostra valutazione di entrambi i programmi e dei rispettivi candidati? Insomma, purchè i treni arrivino puntuali (per mutuare uno slogan noto ancorchè riferibile a un preciso momento della nostra storia), si può accettare qualsiasi forma di governo politico? Può darsi che siamo ridotti a questo, cioè al fatto che un alto tasso di democrazia sia ormai ritenuto inconciliabile con il soddisfacimento di aspettative materiali e di bisogni concreti (i più diversi a seconda delle appartenenze sociali o culturali). E che anche l’aspirazione all’autonomia regionale non si alimenti più dell’idea democratica di un popolo protagonista, ma si acconci al comando di un uomo solo, il più abbiente e più dotato di mezzi economici tra i conterranei, da contrapporre “patriotticamente” al più abbiente e dotato di mezzi economici tra i magnati peninsulari. Sarebbe abbastanza interessante misurare su questi temi il cambiamento che si è prodotto nella nostra società, sarda e italiana e forse in ciascuno di noi. Forse, ormai, più interessante che scontrarci su quel che ciascuno di noi farà il giorno in cui saremo chiamati a votare.
2 Sergio Ravaioli
29 Gennaio 2009 - 12:40
Faccio presente al prof. Allegretti che avendo il cognome che finisce per i e non per u, esattamente come Cappellacci e come il sottoscritto, secondo il verbo Soriano non ha titolo per appellarsi al patriottismo regionale.
Le invocazioni al patriottismo poi le considero sempre pericolose, mi viene puntualmente in mente il patriottismo della brigata Sassari nella guerra 15-18: tante medaglie ed il record di morti e feriti in quella sciagurata guerra, ben descritta da Emilio Lussu, in nome di un patriottismo altrui.
Così come ai patrioti della brigata Sassari non fu chiesto se gradivano essere mandati lungo l’Isonzo o sull’Asiago, così al popolo di centrosinistra – e neppure agli organismi di partito - non è stato chiesto se gradivano Soru come loro candidato alla presidenza regionale, nè se gradivano il programma con il quale si presenta (ammesso che di programma si possa parlare). L’unico momento in cui potremo esprimere il nostro parere sarà il 15 e il 16 febbraio prossimi.
A proposito di democrazia, argomento sviluppato benissimo nel precedente intervento di Antonio Leoni, non dimentichiamo che Soru non si è autocandidato (su questo punto correggo anche Pubusa) ma è stato candidato da Veltroni, con il fedele Passoni strumento esecutivo. E i militanti del centrosinistra sono stati coinvolti esattamente come quelli del centrodestra: il nemico è da quella parte, infilati l’elmetto, prendi il moschetto e spara!
Questa è purtroppo la situazione che oggi viviamo in Sardegna e domani vivrà l’Italia. Infatti dopo la sconfitta che Soru subirà tra un paio di settimane, prevedo che avvierà la sua OPA verso il PD nazionale, seppure con le ossa rotte dall’esperienza sarda. Che sarà regolarmente attribuita ai cementificatori ed ai traditori del PD. Esattamente come recita la stampa nazionale e regionale controllata dai soci del nostro miliardario Sardo DOC.
3 Corrado
29 Gennaio 2009 - 17:01
E allora meglio un miliardario milanese che racconta barzellette e che controlla direttamente la quasi totalità dell’informazione televisiva nazionale, di una parte della stampa nazionale, per non parlare dell’informazione palesemente di parte, per ovvi interessi immobiliari, dell’unione sarda e di videolina… ma il sig. Ravaioli pensa unicamente all’Unità.
4 angelo aquilino
29 Gennaio 2009 - 17:32
per non dare ragione ad Allegretti che ha il cognome che finisce con la i regalate la sardegna a Berlusconi così la sardità è salva. Io sono siciliano ed avrei preferito Totò Cuffaro a Cappellacci ossia la mafia alla massoneria. Mai al dittatore Soru.
5 Sergio Ravaioli
29 Gennaio 2009 - 18:59
Veramente io non penso a l’Unità, che non se la fila nessuno, ma a La Repubblica.
E non sono per nula soddisfatto, come si potrebbe dedurre dall’intervento precedente se letto a mente sgombra, delle alternative che si presentano a noi Sardi.
E domani, temo, a tutti gli Italiani.
6 francesco cocco
29 Gennaio 2009 - 20:47
Caro Umberto, non m’interessa la contesa soriani anti-soriani. Mi interessa, se è ancora possibile, salvare l’istituto autonomistico. Tu sei ottimista, sei ancora convinto che sia salvabile. Io forse eccedo in pessimismo e cerco di proiettare le mie speranze al di là della vicenda elettorale per capire se è ancora possibile fare qualcosa per invertire un senso di marcia. Ciò che mi preoccupa non sono singoli provvedimenti, su molti dei quali sono d’accordo, anche perchè hanno spesso i precedenti in provvedimenti di qualche decennio fa. Mi rattrista l’appiattinento dei partiti di sinistra, la perdita della dimensione collettiva del far politica senza la quale non può esistere vera progettualità democratica, Mi amareggia che si vada perdendo il senso dell’impegno politico come servizio da espletare lontano da qualsasi gestione di interessi personali. E che tutto questo venga accettato come prassi e poi codificato sino a stabilire che i componenti del governo regionale possono partecipare con le loro aziende alle gare d’appalto dell’ente che rappresentano. Verso quale baratro stiamo andando? Come non indignarsi?! Penso all’alto sentire dell’interesse pubblico di uomini come Luigi Crespellani, Ignazio Serra, Paolo Dettori. Come vedi non cito uomini della mia parte politica, ma voglio ricordarli perchè da loro è venuto un esempio di disinteresse personale valido per tutti noi. Parlo con categorie ottocentesche, come tali obsolete? Può darsi, ma qui si tratta di salvare ancor prima dell’ autonomia alcune basi portanti dello stato di diritto. E credo che alla nostra generazione spetti il compito di lasciare ai giovani un messaggio di rigore e di non accontentarsi del meno peggio perchè hanno il dovere di ambire al meglio. Con la stima e l’affetto di sempre tuo Francesco Cocco
7 angelo aquilino
30 Gennaio 2009 - 08:01
caro ravajoli,
l’alternativa che Lei vede in Sicilia non esiste più perxhè mafia e massoneria si sono già fuse. Sta avvenendo anche in Gallura dove i mafiosi calabresi fanno circolare i loro capitali sulla costa ed aspettano solo di usarli con i loro investimenti:droga e cemento. Tutto questo,comunque è il mare minore meglio loro che il dittatore Soru. Gli affari non vanno disturbati neppure se prevedono di costruire sul cimitero punico o di realizzare una sola unica immensa città lineare sul perimetro costiero della Sardegna.
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